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L’Alta Via, il meglio delle Dolomiti

Text & photos by Simone Mondino

Walter Bonatti una volta disse: “Guarda se uno deve arrivare fin qui per inseguire i propri sogni, per non essere là nella confusione, tra gli esseri umani che sono lì, per divertirsi o comunque per cercare qualche cosa che non ha nulla a che vedere con quello che cerco io!”

L’essenza dell’Alta Via è racchiusa in questa semplice e breve definizione.
Quale modo migliore per raccontare i 150 chilometri, le oltre 50 ore, gli 8770 metri di ascesa e gli 8510 metri di discesa?
Ma i numeri alla fine non sono altro che una traccia della distanza percorsa. Che non tengono conto di quello che la montagna ed il cammino ti hanno lasciato dopo una full immersion con il corpo, con la mente e con lo spirito a tu per tu con Madre Natura.
L’Alta Via è un sogno per ogni amante della montagna ed, in particolar modo, un regalo indelebile ed indimenticabile proprio alla vigilia dei dieci anni delle Dolomiti quale patrimonio Unesco. Una nuova via alternativa alle classiche dolomitiche, un’attraversata di circa 150 chilometri del Südtirol da ovest ad est, partendo da Tiers, a pochi chilometri di distanza da “casa Salewa”, e arrivando fino alla Val Fiscalina, proprio al confine con la provincia di Bolzano.
Un percorso di oltre 50 ore tra salite, discese, vie ferrate, e-bike e, perché no, anche sperimentando il brivido del parapendio.
Oltre a me, una decina tra giornalisti, fotografi e bloggers provenienti da mezza Europa, tutti capitanati da Egon Resch, guida alpina altoatesina che ci ha condotti in quest’avventura lontani dallo stress, dalle automobili, dai telefonini e dal mondo iperconneso. Qui, quasi al confine con il mondo moderno, gli orari seguono l’andamento del sole e delle stelle e non quelli di schemi prestabiliti dalla società. Confinati in uno “spazio” perfetto, circondati dalla bellezza e dall’unicità di alcune delle montagne più importanti d’Italia, dalle Tofane alle Tre Cime di Lavaredo passando per il Catinaccio, il Monte Cristallo, il Pelmo e molte altre vette memorabili.

Fin dal primo giorno si capisce la grandezza di questo viaggio dolomitico. Attraversando la Valle del Ciamin ci si trova di fronte prima il Catinaccio e quindi le Torri del Vajolet, che ci accompagneranno durante la salita fino ai 2134 metri del Rifugio Bergamo – Grasleitenhütte dove abbiamo trovato ad attenderci dell’ottimo cibo tirolese e una stellata incredibile.
Giusto qualche ora di sonno ed è già il momento di ripartire. La seconda giornata si è rivelata un continuo sali e scendi attraversando il Passo di Molignon, in un’atmosfera paesaggistica quasi lunare che ci ha lasciato senza parole, per poi ridiscendere al Rifugio Alpe di Tires e proseguire verso il Rifugio Friedrich August affiancando i Denti di Terra Rossa ed il Sassopiatto, per ammirare nuovamente le stelle che ci hanno fatto compagnia durante le numerose chiacchierate notturne dell’Alta Via.
Al passare dei giorni anche i chilometri iniziavano a farsi sentire ma l’adrenalina rimaneva comunque alta mentre ci avvicinavamo alla via ferrata delle Meisules.
Si tratta di una delle ferrate più antiche, risalente addirittura al 1912, che attraverso  paesaggi esposti e panorami mozzafiato ci ha portato prima all’altopiano del Sella al Rifugio Franz Kostner ed in seguito ad oltre 2500 metri. Lí alcuni di noi hanno scelto di godersi la bellezza dell’Alta Badia bivaccando all’aperto sotto l’ennesimo manto di stelle per poi proseguire il giorno successivo verso Civetta, Marmolada e Pelmo.
Uno di noi, estratto a sorte, ha anche la fortuna di sorvolare la vallata e di raggiungere il Passo Campolongo in parapendio mentre il resto del gruppo è sceso  a piedi tra rocce e pini mugo circondati da un tripudio di colori, per poi saltare in sella alle nostre e-bike verso Pralongià a 2.109 metri e quindi giù fino alla Capanna Alpina. Da lì la salita fino alla Capanna Scottoni e poi direzione Lago del Lagacio dove i più temerari si sono tuffati per rinfrescarsi un po’ prima di ricominciare il percorso che dopo 31 chilometri ci ha ricondotti alla Capanna Fanes.

