EDITO
Quasi tutti i libri di storia dell’alpinismo iniziano il 24 aprile del 1336, il giorno dell’ascesa di Francesco Petrarca al Mont Ventoux. Qualche giorno dopo Petrarca scrive a Dionigi da San Sepolcro raccontandogli la scalata: è il primo stralcio di scrittura alpinistica, e non è molto diversa da quella dei pionieri romantici di cinque secoli dopo. Da quel momento il racconto della salita diventa importante quanto la salita stessa, il suo lasciapassare per la storia.
La scrittura di montagna diventa un genere letterario a tutti gli effetti, ma a fianco alle pagine di Whymper, Comici e Bonatti, l’alpinismo inizia a raccogliere anche tutta una letteratura minore fatta di brevi resoconti sui libri di vetta, sui taccuini personali o sulle riviste alpinistiche. Questa scrittura povera e schietta viene ereditata in pieno dall’alpinismo degli anni settanta e dai nuovi sport che nascono in quel periodo, e i resoconti di questi nuovi avventori delle terre alte spazzano via in pochi anni tutta la retorica stantia e l’espressività ammuffita che quella letteratura si portava appresso.
Negli stessi anni nasce l’ultrarunning, che in quel momento assomiglia molto al mondo dell’arrampicata sportiva. Negli anni ottanta lo sport cresce, e gli ultramaratoneti iniziano a sparpagliare i resoconti delle loro corse dove capita. Nascono riviste che raccolgono resoconti e risultati di gare, come UltraRunning magazine: più che grandi parole ci si trovano numeri, accompagnati di tanto in tanto da una didascalia o da un’immagine microscopica. Questi resoconti assumono ancora più importanza con la nascita degli FKT, simili a imprese alpinistiche. Ma se gli alpinisti scrivono per dimostrare la loro impresa, i corridori scrivono per aiutare gli altri a ripetere la propria.
I pionieri dell’ultrarunning non sono giovani inglesi di buona famiglia che recitano Shakespeare a memoria, ma fisici e informatici di Stanford. Così, appena arriva internet, quei racconti si riversano prima nei blog e poi nei forum e nelle newsletter. Negli anni 2000 qualcosa inizia ad arrivare anche in Italia. Qui la corsa in montagna esiste da decenni, ma solo ora inizia a diffondersi davvero: nel 2002 nasce il Grand Raid du Cro-Magnon, nel 2003 UTMB, nel 2007 LUT. Nascono anche i blog, i Trail Autogestiti, e le riviste, come Spirito Trail. A scriverci sono blogger, appassionati, nerd. Alcuni di loro diventeranno organizzatori di gare, atleti, allenatori, ma in quel momento non sono ancora nessuno. Sui forum gli utenti discutono, si scambiano opinioni sul materiale e sull’alimentazione. Poi tutto questo inizia a scomparire, i blog scompaiono e arrivano i social. Da qui in poi la storia la conosciamo.
Fare uno speciale trail significa mettere il piede in questo processo. Abbiamo pensato questo numero come una sedimentazione di quelle esperienze. Di come sia cambiato il modo di raccontare la scena ne ha parlato Davide Fioraso con i fondatori del magazine inglese “Like The Wind”. Di come stia cambiando la scena internazionale invece ne abbiamo parlato con Dylan Bowman, in una lunga intervista di un’ora e un quarto che vi riportiamo in versione più o meno integrale. Abbiamo anche parlato di cose più vicine, in particolare di una bolla che negli ultimi anni ha preso piede in Italia, grazie a tre o quattro persone a cui dovremo sempre tanto, lo abbiamo fatto con Alessandro Locatelli e Marcello Marcadella. Abbiamo poi parlato di atleti attraverso la voce di un atleta: Francesco Puppi, che ultimamente si sta dando da fare per creare contenuti positivi in Italia. Ai fotografi che hanno collaborato con noi abbiamo dato carta bianca, cercando un linguaggio diverso, con i servizi di Matteo Pavana, Andrea Torresan e Elisa Bessega (che ha poi parlato dell’argomento con Larry Gassan, leggenda della fotografia della corsa negli US). Abbiamo parlato anche di brand, grandi e piccoli, di film e di progetti indipendenti. E poi abbiamo parlato delle persone che questa grande scena la portano avanti, che leggono la nostra rivista, e che ogni giorno si mettono un paio di scarpe ed escono a correre.
Filippo Caon