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Il Cile in bicicletta

By Vottero “Sisa” Elisa e Oliver “Olly”Mondino

Powered Giant, Liv, Salewa

Avevamo un piano ben definito Olly ed io.
Attraversare il Cile in bicicletta. Io sarei poi passata ad un paio di sci mentre Olly allo snowboard. Un piano semplice e lineare.
Dopo attente ricerche avevamo individuato 6 vulcani, in mezzo agli oltre 200 del paese, che valeva davvero la pena vedere ed eravamo pronti a macinare chilometri in bici per raggiungerli.

Lasciamo quindi l’Italia durante un torrido ferragosto e ci risvegliamo 18 ore dopo nel fresco inverno di Santiago. La prima tappa è Termas de Chillan, ma nel momento esatto in cui tocchiamo il suolo cileno capiamo che del nostro bel piano, minuzioso e dettagliato, ce ne saremmo fatti ben poco. Conosciamo subito la pioggia che ci accompagnerà per molto tempo. La sentiremo penetrare fino alle ossa, ci sporcherà e ci farà perdere la pazienza, ma si rivelerà anche utile quando d’improvviso lascerà spazio al sole e ci regalerà arcobaleni e colori tanto inimmaginabili da togliere il fiato. Ci inviterà alla calma e alla riflessione, perché la pioggia porta con sé il silenzio, e a noi non resta che lasciarci andare ad essa.
Dunque il primo giorno cambiamo anche per la prima volta il nostro programma, ci dirigiamo verso il nostro secondo obbiettivo, Antuco. Questi ulteriori chilometri in bici ci servono per rodarci ,la bici è pesante ma nonostante tutto, in quell’istante, mi sento una delle persone più felici al mondo. A darci il benvenuto qui è un nuovo amico, il vento e aspettiamo un po’ prima di provare a salire con la speranza che cali. Ci facciamo strada tra un cratere e l’altro sotto un cielo azzurro e un sole caldo. Sorrido mentre mi giro a guardare il panorama e penso che, nonostante tutto, abbiamo iniziato nel migliore dei modi.

Nella prima parta del viaggio la bici ci serve per spostarci da un vulcano all’altro, è il turno di Lonquimay, dove troviamo finalmente bel tempo. Dopo qualche ora di ascesa conquistiamo anche questo gigante. Lo spettacolo dalla vetta è magnifico. In lontananza si vedono gli altri vulcani che ci aspettano e, poco più in là l’Argentina, con i suoi vulcani su cui si può sciare all’interno dei crateri. La natura è veramente spettacolare.
I chilometri in bici aumentano, il vento e la pioggia non ci mollano quasi mai e ci fanno saltare altri due vulcani. Arriviamo all’Osorno, i local dicono che il giorno successivo sarà buono per salire.
Dormiamo sotto un cielo di stelle che raramente ho visto così affollato. Mi sembra di vedere la Via Lattea per la prima volta nella mia vita.
Il giorno successivo mettiamo le pelli, impazienti di salire. Sembra tutto perfetto, il cielo è di un blu intenso e splende il sole, ma il vento arriva all’improvviso e più saliamo più aumenta, ci schiaffeggia per bene e ci insegna una lezione che non dimenticheremo. Togliamo le pelli a qualche centinaio di metri dalla cima e ci godiamo la discesa primaverile in questo panorama lunare.
Era il nostro ultimo vulcano, è stato bello rimettere gli sci ai piedi in pieno agosto, dall’altra parte del mondo. Arriviamo a Puerto Montt, dove inizia la Carretera Austral definita “una delle strade più belle del mondo”, pronti per la Patagonia. È estate e non sarà calda e asciutta ma la scelta di questa stagione è voluta proprio per poter viaggiare solo con il delicato rumore delle nostre bici a contatto con la terra.
Qui inizia il viaggio vero e proprio, quello che ti fa fare la bici dentro di te e ti provoca sensazioni così forti ed intense che quasi spaventano per la loro purezza.

Il Cile è sorridente, curioso, bello da morire e l’unico limite è rappresentato dal tempo che avete a disposizione per visitarlo. Questo è stato il nostro problema.

Ho una visione romantica della vita e la bici rappresenta il mio posto nel mondo, la dimensione in cui mi sento più a mio agio, anche su di un sellino e con tutti i dolori annessi. Quando sono lì sopra tutto mi sembra molto più chiaro.
È davvero la combinazione perfetta, neve e bici, rispettosamente la spensieratezza e la saggezza. Gioie e dolori per entrambe. Metri e chilometri. Polvere.
Ci avventuriamo così nel silenzio assordante della Carettera. Mentre organizzavamo il viaggio ho subito escuso la tenda. So per esperienza che dopo 8/9 ore in bici, riposare bene è importantissimo. Ma anche questo si rivela un errore, d’inverno la Patagonia è in letargo ed è difficile trovare dove dormire e mangiare. I nostri chilometri aumentano mentre ci trasciniamo tra un pueblo e l’altro in cerca di ristoro.
Non posso dire che sia stato facile, il vento della Patagonia è talmente forte da far sembrare il vento del nord una cosa normale in confronto. La pioggia ha rallentato tutto e le strade sterrate sembravano non finire mai.
I dislivelli importanti hanno involontariamente migliorato la nostra forma fisica e soprattutto quella mentale, perché quando le gambe urlavano a pochi metri dalla fine della salita la testa le zittiva con un semplice: “tranquilli, ne varrà la pena”. Ed era vero, ad ogni goccia di sudore corrispondeva un spettacolo visivo direttamente proporzionale alla fatica appena fatta.
Ogni centimetro percorso ha riempito di scenari pazzeschi i nostri occhi: dai laghi ai ghiacciai innevati, dai vulcani ai campi di gelo della Patagonia, dalle città alla Pampa, dai condor alle foche passando per gli alpaca. E infine la gente, così amabile da salutarti sempre con un semplice bip del clacson.

Il Cile è sorridente, curioso, bello da morire e l’unico limite è rappresentato dal tempo che avete a disposizione per visitarlo. Questo è stato il nostro problema.
Il traguardo non è stato raggiunto, non siamo riusciti a percorrere tutta la Carettera Austral, e adesso, a mente fredda, penso che in fondo sia stata una conseguenza di quello che sentivamo dentro, ammaliati da tutta quella natura in perfetta sintonia con la terra che la ospita, speravamo che il viaggio non finisse mai. Insomma un “dovete tornare” scritto tra le righe.
La realtà è un’altra purtroppo: il tempo a nostra disposizione è finito e dobbiamo trovare il modo di tornare al nord, a casa hanno già buttato la pasta e io non vedo l’ora di cambiare finalmente i pantaloni che ho su da circa 40 giorni.
Sulla via del ritorno, dopo infinite ore di bus, decidiamo di sgranchirci un po’ le gambe. Recuperiamo quindi tutti i pezzi che avevamo lasciato per strada e riusciamo ad incastrare l’ascesa al primo vulcano che avevamo programmato all’inizio. Doveva essere un’impresa di giornata sola, una cosina veloce per poi riprendere il bus verso Santiago.
Non è andata proprio così, ma questa è un’altra storia.
Que le vaia bien chicos.

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