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Con Sara. Nelle sue linee.

C’è una fotografia di Sara in cui, timidamente, si copre il viso con una grande foglia verde. Lunga tre grossi palmi di mano e larga almeno due. È bella e simmetrica e ha il lembo verde come la foresta a parte la spessa nervatura, che dal picciolo all’apice, la divide e si ramifica in sfumature più chiare. La foglia completa Sara, ma quando la sposta la sua delicatezza esplode. “Caspita, sei bellissima.” ho pensato la prima volta che l’ho vista. Non l’ho detto a voce alta perché i pensieri preziosi, rari, vanno custoditi. Ci sono cose nella vita che vanno dette, altre scritte. E la voce non rende giustizia a un tocco gentile come il suo, le parole su carta stampata rimangono. Viso sorridente e lineamenti fini come i suoi disegni. Della bontà ne parlano gli occhi, della forza il suo gesticolare, contenuto ma preciso. Se è vero che “forte è chi tratta gli altri con delicatezza” Sara è poderosa. 

Potrei descrivere il suo lavoro per ore ma non serve, parla da solo. Inoltre, il mio compito dovrebbe essere quello di raccontarvi chi è e cosa fa Sara. Perciò, nel caso qualche folle non avesse compreso la forza della sua arte già nel primo paragrafo, provo a riassumere in maniera più concreta (che in questo caso è la peggiore tra le possibili) quello che fa. 

Innanzitutto, va chiarito che Sara è un’artista. E come tutti i grandi artisti questo suo impulso è “qualcosa che si porta dentro da quando è piccina” dice lei e “qualcosa che si porta dentro dalla nascita” dico io. Così come lo è il suo legame con la natura. Per farla semplice potrei dirvi che Sara disegna. Ma non sarebbe vero perché lei è un’artista. E sono cose diverse. Sara è innanzitutto una gran lavoratrice, che in mezzo a tutte queste linee è riuscita a incastrare anche un lavoro a tempo pieno come quello di Designer per Wild Country, noto brand di arrampicata. Dal punto di vista umano, invece, Sara si esprime, e il disegno ne è una bellissima conseguenza, ma potrebbe anche diventare altro. Quello che intendo, quello che credo di aver capito, è che nella composizione finale delle sue opere non conta tanto il quadro finito, quanto piuttosto le linee che le hanno permesso di esprimersi arrivando a quell’unico disegno definitivo, scelto tra infinite possibili varianti. Dal punto di vista tecnico invece, se devo parlare da graphic designer e fotografa, sono imbarazzata dal suo talento. Realizzare una buona composizione quando si scatta, specialmente in montagna dove gli elementi sono in movimento continuo, è complesso. Pensare di illustrare una fotografia di montagna, già composta e scattata da una terza persona (l’autore), richiede abilità tecniche di livello superiore. 

E prima di parlarvi del progetto in collaborazione con Cober volto a sensibilizzare e informare sul tema dello scioglimento dei ghiacciai, faccio una parentesi legata alla forza poderosa di cui accennavo qualche riga fa. Se state leggendo The Pill probabilmente siete runner, skier, cyclist, hiker o altro ancora e avete sicuramente imparato, nei vostri anni in montagna, a comprendere a fondo il senso delle distanze. 

A luglio di quest’anno Sara ha disegnato le sue linee lungo i 100 metri d’arrivo della Maratona delle Dolomiti. Tecnica: gessetto su asfalto. 100 metri sono quelli corsi da Bolt in 9’’58; lei ha disegnato ogni millesimo di quel tempo. In parete sono almeno tre tiri di corda. 100 metri di dislivello possono influenzare, e di molto, l’arrivo o meno in vetta. 100 metri sono tanti.

Io l’ho visto il video che le hanno rubato durante l’esibizione. Una figura snella, agile e delicata come le sue piante si muove tra linee effimere, destinate a scomparire. Nelle cinque ore impiegate per completare il quadro, fino a coprire ogni metro, non ha solo disegnato. Lo ribadisco. In quel suo spazio-tempo infinito Sara si è espressa. E io mi sono commossa. Non si muovono le sue mani, si muove tutto il corpo. Una delicata danza di cui non rimarrà nessuna traccia. Linee essenziali portate via, una dopo l’altra, dal passaggio dei ciclisti. Linee sbavate, alla fine cancellate, eppure eterne. 

(E lo so che qualcuno di voi sta pensando che io stia esagerando. Ma, o state leggendo la rivista sbagliata, o non avete visto il video, o non conoscete Sara. In ogni caso potreste e dovreste porre rimedio alla cosa.)

