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Bivacco

By Gianluca Gasca
Powred by Salewa

Un bivacco, luogo transfrontaliero d’incontro e condivisione, esposto sull’isola di San Servolo in occasione della 58. Edizione della Biennale d’arte di Venezia. Un’idea partorita dall’associazione altoatesina ArtintheAlps che, congiuntamente al brand bolzanino Salewa, ha voluto rappresentare in modo forte e quasi fisico l’animo della terra altoatesina: un luogo aperto, oltre i confini, dove le montagne non sono barriera ma cerniera tra il nord e il sud d’Europa. Per questo, in occasione dei cento anni dalla stipula del trattato di Saint-Germain che divise il Tirolo attribuendo all’Italia Alto Adige e Trentino, uno storico bivacco eretto nel 1972 da Reinhold Messner in memoria del fratello Günther, tragicamente scomparso nel 1970 sul Nanga Parbat (8125 m, Pakistan), si è trasformato in arte.

Un vero bivacco a Venezia
Fa un certo effetto, passeggiando nel bel giardino dell’isola di San Servolo, imbattersi in un vero bivacco dolomitico. Oggi non si producono più bivacchi fissi di questo tipo, in lamiera e con ben poche comodità. D’altronde la loro funzione non è certo quella di offrire comfort e bellezza. Il bivacco è un rifugio d’emergenza, un ultimo avamposto umano in terra d’avventura, a cui appoggiarsi in caso di necessità. Luogo sempre aperto dove vigono regole non scritte, come la condivisione e la fratellanza. Quando si bivacca si è tutti fratelli e, per quanto possa essere romantico nel racconto, bivaccare non è mai piacevole. A dirlo schiettamente è Simon Messner, figlio di Reinhold e nipote di Günther. Bravo alpinista (buon DNA non mente) che lo scorso 17 settembre, in occasione della sua presentazione come atleta Salewa, è stato protagonista di un interessante dialogare insieme a Patrizia Spadafora (presidente ArtintheAlps), Christiane Rekade (curatrice del progetto Bivacco) e Stefan Rainer (general manager Salewa).
Esposizione immaginata dall’artista Hannes Egger, ha richiesto innanzitutto il permesso da parte di Reinhold Messner al trasloco della storica struttura che in via definitiva entrerà a far parte del circuito museale dei Messner Mountain Museum. Trasportato quindi dai 2510 metri, ai piedi della parete nord della Gran Vedretta, fino agli zero metri dell’isola di San Servolo il bivacco ha dapprima subito un restauro, avvenuto per mano della stessa persona che cinquant’anni fa l’ha costruito, quindi è passato nelle mani di Rekade a cui è stato affidato il compito di portare l’arte, dentro l’arte. Il bivacco in se, posizionato nel contesto veneziano, si materializza come una specie di UFO arancione agli occhi dei visitatori. Un oggetto sconosciuto ai più, al cui interno si trovano, oltre ai classici prodotti di necessità come candele, pale da neve, coperte o una piccola stufa, anche sette opere di sette artisti.

Sette opere per sette artisti
Deve aver fatto un certo effetto agli maestri d’arte trovarsi di fronte a un bivacco da immaginare come spazio espositivo. Piccolo e minimamente attrezzato, sempre aperto, non custodito e non climatizzato. Una vera sfida a cui hanno aderito con coraggio sette giovani ragazzi. Primo tra tutti Hannes Egger, ideatore di tutto il progetto Bivacco, che ha immaginato un adesivo ispirato a quelli lasciati negli anni dai club alpini. Solitamente contengono il numero d’emergenza da contattare in caso di necessità, quello dell’artista ha invece un codice QR che permette di scaricare sul cellulare una performance audio in grado di accompagnare fisicamente il visitatore nella storia del riparo. Ad accompagnarci nei primi approcci con la struttura è l’opera di Jacopo Candotti, che fondendo monete da 20 centesimi di Euro ha lavorato il metallo risultante a formare una maniglia che si avvolge all’originale. Un rimando all’Europa e ai suoi fragili ideali dove l’Euro sembra rimanere una delle poche forze trainanti e transfrontaliere. Dentro sono Simon Perathoner e Nicolò Degiorgis a ricordarci la vera anima del bivacco. Struttura alpina Perathoner ha intagliato in un blocco di Dolomia la formula chimica del minerale stesso inviando, simbolicamente, la montagna al mare; Degiorgis immagina invece tutto un altro panorama per le Dolomiti andando a prendere le pagine della rivista “Peak”, che rappresenta il gruppo montuoso attraverso le forme di vette e valli, e disponendo la foto di mezza montagna accanto alla metà di un’altra montagna.
Anche le fodere delle coperte di lana diventano arte grazie a Maria Walcher che mette insieme i sentieri transfrontalieri, usati dai pastori per raggiungere i pascoli, alle vie di fuga dei migranti in Europa. I primi ricamati sul cotone, le seconde tinte in blu: insieme danno vita a una costellazione, punto d’orientamento o speranza per il futuro. Lascia invece tante domande l’opera di Leander Schönweger che trasforma il bivacco in una chiesa di montagna, un’idea visionaria della struttura che apre a domande e riflessioni.
Julia Frank, la più giovane tra gli artisti coinvolti, si ispira infine alla storia di Günther Messner installando bandiere fatte di corde colorate ai lati del bivacco. Grazie a un intreccio di nodi su queste bandiere compaiono le scritte “lie” – bugia – e “true” – verità – a ricordare la lunga lotta portata avanti da Reinhold per rivendicare la veridicità sugli eventi del 1970 e come, con la scomparsa di Günther, la sua versione dei fatti se ne sia andata per sempre con lui.