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Lo chef Davide Palluda ci insegna che correre è come panificare

ITW: Davide Palluda
With: Saucony

Davide Palluda nasce 51 anni fa da una famiglia con un completo disinteresse verso la cucina, fin dalla scuola alberghiera rimane affascinato dall’ingrediente e questa passione lo porta a pellegrinare tra ristoranti internazionali formandosi attraverso differenti tipologie di cucina. A 24 anni arriva la svolta: l’occasione di aprire un ristorante nell’asilo dove era cresciuto, a Canale nel Roero in Piemonte nasce “all’Enoteca”, che si contraddistingue per una cucina semplice ed elegante, riconosciuta anche da Michelin con una stella nel 2000. Cuoco ma anche runner, in natura ha imparato a conoscere la bellezza delle zone dove è cresciuto perché: “una cosa più la conosci, più la rispetti.”

Il tuo primo ristorante era già questo?
Sì, era l’asilo in cui andavo da piccolo. Mi ricordo che dormivamo in quella che ora è la cucina, mi ricordo il profumo del minestrone di Suor Angela. Ammetto che non era una suora simpaticissima ma quando cucinava il minestrone con quel profumo buonissimo di basilico… Mi è capitato di chiedermi se arriverò ad emulare il profumo che ricordo. Certi aromi e sapori ci innescano un ricordo che ci fa stare bene, ci dà energia. Nel ’94 non ci ho pensato due volte, a 24 anni ti butti e pensi “se va va, se non va non va”. In cucina c’è bisogno di istinto.

Il tuo primo ristorante che impronta aveva?
Sicuramente una cucina più semplice, priva di complicazioni, ma dopo poco tempo mi sono accorto che potevo fare di più. A 27 anni ho cambiato marcia e ho vinto diversi premi: Giovane dell’Anno per l’Espresso, Giovane dell’Anno per il Gambero Rosso, la stella Michelin. Tutto velocissimo.

Invece quando è nata la tua passione per lo sport?
Andavo in bici senza mai eccellere, ho pedalato con regolarità fino ai 32 anni. Poi ho avuto una sorta di blackout tra lavoro, figli e famiglia e non ho più avuto molto tempo. Su consiglio di amici ho iniziato a correre e, sarà qualche processo chimico, ma il mio corpo si è sentito meglio dopo poche volte. Consiglio sempre di iniziare come me, con qualcuno che lo sappia già fare e che riesca a dare consigli su movimenti e scarpa giusta. Oggi corro tre volte a settimana, cambio gli orari durante l’anno e la mia vita è nettamente migliorata.

Immagino che qui nel Roero sia stupendo correre.
Sì, ci sono dei percorsi meravigliosi. Più corri e più ti immergi nel territorio e nella natura, più rispetto ne hai. Se noi camminassimo di più nel nostro territorio, non ci sarebbe tutta questa cartaccia per terra. La corsa o la camminata veloce ben fatta ti cambia la vita, ti fa apprezzare di più il cibo, ti dà consapevolezza del tuo fisico: lo sport all’aria aperta fa stare davvero bene, sia a livello fisico che mentale.

C’è qualcosa nel running che si può associare alla cucina?
La tecnica della panificazione artigianale. L’attesa, la performance, la preparazione, i tempi precisi, l’attenzione ai dettagli. L’idea del pane che non è semplice supporto ma portata del menu, se sbagli qualcosa nella panificazione ne viene compromesso il risultato finale. Fare il pane (e cucinare in generale) è un atto d’amore verso gli altri, la corsa è un atto d’amore verso se stessi.

Oggi hai corso con il modello Saucony Endorphin Edge, una scarpa decisamente innovativa e tecnologica. Come in un piatto, anche dietro una scarpa c’è molto di più della semplice apparenza.
Hai toccato uno dei temi più importanti dell’ultimo decennio. Oggi si è arrivati a una cucina più etica che estetica. Le scarpe che ho provato non mi hanno stupito soltanto per forma, leggerezza e bellezza, mi hanno stupito perché mi sembrava di non indossarle. A volte in un piatto non conosci tutto il processo per realizzarlo (e non serve conoscerlo) ma ne apprezzi il gusto, il risultato finale. Questo è identico per questa scarpa, non sono a conoscenza di tutti i suoi aspetti tecnici e della ricerca e sviluppo di chi l’ha ideata, ma ne apprezzo le sue performance. Non possiamo essere esperti di tutto, ma quando trovi un piatto (in questo caso un prodotto) equilibrato lo senti e lo riesci ad apprezzare. Semplice perché privo di complicazioni, togli il superfluo per concentrarti sulle cose che davvero fanno la differenza.

Un piatto che hai mangiato che avresti voluto inventare tu?
Sono tantissimi, uno dei piatti che mi ha impressionato è stata l’insalata di Enrico Crippa (Piazza Duomo, Alba). Mi chiedevo “come può essere golosa una cosa così bella?”Alla fine, era molto più golosa che bella.

Quale cuoco ti ha ispirato?

Parecchi, ognuno mi ha ispirato per cose diverse. Ho sempre cercato di seguire i consigli di Marchesi su impegno, eleganza, esempio come alta forma d’insegnamento. Ho guardato alla Francia per il rigore, alla Spagna per l’estro, all’Oriente per la leggerezza. Mettendo insieme queste cose è nato il mio stile.

C’è una cucina che si sta evolvendo che rappresenta un riferimento per te?
Sarebbe normale che ti parlassi della cucina scandinava, fatta di fermentazione e acidità. Tuttavia, non è un’evoluzione ma una scoperta per noi europei. Per quanto mi riguarda direi la cucina giapponese e asiatica in generale, molto moderna e complicata. Abbiamo scoperto che se qualcosa è tagliato in un certo modo si può mangiare in un solo boccone. Sono molto affascinato da questa cucina, nonostante non la usi molto.

Tornando allo sport, hai fatto da poco la tua prima gara di trail, è vero?

Sì, mi è piaciuto da matti. Forse il contatto più completo con la natura, con posti meravigliosi, meno pettinati. Mi è piaciuta l’idea di corsa per vivere appieno il territorio che mi circonda.

Si dice che mentre corri una gara pensi sempre che non ti sei mai allenato abbastanza.
Bravissimo, quello è il senso della vita però! L’ambizione, gli obiettivi. Cosa c’è di sbagliato nell’avere obiettivi? È fondamentale, lo sport insegna a non mollare, a fare di tutto per raggiungerli. Se dovessi dare un consiglio ad un ragazzo giovane è quello di sognare in grande, pensare di diventare il più bravo al mondo, di lasciare il segno, di trovare il tuo stile.