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Gary Bigham: le immagini iconiche degli anni ’80 e ’90 sugli sci

By: Layla Kerley

Photos: Layla Kerley, Gary Bigham

A Patagonia Story

Non si chiede mai a una persona cosa ci fa a Chamonix. È scortese. Si chiede dove ha  sciato oggi.

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Il fotografo Gary Bigham è stato uno dei primi americani appassionati di sci che si trasferì nella valle francese di Chamonix alla fine degli anni ’70 e trascorse i successivi 50 anni sciando sul terreno notoriamente impegnativo della zona. Ha anche scattato alcune delle immagini più memorabili della cultura dello sci degli anni ’80 e ’90, documentando un’era fatta di tute intere dai colori fluorescenti, monosci, buffonate selvagge sulle piste e interi paesaggi perennemente innevati e non tracciati: un periodo spesso definito come “L’era dei vagabondi dello sci”.

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Ma conosco Gary per le altre cose che ha fatto a Chamonix, la sua vita che va al di là delle neve e a cui le sue foto solo accennano: Gary il musicista, lo showman, la rock star, un personaggio divertente, sempre in vena di battute, generalmente esilarante ma con profondi lati oscuri e leggendari post sbornia.

Quando io e sua figlia Guri eravamo adolescenti, raramente vedevamo Gary sugli sci con una macchina fotografica in mano. Gary, il fotografo dello sci, era un personaggio appartenente al passato, nascosto in un caotico scrigno di diapositive, o ricordato nei video proiettati agli après ski e nelle presentazioni fotografiche, quelle fatte alla vecchia maniera, al ronzio sordo di un proiettore di diapositive a carosello, e impostato su una colonna sonora di commenti eccentrici.

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La casa di Gary ad Argentière è essa stessa una reliquia dello sci, un classico chalet alpino pieno di cimeli e nicchie divertenti, dietro ad una foto incorniciata, ad esempio, c’è un buco attraverso cui puoi infilare la faccia per spaventare a morte gli ignari ospiti. Più porte apri, più grande diventa la sensazione, arricchita da una serie di luoghi non convenzionali: una cantina, una sauna, un’altalena nel soggiorno e un tavolo da pranzo apparentemente infinito che può e regolarmente ospita fino a 20 persone.

Crescere nella capitale europea degli sport estremi, o nel suo cimitero di ambizioni sportive estreme fallite (a seconda di a chi lo chiedi) è tutto ciò potete immaginare e molto altro ancora. Anche i miei genitori erano appassionati di sci e quando ero bambina si trasferirono dall’Inghilterra a Chamonix. Quando ho incontrato Guri, all’età di 11 anni, è diventata la mia prima amica non francese e io stessa sono entrata a far parte di una famiglia allargata e piacevolmente disfunzionale.

Quando nevicava, la casa di Gary si rannicchiava al suo ritmo fantastico, la luce del fuoco dava vita agli sciatori che ballavano nelle loro cornici. Dato che tra quelle mura era legge niente scuola in una giornata di neve fresca”, Guri e io coordinavamo i pigiama party con i temporali in arrivo, sperando che nevicasse o che la strada per Chamonix venisse chiusa. Gary ci portava al comprensorio sciistico di Grand Montets la mattina, dove salivamo in cima insieme a branchi di lupi sbavanti. Durante la discesa ci aspettava pazientemente, mentre noi tracciavamo le nostre linee ululando selvaggiamente.

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I nostri rispettivi genitori ci hanno lasciato libere di vagare per il nostro campo giochi di montagna e non abbiamo mai perso loccasione di far parte della fiorente e festosa scena sciistica di Chamonix. Le domeniche retrò sono diventate il nostro tributo alle tute da sci fluorescenti e al balletto sulle aste, e il venerdì attraversavamo la strada che dalla scuola media portava al microbirrificio MBC Chamonix per ascoltare la band di Gary, Gary Bigham & The Crevasseholes. Mio padre faceva apparizioni come ospite al suo sassofono, tutti suonavano canzoni come “All You Need is GLOVEs”. La birra scorreva e il bar stipato si scatenava.

Per una ragazzina inglese, la sfilata di celebrità dello sci dai colori vivaci che scorrevano attraverso la casa di Gary, ognuna più fantastica (e, ora mi rendo conto, probabilmente più inebriata) della precedente, è stata una rivelazione. Era una nuova visione di come poteva svolgersi la nostra esistenza, una dimensione brillante in cui era in qualche modo possibile sia guadagnarsi da vivere che sciare tutto l’inverno, o anche tutto l’anno.

Quindici anni dopo, dopo che io stessa sono diventata una fotografa di sci, è il mio turno di ballare con quei lupi delle nevi assetati di polvere, di domarli e persino di diventare una di loro. Ho passato anni a preparare gli scarponi per essere più vicina all’uomo di cui mi ero innamorata (uno sciatore, ovviamente), e ora vivo le mie più sfrenate fantasie adolescenziali seguendolo nelle cattedrali di ghiaccio e pietra calcarea. Quando si è presentata lopportunità di scrivere una storia su Gary, ho dato a me e Guri una scusa per fare qualcosa di cui parlavamo da anni. L’attrazione magnetica della nostalgia infantile ci ha riportato in soffitta, all’archivio fotografico di Gary.

Questa volta, il nostro viaggio nel tempo aveva uno scopo: digitalizzare e salvare innumerevoli foto e filmati unici nel loro genere, catalogando le storie e le citazioni che li mantengono in vita.

Osservando attentamente le diapositive, ho sentito una fitta di nostalgia per un’era che non abbiamo mai conosciuto. Tenevamo in mano le falde di quell’età dell’oro, l’era dei vagabondi dello sci, e i paesaggi, il nostro cortile avvolto in un mantello bianco incontaminato, ora scomparso insieme ai suoi leggendari draghi medievali e ai futuri leggendari ghiacciai, toccavano il mio cuore. La patina Kodachrome rendeva affascinanti i seracchi, i pinnacoli di granito e i luoghi maledettamente poco sicuri in cui da allora mi sono fermata a scattare le mie fotografie. Ho riconosciuto i volti giovani e familiari di coloro le cui conquiste o tragedie hanno scritto la storia di questa valle.

L’era dei vagabondi dello sci è passata. Ma quella senza nome che l’ha sostituita mi ha riportata ad un posto di cui ho desiderato far parte da quando mi sono seduta per la prima volta al tavolo da pranzo infinito di Gary, con gli occhi luccicanti, ascoltando quelle  leggende chiedersi a vicenda dove avevano sciato quel giorno.

Dopotutto è Chamonix, qualsiasi altra cosa sarebbe scortese.

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