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Heinz Mariacher: the innovator

Photos and story by Tristan Hobson

Da ben quattro decenni Heinz Mariacher progetta e disegna scarpette da arrampicata. Scalatore all’avanguardia degli anni ’70 e ’80, ha da sempre utilizzato sia la sua esperienza che il suo occhio di artista per sviluppare quelle calzature che sono gli strumenti di precisione che usiamo oggi.

Heinz Mariacher siede al tavolo della cucina di casa, sul Passo di Carezza in Alto Adige. La neve piovigginosa di un temporale di inizio autunno ricopre le Dolomiti, impedendo al 66enne di andare ad arrampicare su una falesia isolata in una valle alpina a 20 minuti da casa. L’area ospita alcune delle migliori vie sportive d’Italia, ma è rimasta fuori dai media dell’arrampicata, proprio come preferisce Mariacher. “L’arrampicata ha sempre riguardato il divertimento e le sfide personali” dice, “non la fama o l’avere un alto profilo”. In questa tranquilla valle, Mariacher possiede un terreno dove ha restaurato una vecchia capanna di contadini per avere una base dove rilassarsi, andare ad arrampicare, testare nuovi modelli di scarpe e pensare a nuove vie, lontano, ironia della sorte, dalle masse attratte dallo stesso sport che ha contribuito ad elevare.

Appena fuori dalla finestra, le nuvole trasformano il mare di rosse cime dolomitiche in un grigiore tetro che si allarga a est verso la Marmolada e il Sass dla Crus, montagne dove Mariacher ha contribuito a plasmare l’arrampicata in solitaria, a partire dagli anni ’70. A un’ora di macchina nella direzione opposta si trova Arco, dove la sua passione per i movimenti fluidi su roccia hanno contribuito ad accendere la miccia dell’arrampicata sportiva nei primi anni ’80.

Mentre chiacchieriamo davanti a un espresso, Mariacher scompare al piano di sopra, tornando con una scarpa da ginnasta nera senza lacci.“Questa slipper è del1970” racconta. “L’ho trovata in un negozio a Innsbruck e me ne sono subito innamorato!” Quando ha iniziato a progettare scarpette da arrampicata per il brand italiano La Sportiva, nel 1982, non vedeva l’ora di creare un modello basato su questa scarpa, anche se il suo primo incarico è stato quello di progettare uno stivale rigido e alto. Dopo l’uscita delle Mariacher (il modello alto appena citato) nel 1982, ha continuato a creare alcune delle scarpe più iconiche di questo sport, tra cui molte per SCARPA, l’azienda dove oggi lavora.

Lo slancio gioioso con cui Mariacher spiega il suo amore per questa scarpetta e per questo sport bilancia la meticolosità della sua mente ordinata. Una personalità generalmente riservata che è spesso vista come ostinata, specialmente sui social media o sul web, dove difficilmente contiene le sue opinioni riguardo agli scalatori moderni che, a suo dire, sono oggi troppo ossessionati dall’immagine e dalla presenza sui media rispetto ai tempi passati “di totale libertà incondizionata perché a nessuno fregava un cazzo dell’arrampicata”. 

Pochi giorni più tardi, dopo che il tempo si è schiarito, vedo questa sua etica in prima persona nella sua falesia segreta, un luogo che lui e la moglie sono felici di condividere con gli amici ma che hanno chiesto a giornalisti e autori di guide di tralasciare nella speranza di proteggere il loro tranquillo santuario. Qui, su questa rupe calcarea nelle Dolomiti, i cervi vagano ancora e i fiori di campo fiancheggiano la roccia.

Data la sua resistenza al cambiamento, potrebbe essere facile dipingere Mariacher come un vecchio hippie, uno di quegli abitanti avvizziti dei luoghi che hanno scalato duramente per tutta una vita e un pozzo senza fondo di opinioni senza mezzi termini. Ma lui è un personaggio molto più complesso e stravagante, uno che abbraccia anche la tecnologia, il lusso moderno e le nuove idee, specialmente quando alimentano il suo desiderio di divertimento e di gioco. E mentre i suoi modi calmi, tranquilli e sempre dritti al punto potrebbero farlo sembrare chiuso, è invece una persona desiderosa di ascoltare, ridere e condividere una storia con tutti coloro che hanno una visione simile, lontana dall’autopromozione personale.

