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Intervista a Eliott Schonfeld, l’uomo che attraversò l’Himalaya

By Silvia Galliani

Uno zaino, una tenda, un sacco a pelo, alcuni vestiti caldi, la bussola e le mappe, il telefono satellitare, un coltello, poche stoviglie, libri, taccuino e matita, la macchina fotografica. Ecco gli ingredienti fondamentali del 24enne francese Eliott Schonfeld per fuggire dalla società moderna e abbracciare la natura selvaggia, solitaria ed incontaminata.
Dopo Mongolia, Canada, Alaska, il giovane esploratore che voleva “uscire dalla modernità e diventare indipendente”, ci porta con sé attraversando l’Himalaya da ovest a est, per le ampie vallate del Ladakh e percorrendo sterili passaggi e ghiacciai verso il Nepal. Voleva vivere di sola natura e ci è riuscito. Ce lo mostra nel suo più recente documentario “Le Minimaliste: an Himalayan Adventure” che sarà proiettato nel corso dell’European Outdoor Film Tour 2019/20.
Abbiamo raggiunto Eliott nel bel mezzo dell’Amazzonia, immerso in quella che sarà la sua prossima avventura, per farci raccontare cosa significa vivere la natura in modo minimalista e capire quanto poco è abbastanza.

Partiamo subito dall’Himalaya, da dove ti è venuta l’idea per questa avventura?
L’ho avuta qualche anno fa. Ho deciso di voler diventare un esploratore quando avevo 21 e ho cominciato ad interessarmi a dove poter avventurarmi, cercavo sulle mappe i luoghi più remoti del pianeta, Mongolia, Alaska, Himalaya, e pianificavo i miei viaggi futuri.
L’Himalaya è stato il mio primo desiderio ma poi sono riuscito ad esplorarlo solo dopo altri 3 viaggi in luoghi altrettanto remoti. Una volta ho visto questo film, anche abbastanza stupido, che sia chiama The Secret Life of Walter Mitty, dove il protagonista, Ben Stiller, finisce in una prigione in Himalaya. Quello che mi è rimasto impresso tuttavia sono i luoghi mostrati nel film, paesaggi così remoti e incontaminati che mi hanno subito ispirato.

Quindi hai deciso di diventare un esploratore a 21 anni, non è una decisione molto comune. Cosa hanno detto i tuoi genitori?
Non è una decisione che è venuta proprio fuori dal nulla. Viaggiavo già da due anni perché sono partito appena dopo aver finito gli studi. Mi sono diplomato a 18 anni e ho deciso di prendermi un anno sabbatico e viaggiare qualche mese per capire cosa fare del mio futuro. Sono partito quindi per l’Australia per 5 mesi e accidentalmente mi sono perso per una settimana nella foresta tropicale e lì ho capito veramente cosa significa essere parte della natura. In seguito mi sono recato in Canada, in Quebec, per lavorare e quando sono tornato in Francia ho deciso che sarei tornato alla vita di tutti i giorni, iscrivendomi alla facoltà di filosofia all’università. Sono resistito solo una settimana, ho lasciato la scuola e ho deciso che avrei fatto l’esploratore a tempo pieno. I miei genitori sono rimasti un po’ sconvolti ma credo che ora siano felici per me, sanno che è quello che desidero fare nel mio futuro. Ovviamente a volte sono spaventati, soprattutto alla vigilia delle partenze, ma si fidano di me e sanno che starò attento.

Viaggi per la maggior parte del tempo, uno dei motivi può essere che ti senti a volte così sopraffatto dall’uomo e dalla civilizzazione che hai bisogno di trovare dei momenti per te, da solo?
In realtà il motivo per cui ho scelto di stare a contatto con la natura non ha nulla che a che fare con una ipotetica fuga dalla civilizzazione. È semplicemente il bisogno di raggiungere un altro mondo, perdermi nella natura e poi tornare alla vita di tutti i giorni. All’inizio mi piaceva certamente scoprire nuovi mondi, conoscere popoli nomadi e così diversi da tutto ciò a cui ero abituato. Tutto questo ha cambiato il modo in cui vedo il mondo, mi ha fatto scoprire cosa il nostro pianeta può offrire e ha sviluppato in me la voglia di combattere per preservarlo.

