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Climbing for a reason

Due climber cileni hanno dato vita a un progetto di attivismo volto a portare l’arrampicata nelle comunità più remote e svantaggiate del mondo, che però hanno la fortuna di vivere vicino a delle rocce perfette per i climber. L’ultimo progetto in ordine temporale li ha portati a Musoma, Tanzania.

Non è sempre così? Che chi arrampica, arrampica per una ragione?
Bene, Lucho Birkner e Mateo Barrenengoa ne hanno una in più: la loro associazione, che si chiama appunto Climbing for a reason, cerca, in diverse parti del mondo, di dare il supporto a comunità locali o a persone in difficoltà attraverso l’arrampicata. Per fare questo Lucho e Mateo hanno realizzato progetti in Pakistan, in Messico, in Nepal e in Cile, e adesso stanno concentrando i loro sforzi in Tanzania, precisamente a Musoma.
Qui Lucho e Mateo hanno infatti iniziato a collaborare con l’organizzazione Jipe Moyo Center che gestisce l’omonimo orfanotrofio e che ospita più di 100 ragazzi e ragazze di diverse età con un passato stravolto da mutilazioni, stupri, malnutrizione e traffico di esseri umani. L’organizzazione in questione si trova sul Lago Vittoria, nella città di Musoma, un territorio circondato da grandi blocchi di granito, cosa che lo rende il posto perfetto per dei climber attivisti. L’obiettivo finale del progetto sarà la realizzazione di una parete artificiale all’interno del centro, l’apertura di un settore di arrampicata boulder e di un’area di arrampicata sportiva, dove poter tenere workshop sia pratici che teorici, e dove poter dare la possibilità a tutti i ragazzi e le ragazze del centro di approcciarsi al climbing. Il Jipe Moyo Center è stato fondato una ventina di anni fa da Sister Chacha, un’ecclesiastica che ha dedicato tutta la sua vita a salvare le bambine dalla mutilazione genitale e che, con il tempo, ha ampliato il suo raggio d’azione fino ad accogliere bambini di ogni genere dal primo anno di vita fino ai diciassette anni di età. Da lì ci passano moltissimi volontari ogni anno e qualcuno ha notato le formazioni di granito e le rocce, che a Musoma sono ovunque, e suggerito ai ragazzi di Climbing for a reason una nuova location per dare applicazione pratica al loro progetto. 

Climbing for a reason è infatti alla ricerca di destinazioni remote e sempre nuove, dove l’arrampicata non è sviluppata ma la roccia è di una qualità impressionante. Uno degli obiettivi laterali del progetto è infatti anche quello di offrire un’opportunità sia di sviluppo turistico che di stile di vita alle persone che vivono di fronte a pareti perfette e magari non ne sono coscienti perché non hanno mai visto un rinvio in vita loro o perché nessuno li ha mai introdotti all’arrampicata. Quello che ha colpito positivamente attivisti e volontari è il fatto che molti dei ragazzi si siano dimostrati molto dotati: addirittura, per quattro di loro, c’è la speranza di riuscire a trovare degli sponsor tecnici-sportivi che potrebbero dar loro la possibilità di viaggiare ed allenarsi. È un fatto innegabile come l’arrampicata, come sport in sé, si presti particolarmente per progetti sociali di riscatto ed empowerment in quanto rappresenta una sfida quotidiana che costringe ad  allenare non solo il fisico, ma anche la mente: “L’arrampicata può essere un potente strumento di vita non solo per l’aspetto fisico e mentale, ma anche un ottimo modo per guadagnare, specialmente se si vive proprio di fronte a luoghi che possono diventare molto popolari una volta entrati nel radar degli scalatori” spiegano Lucho e Mateo. “Noi che siamo alpinisti e viaggiatori trascorriamo la maggior parte del nostro tempo in questo tipo di posti in tutto il mondo e, la cosa che abbiamo notato, è che di solito chi arrampica sono solo stranieri. Cos’è successo con la gente del posto? Climbing for a reason vuole dare dare a queste persone l’opportunità di vedere la chicca che hanno davanti agli occhi, ma anche di capire le regole del gioco in modo che possano crescere come climber e, perché no, un domani portare le persone ad arrampicare, farne una professione”.