Nato a Wörgl, Austria, nel 1955, Mariacher ha iniziato ad arrampicare quando gli scarponi da alpinismo con la suola rigida erano la norma. Da bambino, lui e suo fratello Rudi, di 12 anni più grande, sono stati cresciuti in modo tradizionale, testa bassa e lavorare sodo. Ma, come ricorda “Da bambino avevo totale libertà. Dopo la scuola, prendevo la mia bicicletta e andavo a perdermi nei boschi, o esploravo i canyon partendo dal letto del fiume fino a raggiungere la cima, scomparendo fino a tarda sera.” Quando Heinz aveva 16 anni, l’arrampicata era diventata un obiettivo significativo e, inutilmente cercò di trovare partner attraverso il club alpino austriaco. Ma la mentalità tradizionale dell’arrampicata fatta di scarponi pesanti e scale di aiuto non si adattava allo stile libero del giovane. Decise quindi di continuare a esplorare l’arrampicata in solitaria o con partner occasionali. All’età di 17 anni, Mariacher aveva salito in solitaria le vie più impegnative del Kaisergebirge, le sue montagne di casa.

Un anno dopo, iniziò ad adattare questo suo spirito volto a muoversi il più velocemente e liberamente possibile alle intricate pareti delle Dolomiti. Nel 1974, all’età di 18, Mariacher concatenò Cassin (VII- 500 metri) e Comici (VII 500 metri) sulle Tre Cime di Lavaredo in meno di quattro ore. Scalò in solitaria Lacedelli (VI+ 500 metri) sulla Cima Scotoni, autoassicurandosi sul primo tiro, e poi salì in solo Vinatzer (VI+ 800 metri) sulla Marmolada, nel 1975 a 19 anni, utilizzando una corda solo sul sesto tiro per l’autoassicurazione fissando un anello di corda attraverso due chiodi.

“Per me, l’arrampicata ha sempre significato muoversi leggeri e veloci e godersi l’esperienza fisica, non solo conquistare una parete o una montagna a tutti i costi” dice Mariacher. Il suo approccio basato sul concetto di less is more ha segnato un’importante rottura rispetto alla tradizione dell’arrampicata dolomitica e ha scosso la scena fino alle sue radici. Il suo amico Hoette trova l’etica di Mariacher particolarmente notevole dato la famigerata roccia della catena montuosa. “La roccia è completamente fragile, una presa potrebbe rompersi in mano in qualsiasi momento” racconta Hoette. “Onestamente, è una fortuna che non sia morto in quei primi anni in cui praticava free solo. Non stava ad ispezionare le vie o a leggere guide, si limitava a camminare fino al muro e iniziare a scalare.”

Poco più che ventenne, abbandonando il suo lavoro di geometra, Mariacher andò a vivere nella sua auto e si trasferì nelle Dolomiti. Il suo stile di arrampicata e il suo modo di vivere erano un affronto per la comunità locale, i suoi ritardi e il suo approccio casuale ne scossero le fondamenta. Mariacher indossava abiti fatti in casa dai colori vivaci, cappelli piumati e occhiali alla John Lennon. “Una ribellione nei confronti della tradizione che prevedeva solo del noioso marrone e grigio indossato in montagna a quei tempi” racconta. Nonostante l’animo, tuttavia, anche lui aveva delle regole rigide: niente spit, niente soste o tiri con attrezzatura da risalita (un  passo avanti rispetto ai suoi inizi), e solo arrampicata dal basso, anche se significava rinunciare a tornare un altro giorno, il tutto radicato nel profondo desiderio di “testare i miei limiti, non i limiti dell’attrezzatura.”

Seguendo questa etica, Mariacher ha aperto numerose vie nelle Dolomiti negli anni ’70 e ’80. A causa della mancanza di spit, attrezzatura e passaggi chiave, queste vie sono difficili da tradurre nel moderno sistema di gradazione dei passaggi tecnici di oggi, ma molte hanno resistito alla prova del tempo come capolavori. Mariacher è legato soprattutto alla Marmolada e alla sua parete sud di 900 metri, dove ha aperto 12 nuove vie tra il 1977 e il 1982. La sua collezione qui vede vie ancora oggi raramente ripetute come Abrakadabra, la prima VII in parete, nel 1981, e Tempi Moderni (VII+ 900 metri), un capolavoro che come spiega lui è “una via che vedevo come l’ultima speranza per l’idea classica dell’arrampicata libera, in cui una via veniva aperta dal basso senza pre-ispezione, tutta l’attrezzatura utilizzata in lead, e sebbene i chiodi potessero essere usati per proteggere un movimento difficile appendersi ad essi non era accettabile.” Un’impresa condivisa nel 1982 con Luisa Iovane, che conobbe scalando nel 1978 al Passo Sella. Iovane, a suo modo, era un’ottima alpinista e divenne una delle migliori arrampicatrici sportive dei tempi, con 8 titoli come campionessa italiana, diversi podi internazionali e un secondo posto nella Coppa del Mondo 1989 dietro a Lynn Hill.

