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Al Campo Base dell’Everest a 4 anni: la storia di Zara

By: Ilaria Chiavacci

Dalla voce del padre David, ecco la storia completa della bambina che insieme al fratellino Saša (7 anni) ha raggiunto il mitico base camp all’età record di 4 anni.

Zara

Nelle pagine di questo magazine leggete spesso di imprese estreme, più o meno spettacolari, più o meno pericolose. Raggiungere il campo base dell’Everest certamente non è un’impresa, a meno che non si abbia quattro anni, come Zara, la protagonista di questa storia bizzarra che ha catturato l’attenzione dei media per il “record” legato alla minuscola età della bambina, ma che in realtà ha più di un risvolto.

Fare il genitore è certamente un mestiere difficile e in questi tempi probabilmente lo è ancora di più: con questa intervista abbiamo semplicemente voluto provare a capire quale sia stato il percorso che ha portato una bambina tanto piccola a camminare per giorni a temperature ben al di sotto dello zero e ad un’altitudine in cui l’ossigeno scarseggia. Incontro Zara, suo fratello Saša (che è il diminutivo di Alexander) e il padre via Zoom: sono tornati dal Nepal alla Malesia, dove da qualche anno vivono per una scelta che David definisce “politica”: “Siamo originari della Repubblica Ceca, ma non ci piaceva più vivere in Europa perché non ci rivediamo nel modo in cui la politica organizza la vita. Magari va bene per gli affari, ma non per le persone come noi, che non sono orientate al profitto, ma che si accontentano di portare avanti piccoli business. Ecco perché abbiamo deciso di trasferirci in Asia: non vogliamo fare la vita dei dipendenti e qui non c’è socialismo che tenga, puoi portare avanti i tuoi affari senza essere stritolato dalle tasse come in Europa, qui noi ci sentiamo liberi. Noi ci consideriamo a tutti gli effetti dei rifugiati contro il socialismo.”

Zara e Saša

Che passaporto avete?

Europeo, come Saša. Zara invece è nata in Canada, ma sempre per una ragione politica: noi non ci fidiamo più dell’Europa e abbiamo voluto darle il passaporto di un paese nelle cui politiche crediamo di più. Non è nostra intenzione andare a vivere in Canada, ma vogliamo riservare a nostra figlia, e a noi stessi, la possibilità di farlo nel caso in cui avessimo problemi qui. L’Europa non è più un’opzione.

L’idea quindi è di crescere Saša e Zara in Malesia…

Noi stiamo crescendo i nostri figli come la logica evolutiva vorrebbe, non come la società civilizzata vorrebbe che facessimo. Un’altra delle cose che non ci accomuna più all’Europa è il modo di crescere i bambini. Secondo noi il modo migliore di educare un essere umano alla vita è quello che utilizzano, ancora oggi, le tribù indigene, specialmente per quello che riguarda il rispetto della natura e il rapportarsi ad essa, che comprende anche il saper sopravvivere in ogni situazione. La società occidentale oggi non insegna ai suoi bambini nulla di tutto ciò. Noi ad esempio li facciamo camminare per due ore nella giungla tutti i giorni, altrimenti come fanno a sviluppare i muscoli che gli servono? Quello che facciamo in fondo è semplice: seguiamo gli insegnamenti delle tribù indigene, anche se non comprendiamo tutto perfettamente, cerchiamo di seguire il più possibile quello che fanno loro.

Qual è stato il percorso che vi ha portato a scegliere questo metodo educativo?

La mia compagna è un’insegnante e quando abbiamo iniziato a pianificare una famiglia io avevo già 44 anni. Lei voleva dei figli, ma io non riuscivo a vedere il modo di poterli crescere nella società di oggi secondo le mie convinzioni. Ho dovuto vincere le sue resistenze. Inizialmente lei avrebbe avuto voluto impostare la nostra genitorialità in maniera molto più protettiva, ma poi sono riuscito a convincerla, riuscendo a spostare il suo mindset occidentale verso uno più naturale e ancestrale.