Non è poi così diverso da chi, le sue tracce, le disegna sulle montagne.

*Herbarium è il progetto da cui è partito tutto non a caso “herbarium”, che deriva probabilmente dall’antico persiano “asparag” significa, per l’appunto, germoglio. Ma la sua arte, come le sue piante, si sono evolute più in là. Lo trovo un concetto tanto semplice, quello che sta delicatamente urlando Sara, da sentirmi in imbarazzo nel non averlo compreso prima. Serve avere fiducia nei germogli, minuscoli seppur capaci di superare rigidi inverni. Microscopici segni di vita in grado di far crescere alberi enormi sotto cui, un domani, riposare. Origine di piante con gigantesche foglie verdi come la foresta, testimoni di un miracolo, vive per far vivere la pianta o, come piace a Sara, utili per coprirsi timidamente il viso.

Per parlarvi della collaborazione con Cober (azienda produttrice di bastoni e racchette per le attività outdoor) è giusto che sappiate che, fin dalle origini, si è distinta per l’impegno verso scelte che fossero sostenibili per l’ambiente tutto e, in particolare, per quello montano. Tenendo conto che l’esordio di Cober risale a settant’anni fa, definirlo un brand visionario mi sembra il minimo.

Le tre t-shirt in cotone organico e stampa in serigrafia artigianale, frutto della collaborazione vincente tra Cober e Sara, fanno parte della capsule collection *herbarium x Cober realizzata all’interno di “The Art of Skiing”, progetto sviluppato dall’azienda stessa con lo scopo di rendere più saldo il legame tra montagna, sport e arte. Al confezionamento dei capi hanno lavorato i detenuti e le detenute del carcere Lorusso Cotugno di Torino. Un’attenzione in più che dimostra, ancora una volta, il riguardo del brand verso temi sociali e ambientali, nonché l’interesse per la promozione di una moda etica. Le linee che Sara ha tracciato su quel cotone vergine raffigurano tre specie in via di estinzione: Cardamine resedifolia L., Minuartia sedoides L., Gnaphalium supinum L.

Ancora una volta Sara ha fatto ciò che le riesce meglio: tracciare linee. Questa volta le ha fatte germogliare sugli scatti di Maurizio Marassi, fotografo e atleta d’eccezione. Non credevo fosse possibile migliorare certe immagini eppure pare che Sara abbia aggiunto qualcosa alla visione del fotografo, alleggerendolo. Inserendo per togliere. Completando l’opera. Come ci riesca rimane un mistero. Ed è giusto così.

Essendo le sue linee non delineate da punti finiti, il progetto si è evoluto com’era prevedibile. Le ramificazioni delle sue piante hanno finito per mettere radici fino al Trento Film Festival, in una mostra organizzata e curata in collaborazione con il fotografo Matteo Pavana e il ricercatore Gianalberto Losapio.

Né Sara né Matteo sono ragazzi capaci di fare cose senza che abbiano significato. Non hanno disegnato casuali linee su belle immagini, hanno scavato e si sono interrogati perché fanno parte di quegli strani individui che sanno ancora porsi domande. Una volta, un tizio famoso ha detto che “Il problema dei filosofi e degli artisti è che s’interrogano su cose di cui la maggior parte del mondo non comprende le risposte.” Personalmente non lo trovo un gran problema. Dalla loro indagine emerge come le specie pioniere seguano i ghiacciai nel loro ritiro, evidenziando come una volta scomparsi questi, la diversità delle specie vegetali diminuirà. E fino al 22% delle 118 specie analizzate potrebbe scomparire per sempre, localmente o dappertutto. Ecco perché “The Eco Of Glaciers” è il nome della collezione in collaborazione con Cober. “Eco”, non “riverbero” o “rimbombo”, la parola scelta è “Eco”. Come il riflesso di un suono che ritorna, evocativo del lamento dei ghiacciai durante il pianto della fine: lo scioglimento definitivo. Un grido d’aiuto all’umanità tutta.

A tutte queste immagini stampate, capolavori che incorniciano queste parole (o forse il contrario), non voglio aggiungere altro. Le linee di Sara germogliano sulle fotografie di Maurizio e Matteo per raccontare la storia di specie vegetali che potrebbero estinguersi insieme ai ghiacciai. Lo ripeto però, GERMOGLIANO, e ormai noi tutti sappiamo che se la vita riparte, lo fa da quei microscopici miracoli.