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Death to the fashion victims!

Il mondo dell’ultrarunning è a grande maggioranza maschile. Il mondo dell’outdoor in generale lo è. Sarà anche per quello che non incrocio mai ragazze che corrono.

La percentuale di ragazze nello sport outdoor è molto bassa, è un dato di fatto. Gli studiosi delle teorie del gender sanno bene che anche lo sport può diventare strumento di manipolazione di genere; tuttavia la corsa non è uno sport “da femmina”. E allora perché ci sono così poche ragazze che corrono? All’aumentare della distanza si riducono le differenze di sesso, di età e di qualsiasi altro tipo. La distanza annulla qualsiasi disuguaglianza sociale: anche i brutti corrono. L’ultrarunning è basato sul solo e grande principio universale della sofferenza. Tutti sanno soffrire. La fatica è democratica, un principio innato nell’uomo. Il punto è: tutti possono correre. Gli stempiati, le donne, le persone di qualsiasi colore, alti, bassi, grassi e secchi: tutti possono correre e soffrire.

E allora perché ci sono così poche ragazze?

Morte alle fashion victims!

Loro sono parte del problema. A postare le loro chiappe e le loro tette facendo finta di correre, tutte impomatate e truccate, sorrisi perfetti. Vorrei vederle mentre corrono 100 miglia con gli zigomi che escono, le occhiaie scavate e lo sguardo perso nel vuoto dopo una notte intera tra le montagne sotto al diluvio universale. Probabilmente non arriverebbero in fondo e si troverebbero altre mammelle aziendali da succhiare, dove non c’è da andare così tanto oltre al proprio limite fisico. Tornerebbero nei cataloghi dei macchinoni di lusso e nello sport in cui tengono gli ombrellini ai piloti con le calze a rete e i cameramen che le inquadrano dal basso.


Sono le fashion victims a rendere stupide le ragazze che si impegnano. Vi siete sbattute per secoli e vi fate calpestare da un numero sempre crescente di corpi in mostra che attraggono coi loro culi le aziende e il mondo sportivo. Il mondo dell’ultrarunning non merita l’oligarchia della vanità dei concorsi di bellezza. La vanità nell’ultrarunning non è un valore; non si vincono i premi e le gare per essere le più belle. Qui non è Miss Italia, non c’è nessuna giuria a votare chi ha le chiappe più sode e non c’è il televoto. Non è neanche un concorso di intelligenza e non interessa a nessuno se vuoi portare la pace nel mondo o fare una strage in classe. Anche gli stupidi hanno il diritto di correre, e anche di andare più forte di te. Una volta un prete mi ha superato, dico sul serio. Di fronte a 160km di corsa tutto diventa relativo e anche un tontolone potrebbe passarti avanti sorridendo dopo 100km: avrei venduto l’anima al diavolo affinché non succedesse, ma è successo. È la democrazia della distanza.

Il mercato e l’ignoranza stanno trasformando le ragazze in strumenti di vendita di prodotti. Ragazze, un mucchio di ragazze bellissime che corrono, ma non corrono sul serio. Perfezione da Photoshop, gambe da urlo senza lividi, pelle liscia senza vene in vista. Gambe che vanno bene per le fotografie e le passerelle, non per correre.


Ribellatevi. Prendete le distanze dalla superficialità e macinate chilometri, andate alle gare e fatevi notare per quanto ci date dentro. La bellezza estetica è un aspetto accessorio e non duraturo, se proprio ci tieni, cura l’estetica del gesto della corsa. Nessuno si aspetta niente quando corri: puoi sputare per terra o soffiarti il naso senza fazzoletto. La femminilità nella corsa su lunga distanza lascia il tempo che trova.


Combattete per l’uguaglianza nell’ultrarunning. Sono stufo di vedere solo uomini sui sentieri. Morte alle fashion victims!

La bellezza estetica è un aspetto accessorio e non duraturo, se proprio ci tieni, cura l’estetica del gesto della corsa.

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