Musoma da questo punto di vista è il paradiso dei climber: le rocce sono semplicemente fantastiche, di ottima qualità e perfette per l’arrampicata. Inoltre sono talmente tante che si ha l’opportunità di cimentarsi in vie sempre nuove. Anche il paesaggio è di un altro pianeta: c’è un enorme lago dove nuotare, tanta natura selvaggia tutto intorno e ogni tramonto è semplicemente speciale. Inoltre il centro si trova vicino al confine con il Kenya e il parco nazionale del Serengeti è a poche ore da Musoma, quindi i climber viaggiatori possono unire all’arrampicata la visita di uno dei parchi nazionali più famosi al mondo dove poter osservare da vicino leoni, elefanti, zebre, bufali e tutti gli animali selvatici africani. “Noi stiamo creando in questo posto la prima comunità di arrampicata del paese: guidata dai ragazzi dell’orfanotrofio Jipe Moyo Center offrirà ai viaggiatori, oltre alla parete artificiale per allenarsi, anche il noleggio di crash pad per il boulder e di tutto il necessario per l’arrampicata sportiva. Quello che succede in molte località di fronte all’oceano, è che i ragazzi locali imparano a surfare da piccoli e, quando crescono e vedono arrivare gli stranieri, aprono negozi, noleggiano tavole da surf e fanno gli istruttori. Noi ci siamo detti: perché questa cosa non può essere replicata anche con l’arrampicata? Molti dei ragazzi ospitati nelle strutture come Jipo Moyo Center non hanno più una famiglia, quindi non hanno grosse opportunità per scrivere il loro futuro: sognando di andare all’università, di diventare dottori o avvocati, ma con l’arrampicata si può insegnare loro che entrare in contatto con la natura e diventare un climber può portarti altri sogni, che sono realizzabili proprio davanti casa”.

Oltre ad una possibile opportunità di lavoro per i ragazzi del centro, l’arrampicata ha anche altri risvolti positivi per chi ha avuto fino a quel momento una vita difficile, segnata perlopiù da violenze e abusi: questo sport aiuta a lasciarsi alle spalle tutto quello che di negativo ci appesantisce e a concentrarsi a 360 gradi su quello che si sta facendo.
“L’arrampicata può cambiarti la vita. Questa frase è stata detta da un uomo del Suriname che aveva beneficiato di uno dei nostri primi progetti. Alcuni bambini a cui insegnammo ad arrampicare sette anni fa in India, ad esempio, oggi chiudono degli 8a e hanno il loro business con cui portano gli stranieri a imparare e fanno loro da guida. Questo ci rende orgogliosi, perché l’arrampicata può davvero cambiare la vita, specialmente a chi ne ha più bisogno. Alcuni dei nostri ragazzi inoltre hanno storie passate molto tristi di abbandoni e abusi, molti ci hanno raccontato come l’arrampicata e lo yoga consentano loro di non pensare troppo al passato. Dopo una giornata di arrampicata o di yoga vanno a letto più felici, si svegliano sereni e il giorno dopo si concentrano di più sulla scuola. Sono stati i ragazzi stessi a confidarcelo. Alcuni di loro forse prenderanno l’arrampicata come uno strumento utile per la loro vita, altri magari solo come una parentesi piacevole, ma anche questo è fantastico perché questi ragazzi non hanno mai avuto molte opportunità di giocare all’aperto, fare sport o trascorrere una giornata fuori nel parco nazionale del Serengeti”.

Mateo Barrenengoa, oltre ad essere un climber a un attivista, è anche uno dei migliori registi di outdoor cileni, per questo l’output finale di tutto il progetto sarà un documentario finalizzato a raccontare sia la realtà dei ragazzi di Musoma, sia i progressi fatti: “Quello che ci spinge principalmente è la voglia di trasmettere la nostra passione, questa è sicuramente la cosa più importante. È talmente forte da essere quasi indescrivibile, ma è quello che ci fa alzare al mattino con una voglia di vivere incredibile: e questa energia positiva riusciamo a trasmetterla sia ai bambini, sia alla comunità del posto. I bambini che a volte avevano il sorriso nascosto, ora sorridono per la maggior parte della giornata: possono sognare qualcosa, anche se è qualcosa di piccolo, come arrampicarsi su un pezzo di roccia. Quando li vediamo provare una via per 3 giorni e poi riuscirci traboccanti di gioia non abbiamo bisogno di porci troppe domande sulla bontà di quello che stiamo facendo”.