Image Alt

A Chamonix con Francesco Puppi e Tyler Green

By Denis Piccolo

Photos Denis Piccolo

Durante le giornate più colorate dell’anno a Chamonix, abbiamo avuto la fortuna di poter alloggiare allo Chalet Nike, condividendo qualche giornata con alcuni dei protagonisti della settimana di UTMB. Fra gli ospiti che abbiamo potuto conoscere meglio, due runner dall’età, background ed esperienza diversa che per noi è stato bellissimo poter conoscere più da vicino. Francesco Puppi, ormai parte della famiglia di The Pill ma che siamo soliti vedere in modalità “dirtbag” durante le gare oppure “nerd del prodotto” durante i nostri test, è, sia prima che dopo la sua strabiliante performance, sotti i riflettori e impegnato ad incontrare amici e seguito da tutto il mondo. Tyler Green è arrivato dagli States con la sua famiglia dopo un secondo posto alla regina delle ultra, Western States, per concludere in bellezza la stagione. Il sogno della top ten, i mille dubbi, i sacrifici, ma anche una moglie che corre OCC ed un gran finale con un settimo posto overall. Noi di quei giorni pre gara abbiamo tanti ricordi di momenti semplici, e queste poche righe di chiacchiere davanti ad una birra.

Perché il trail e non la strada?

Francesco. Mi piace che tutto nel trail sia imprevedibile e che le variabili siano più numerose, in una gara di trail devi prestare attenzione a molti più fattori ed il tuo sforzo percepito è di gran lunga più rilevante. Non è che il trail running mi piaccia più della strada, come ripeto sempre Io sono un corridore, punto. Su ogni superficie!

Tyler. Quando sono su strada spesso mi metto a cercare ostacoli, perché sento che più riesco a incorporare il gioco nella corsa, più questa risulta divertente e coinvolgente. Se davvero analizziamo questo sport, ci accorgiamo che non si tratta solo di corsa: è piano, salita, discesa, anche un sacco di camminata e movimenti laterali evitando ostacoli e via dicendo.

Spostiamoci su running e lifestyle: come mantieni in equilibrio corsa e vita al di fuori della corsa?

Tyler. Sono stato maestro alle scuole medie per un paio di anni e parallelamente facevo anche il coach di cross country, e conciliare tutto non era facile. “Sveglia presto, corsa, dimentica il corridore per il resto della giornata”. Quest’anno sono riuscito a lasciare la posizione da insegnante, continuando a fare un po’ di coaching. Mia moglie ed io abbiamo una bambina di undici mesi ed entrambi corriamo per Nike, per cui dobbiamo coordinare la corsa di entrambi con la cura della bambina. Questo sport richiede tanti sacrifici ma è importante dedicare il giusto tempo e mente alle altre cose importanti della vita, basti immaginare la possibilità di un infortunio: è importante avere una rete di cose intorno a sé che contribuisca alla salute mentale e a dare valore alla propria vita.

E tu Francesco? Come mantieni l’equilibrio tra la vita fuori e dentro la corsa?

Francesco. (Ride) Non penso di averlo ancora decifrato appieno. È sempre un equilibrio precario tra la vita da atleta, i tempi di recupero e tutto il resto. In alcuni periodi mi concentro sull’allenamento e cerco di liberare del tempo da altri hobby e occupazioni. È chiaro che tutto ciò non è sempre possibile, e occasioni come questa, in cui Nike segue tutto il team verso una gara, per me sono incredibili. Permettono a noi atleti di essere presi in cura, di avere intorno persone che si occupano di noi con la massima attenzione e gentilezza. Potrebbe succedere più spesso, non mi dispiacerebbe (ride). E poi voglio menzionare che è importante non lasciare che la corsa ti definisca. Può essere pericoloso, i tuoi risultati non definiscono chi sei, ci sono altre cose di cui devi occuparti nella vita.

Quanto spesso ti alleni? E c’è un luogo in particolare dove ti piace allenarti?

Francesco. Mi alleno tutti i giorni, a volte due volte al giorno. Occasionalmente mi prendo un giorno di riposo e alla fine il volume si aggira intorno alle 15-20 ore a settimana, con una media di 160km. Oltre a ciò ho alcune sessioni di cross running. Mi piace l’approccio “tortura” diciamo, superi la porta di casa e corri. Certo, a volte c’è bisogno di allenarsi su terreni specifici, ma la flessibilità è la chiave.

 Tyler. Il mio allenamento consiste in un range stabile di 80-90 miglia, il che significa 140-150km circa a settimana. Poi, un fattore che sono piuttosto convinto sia essenziale per me, è l’aggiunta di alcuni allenamenti specifici. Non tutti i corridori ne hanno bisogno, ma io ho 39 anni e, insomma, più si invecchia più quell’extra diventa necessario, per cui aggiungo sessioni di rafforzamento core e di lavoro biometrico. Infine c’è il training camp, anche quello essenziale per me. Tre o quattro giorni di lunghe distanze, in cui verso gli ultimi due inizio a correre con fatica. È nella fatica che simulo ampie parti della gara e solidifico le mie intenzioni.

Quali sono I percorsi che preferisci quando si tratta di downhill o uphill?

Francesco. Per quanto riguarda sentieri downhill, uno dei ricordi più divertenti risale all’anno scorso. Una corsa di 22 miglia che feci con Tyler sul Mount Hood nel Pacific Crest Trail. È stata parecchio speciale, scendeva fulminea e il panorama era semplicemente bellissimo. Sono rimasto molto ispirato da quella corsa. Per quanto riguarda la salita… Penso che un posto molto popolare e in semi-salita sia il Barr Trail in Colorado. Rocce rosse e terreno arido. È molto speciale, un’atmosfera unica.

Per quanto riguarda NikeCos’è che il brand ha da offrire al mondo del trail e cosa lo distingue dagli altri brand?

Tyler. Il mondo del trail running è rappresentato come un incontro tra aziende di montagna e aziende di corsa su strada, e quindi come il mescolarsi di due mondi fondamentalmente diversi, con stili di corsa e modi di realizzare i prodotti differenti. Ogni brand ha la sua visione delle cose ed è un fattore cruciale che Nike abbia quel passato su strada. Significa, tra le altre cose, che Nike ha un mucchio di partecipazione nel running su strada e, quindi, un mucchio di opportunità di portare nuove persone al mondo del trail running. Non c’è bisogno di gettare la gente su sentieri dritti come muri. Come in ogni disciplina, c’è una dimensione del trail accessibile a tutti e godibile da tutti.