Ed è proprio in quel momento che ci siamo resi conto di come sia ancora bello ogni tanto fare un passo indietro, staccarsi da tutto e tutti, anche semplicemente usando il vecchio telefono a gettoni del rifugio sorseggiando un po’ di birra sulla terrazza. Quell’ennesima giornata lunga ed intesa stava volgendo al termine, lontani dai rumori della città, circondati dal silenzio della notte alpina tra risate e curiosità.
Nonostante i chilometri continuavano ad accumularsi giorno dopo giorno, la fatica quasi non si sentiva perché quello che l’Alta Via porta con sé è una vera e propria famiglia. Sembra pazzesco da raccontare ma è proprio così, delle persone che fino ad alcuni giorni prima neanche si conoscevano avevano in pochi giorni sviluppato un legame di profonda amicizia, una magia a tutti gli effetti che solo la montagna può creare.
Ci attendeva ormai solo l’ultima parte del viaggio. Ci siamo diretti verso est raggiungendo prima la Valle di Fanes verso le omonime cascate sempre sotto un sole cocente. Il percorso permette di attraversare da “dentro” questi 90 metri di acqua, probabilmente le più alte delle Dolomiti, grazie ad una piccola via ferrata arrivando fino alla loro base. Uno spettacolo incredibile, proprio come lo zig-zag verticale che ci ha portato a risalire la valle fino al Gran Foses e quindi al Rifugio Biella, proprio ai piedi della Croda del Becco dove il giorno seguente siamo saliti per ammirare l’alba con in lontananza le Tre Cime di Lavaredo, il Pelmo, il Monte Cristallo, le Tofane e sotto di noi il turistico Lago di Braies.
Dopo giorni di sole e temperature bollenti, un’ultima alba infuocata ha lasciato spazio a nuvole sempre più minacciose e rovesci di pioggia che arrivavano da ovest e che ci hanno accompagnano tutto il giorno tra pinete, prati e brevi passaggi ferrati fino al Rifugio Vallandro, dove abbiamo incontrato un vero e proprio temporale.

Al risveglio, abbiamo trovato una fitta nebbia ma appena ci siamo lasciati alle spalle il Rifugio, le Tre Cime di Lavaredo hanno fatto di nuovo capolino in lontananza, pronte a darci il benvenuto.
Quella vista ci ha rincuorato ed abbiamo affrontato gli ultimi 20 chilometri tra fatica accumulata nelle gambe ed i numerosissimi sali e scendi, per poi arrivare alla sera al Rifugio Locatelli dove la vista dalla nostra camera è stata senza precedenti. Sembrava veramente di toccare le Tre Cime, e anche il cielo che si stava facendo a tratti sempre più minaccioso non poteva che regalare emozioni non stop.
Impossibile riposarsi con montagne così importanti, così leggendarie di fronte a noi e così dopo un paio di ore ci siamo ritrovati nuovamente in piedi ad aspettare l’alba. L’ultima di questa nostra avventura. Solamente 12 chilometri ci separavano dalla fine dell’Alta Via, e così dopo aver costeggiato il Monte Paterno, siamo giunti infine in Val Fiscalina, tappa conclusiva del progetto Salewa.
La nostra Alta Via è stata tutt’altro che banale. Ci ha segnato, ci ha portato a conoscerci meglio e ci fatto scoprire i nostri limiti ma anche a capire l’importanza di inseguire i propri sogni e soprattutto ci ha portato a comprendere ancora di più l’immensa bellezza della montagna. Ci ha permesso di diventare un tutt’uno con la natura, vivendola  a 360 gradi, lontano dal turismo di massa ma vicino alla bellezza della semplicità.
E l’essenza dell’Alta Via, ancora una volta, potrebbe essere racchiusa in una semplice e breve definizione, quella di Reinhold Messner: “La decisione più importante della mia vita è stata la decisione di vivere obbedendo ai miei desideri, alle mie idee e ai miei sogni.” 

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