D’accordo, veniamo ora al percorso che vi ha portato a raggiungere il campo base dell’Everest insieme a Zara…

Contrariamente a quello che la gente può pensare, noi non avevamo in testa di conquistare chissà quale record. È successo tutto in maniera molto naturale ed è in qualche modo frutto di come stiamo crescendo i nostri ragazzi. Noi non li stiamo allenando per le olimpiadi o per qualcosa di specifico, semplicemente vogliamo che siano preparati alla vita. Questo però fa sì che il loro “livello” sia più alto rispetto a quello dei ragazzi della loro età che crescono nelle società occidentali. Noi facciamo quello che facciamo per far sviluppare i loro corpi, ma anche per allenare le loro condizioni mentali. Quando poi si tratta di scegliere le vacanze cerchiamo di portarli in posti che possano essere al loro livello, a settembre ad esempio siamo andati in bicicletta in Giordania per 2000km.

Zara e Saša

E l’Everest come è venuto fuori?

Era un desiderio di Saša, era molto attratto dall’idea di andare sulla catena himalayana. Per accontentarlo abbiamo raggiunto degli amici a Kathmandu: sapevamo che lui sarebbe stato in grado di salire fino al Campo base dell’Everest, dopo che lo scorso anno aveva raggiunto quello dell’Annapurna, ma non sapevamo che anche Zara fosse già così potente. La cosa che non ci aspettavamo è stata la sua resistenza al freddo, dopotutto è cresciuta in una zona tropicale, non c’è mai freddo qui. Comunque, quando siamo arrivati abbiamo deciso di cominciare con un piccolo trekking, dopodiché abbiamo raggiunto Lukla, dove la maggior parte della gente atterra per raggiungere il campo base dell’Everest se non ha tempo e la cosa buffa è che noi, sebbene partiti da più lontano, ad un certo punto ci siamo mescolati con queste persone e Zara le ha sorpassate tutte. Questo ci ha fatto capire che potevamo raggiungere il campo base senza problemi. Da Lukla siamo arrivati quindi a Namche Bazar e da lì siamo andati ancora avanti, piano piano, dandoci modo di acclimatarci tanto al freddo quanto all’altitudine. Abbiamo misurato costantemente il livello dell’ossigeno nel sangue di Zara ed era sempre a più di 90, lo stesso per Saša. In totale ci abbiamo messo 18 giorni: molti arrivano dell’Europa con pochissimo tempo a disposizione e non si danno il giusto tempo, ma una volta gestito questo aspetto il percorso che porta al campo base non presenta grosse difficoltà.

Come mai un bambino di 7 anni è ossessionato dall’Himalaya?

Nella sua breve vita è stato già in più di 50 paesi. Abbiamo fatto anche un sacco di trekking sulle Dolomiti, gli piace molto camminare e ha raggiunto più di una cima oltre i 2000 metri, ma ama la montagna in generale. Lo abbiamo portato anche in Alaska e in Islanda. I nostri figli sono più forti ma, in virtù del modo in cui li abbiamo cresciuti, sono anche più avanti mentalmente. Posso capire che risulti strano, ma a ben pensarci in Europa, e posso immaginare che succeda anche in Italia, molti genitori spingono parecchio sulle attività sportive dei propri figli, spingendoli ad essere competitivi e ad allenarsi molto. Noi non vogliamo nulla di tutto questo per loro, ma solo prepararli alla vita senza uno specifico obiettivo da raggiungere, il nostro obiettivo è regalare loro un corpo forte e una mente altrettanto forte.

Avete in programma altre vacanze estreme?

Io non le definirei estreme, ma ad ogni modo Zara ci ha chiesto durante il prossimo viaggio di raggiungere il campo base dell’Annapurna, che è più basso dell’Everest, quindi non credo avrà problemi.

È piuttosto acculturata su quello che riguarda le montagne…

Molto, ed è anche brava nel maneggiare le applicazioni. Ha il livello che un bambino in Italia raggiunge verso i sei, sette anni. Parla tre lingue.

Zara e Saša