Dopo aver vissuto così a lungo in terre selvagge è cambiato qualcosa nella tua vita una volta che sei tornato a Parigi?
Dopo queste avventure mi sono reso conto la civilizzazione è dovunque intorno a noi, anche le popolazioni nomadi ne sono state in qualche modo toccate, non c’è modo per sfuggirvi.
Quando vivevo a Parigi, prima di iniziare le mie esplorazioni, compravo cibo e prodotti quando ne sentivo il bisogno. Dopo queste esperienze invece ho realizzato quanto sia importante essere consapevoli di quello che compriamo, mangiamo, consumiamo in generale. Ovviamente questo non fermerà quello che sta accadendo al nostro pianeta perché sta succedendo tutto molto più velocemente di quanto i piccoli cambiamenti che possiamo fare nella nostra vita di tutti i giorni possano incidere. Ma è un primo passo.

Hai viaggiato a lungo, hai mai pensato di stabilirti in qualche luogo preciso o va contro alla tua idea di viaggio?
Al momento mi trovo nel bel mezzo dell’Amazzonia e quando tornerò in Francia lascerò Parigi per spostarmi sulle Alpi. Uno dei miei posti preferiti del mondo però rimane l’Alaska e uno dei mie sogni sarebbe vivere in qualche remoto luogo in Alaska o Canada. Mi piacerebbe costruire un piccolo cottage dove abitare per alcuni periodi dell’anno quando non sono in viaggio.

Quando parti per una nuova avventura sei preoccupato o spaventato all’inizio oppure è una cosa a cui ci si abitua?
Non ci do molto peso di solito, anche perché in quei luoghi remoti o in montagna il tempo scorre in modo diverso. Per giorni a volte non succede niente e più passa il tempo più inizi ad apprezzare la solitudine e lo scorrere dei giorni tutti uguali senza grandi avvenimenti. Giorno dopo giorno impari le regole dell’ambiente che ti circonda e diventa sempre più facile viverci perché hai passato la parte che riguarda la mera sopravvivenza e la vita lì improvvisamente diventa la tua routine. Cominci a sentirti parte di quel luogo che all’inizio ti sembrava tanto ostile, tanto pauroso. Non la chiamerei libertà perché non sei libero, anzi devi sottostare alle regole del luogo selvaggio che ti sta ospitando per riuscire a sopravvivere. Ancora oggi è una sensazione che mi affascina e a cui non riesco ad abituarmi.

Recarsi in posti remoti ed incontaminati aiuta a riconnettersi con la natura, pensi sia un’esperienza che tutti dovremmo fare almeno una volta nella vita?
Essere immersi nella natura ti fa realizzare quanto tu ne faccia in realtà parte, l’umanizzazione e la civilizzazione ce lo hanno fatto dimenticare ma lì, in quei luoghi così selvaggi, capisci cosa significa veramente. Non sei più tu che hai il controllo e lasci che le circostanze di quello che ti succede attorno decidano per te, ti ci devi solo abituare, ma in questo modo ti rendi conto di essere solo una piccola parte di qualcosa di più grande. È una sensazione strana, come se fossi niente ma al contempo potente, piccolo comparato a quello che ti circonda ma al tempo stesso forte per essere una parte del tutto.

Pensi ci sia una contraddizione nel rifiutarsi di vivere in mezzo alla modernità e al tempo stesso raccontare i pericoli della stessa e un modo alternativo ad essa di vivere attraverso un oggetto così tecnologico come una videocamera?
Non vedo una reale contraddizione perché, come dicevo prima, ormai la civilizzazione ha raggiunto praticamente qualsiasi angolo del pianeta. Usare qualcosa di tecnologico per promuovere uno stile di vita non tecnologico non credo sia un problema ma sono un mezzo, uno dei tanti strumenti a mia disposizione per raggiungere quelle persone che,  come me, fanno uso di quel tipo di tecnologia. La cosa importante per me è essere in grado di mostrare che è possibile un altro tipo di vita, un qualcosa che ci metta in armonia con la natura, che mostri che vivere in quanto esseri umani non implica necessariamente distruggere la natura, possiamo convivere in armonia con essa. Ci sono tanti altri stili di vita e per me è importante mostrarli.