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Intervista all’ultrarunner Roberto Isolda

Photos Denis Piccolo

Ai più, questa disciplina di nicchia dell’ultrarunning può sembrare assurda, incomprensibile e da malati mentali. La corsa su lunga distanza, soprattutto se parliamo di distanze che vanno oltre la maratona, sono già di per sé considerate stravaganti, e in effetti si parla di una nicchia di corridori, anche se il numero di partecipanti nel corso degli anni è aumentato esponenzialmente. Tuttavia, se per qualche ragione sembra ormai accettabile percorrere molte ore di corsa sui sentieri, le lunghissime distanze su strada rappresentano invece una nicchia nella nicchia degli ultrarunner. 
Eppure ci sono corridori che spingono il concetto della corsa fino a riportarlo ancora più all’essenza, andando a eliminare la componente paesaggistica: non solo corrono su strada, ma spesso su circuiti da uno o pochi chilometri, fino al limite estremo di correre spesso girando attorno alla pista d’atletica per ore e ore. Insomma, ormai lo avete capito, parliamo di quei corridori che corrono cinquanta, cento, duecento o trecento chilometri girando attorno all’anello d’atletica in tartan di 400 metri. La distanza più classica lascia il posto alle prove a tempo, quindi sei, dodici o ventiquattro ore in pista. 
Pensateci bene, perché nuotare in una vasca clorata di 25 metri avanti e indietro, senza vedere alcun panorama, senza ascoltare musica o parlare con nessuno è in qualche modo accettabile, mentre girare in pista correndo ci sembra in qualche modo assurdo? Ritengo che sia un limite mentale che per molti sembra insormontabile o inconcepibile, eppure c’è una componente mistica e magica in una prova di ventiquattro ore in pista. Nella mia esperienza non ho mai (ancora) provato niente del genere, quindi ho deciso di fare qualche domanda a Roberto Isolda, corridore di Varese, che è un grande interprete della disciplina per capirne qualcosa in più. 
Due parole su Rob: è un corridore che ha esplorato in lungo e in largo la disciplina dell’ultrarunning, ha un’attitudine molto bella nei confronti della corsa, una gioia contagiosa per questo sport e la sua passione sono proprio questo tipo di gare. Rob ama la corsa al punto di non disdegnare di correre 50 o 100km sul treadmill, è top 5 alla 100km del Passatore (famosa corsa in linea su strada) ed è stato l’unico italiano invitato a una 24 ore in pista in UK, organizzata da Centurion Running.

Rob, partiamo dalle basi: qual è l’aspetto che più ti piace della corsa? Come sei arrivato a correre la tua prima 24 ore su pista?
La corsa ti svuota e ti riempie con nuovi pensieri e priorità, per me rappresenta un gesto semplice che mi piace fare a fine giornata per liberarmi dallo stress accumulato. Ho iniziato a correre i lunghi in pista per pigrizia: avere l’acqua ogni 400 metri senza portarne il peso, interrompere l’allenamento al primo accenno di crisi e non guardare il percorso senza l’ansia di perdersi sono aspetti che rendono il gesto atletico molto più leggero.

Perché un corridore di lunghe distanze che inizia a correre su sentieri si sposta poi su strada e infine su pista?
Solitamente è il contrario in effetti, però per esigenze lavorative ho iniziato a massimizzare il tempo a disposizione. Nella zona di Varese ci sono dei bei percorsi però quell’oretta di viaggio può diventare già una bella fetta di allenamento.

Quali sono le 3 gare dei tuoi sogni o i 3 obiettivi che vorresti raggiungere come atleta?
Mi piacerebbe una bella 100 miglia americana, di quelle corribili su sterrati polverosi, così come mi piacerebbe la Spartathlon o rifare la 100 del Passatore: la cosa bella di alienarsi in pista o su treadmill è che qualsiasi sia il contesto di gara, diventa tutto una figata assurda.

Come ci si sente in partenza a una 24 ore? Come ci si sente durante e alla fine? Che emozioni si provano?
Le gare su circuito sembrano quei film con enormi buchi di trama, non capisci dove il regista vuole portarti e ti chiedi se veramente ci sia una chiave di lettura di quello che stai vivendo. Poi a volte la scopri e altre volte no. L’inizio è sempre euforico ma dopo dieci ore capisci che ogni volta c’è lo zampino di Romero con i suoi zombie.

Ci sono dei momenti di noia in cui odi correre durante una corsa a tempo?
La parte peggiore è quella centrale, vale anche per le sei ore. Infatti, solitamente parte la playlist in cuffia e si pensa ad altro oppure se la compagnia intorno è socievole ci si conosce e si fanno due risate. Infatti, il bello delle ultra, a differenza di gare dai 10 fino a 50km su strada, è proprio la condivisione e l’aspetto umano che rappresentano per me l’elemento più importante della corsa.

Come ti prepari per questo tipo di competizioni?
Solitamente giro in pista, due ore in senso antiorario e due in senso orario, alternando così il lavoro del fisioterapista. Se non riesco ad andare in pista, infilo borraccia alla mano e faccio l’anello del cosiddetto Altopiano Etiope Prealpino che ho dietro casa: è un percorso sterrato di 6km tra piantagioni di mais e allevamenti di cavalli dentro al Parco del Ticino, una zona molto monotona, come piace a me.

C’è qualche corridore a cui ti ispiri?
Mi piace la genuinità e la semplicità di chi non si fa troppe paranoie e non trova scuse alle proprie sconfitte. Uno dei personaggi che racchiude queste qualità è Giorgio Calcaterra, nonostante perda gradualmente di competitività smuove emotivamente un vasto pubblico, sia per il retaggio del suo palmares, sia per i messaggi positivi che trasmette.

Raccontaci un aneddoto che ti è successo in una di queste gare.
Abbiamo parlato di gare di 24 ore ma sai qual è la cosa buffa? Non ne ho mai finita una! Anni fa, intorno alla quindicesima ora, mi son ripromesso di sdraiarmi per riposare pochi minuti sulle brandine che l’organizzazione metteva a disposizione in un locale adiacente alla pista. Mi son svegliato il mattino dopo quando mancava meno di un’ora alla fine.

C’è qualcosa che vuoi dire ai corridori che leggeranno questa intervista?
Il fascino della corsa è l’essenzialità, lo abbiamo riscoperto con il lockdown. Non serve avere gare pianificate, non servono percorsi di montagna mozzafiato, bastano un paio di scarpe.

Cosa vuoi dire ai non corridori che leggeranno questa intervista?
Preparate un paio di scarpe, prima o poi arriverà quella giornata storta o quello strano senso di irrequietudine generato da svariati problemi. Vi anticipo solo che la corsa ha risolto i miei.

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