“Avevo 17 anni” ricorda Iovane. “Avevo già avuto partner eccezionali, ma lui era di gran lunga il miglior e il più veloce. E non gli dispiaceva che mi arrampicassi con le scarpe con la suola liscia e senza casco, perché lo faceva anche lui. Potrei tranquillamente riempire pagine e pagine del mio diario di arrampicata con le nostre salite. Dopo la prima estate, però, dovetti anche accettare il fatto che a volte capitava di sprecare una giornata di tempo perfetto con un tentativo fallito su una nuova via, solo a causa della sua rigida etica.” Un riferimento ai due che lasciarono una via, costretti a tornare un altro giorno, quando un movimento o una sequenza non potevano essere sbloccati in libera, o senza spit.

Tuttavia nel 1980, dopo un viaggio in Yosemite con Iovane per scalare Half Dome, the Nose, e Salathé Wall, Mariacher riconsiderò l’uso degli spit. Racconta: “In Yosemite, ho visto per la prima volta l’arrampicata come uno sport in un modo completamente nuovo. Sono tornato sulle Dolomiti e ho scalato di nuovo Abrakadabra e Tempi Moderni. Dopodiché, ho deciso di dedicarmi all’arrampicata sportiva, perché mi era chiaro che questa era la chiave per arrampicare più duramente in montagna, quindi sono andato ad Arco e ho iniziato a sviluppare nuove vie”.

In Arco, Mariacher è stato attratto dal mare di lastre di calcare intatte. Nel 1982 ha aperto la prima vera via sportiva dall’alto della zona, Specchio delle mie brame (6b). Chiodare queste pareti portò Mariacher a “reinventare l’arrampicata per me stesso” concentrandosi esclusivamente sul movimento, anche se per gli standard moderni le vie sono sportive, con spit molto distanziati.

Dal 1982 fino al 1984, Mariacher conquistò alcune delle salite più impegnative di Arco, vie come Super Swing (7b+) e Tom e Jerry (7c) che richiedono un utilizzo dei piedi molto preciso e una grande flessibilità dei fianchi. Entrambe si sviluppano su pareti quasi verticali in cui gli scalatori devono passare delicatamente da un piede all’altro su minuscole tacche.

Il pro climber norvegese Magnus Mitbø, che scalò le vie nel 2019, disse “Le prese sono terribili, e ti senti come se da un momento all’altro verrai sbalzato via dal muro. Le vie sembrano anche molto più difficili rispetto ai loro gradi. Le persone erano davvero brave in quello stile allora, e forse anche più umili.”

Durante questo suo personale rinascimento, Mariacher si attenne, come al solito, a certi principi. “Le vie possono essere chiodate dall’alto verso il basso solo supponendo quale sia il punto migliore per i rinvii e le prese non possono mai essere provate mentre ci si cala dall’alto” racconta. Anche con l’aggiunta della sicurezza degli spit, l’arrampicata, fatta bene, richiedeva comunque un movimento continuo, e lui non credeva nell’analisi, nella pratica e nella memorizzazione dei micromovimenti sulla punta. Quando l’area ha attirato l’attenzione del pubblico e le vie hanno iniziato ad essere praticate, Mariacher si è rivolto ad altro con sgomento. Prima a Lumignano, realizzando le prime salite rotpunkt di progetti come Atomic Cafe (8a) e El Somaro (8a), mostrando la sua padronanza nell’arrampicata. Poi, nel 1986, in Val de San Nicolo aprì Kendo, una delle prime vie 8b+ al mondo. E poi ha chiodato dal basso Tempi Modernissimi una via 7c+ di 8 tiri in Marmolada.

Grazie a lui, nel 1982 La Sportiva lanciò la sua seconda scarpetta da arrampicata, la Mariacher. Questo modello alto, viola e giallo, prese d’assalto il mercato europeo. Mariacher aveva scelto l’intersuola e lavorato sulla forma definitiva di tomaia e suola, testando diverse idee sulla roccia.“Poi tornavo in laboratorio e mettevamo a punto la rigidità, la tensione e il volume” ricorda. Nel 1984, la scarpa aveva raggiunto il Nord America e si era ufficialmente guadagnata un seguito globale, andando a sfidare la famosa Boreal Firé, rilasciata negli Stati Uniti nel 1983, e la prima scarpetta da arrampicata con suola in gomma morbida. Mariacher creò la sua tanto attesa slipper, Ballerina, nel 1984. Anche se forse troppo in anticipo sui tempi in termini di morbidezza, questo modello ha segnato la prima scarpa da arrampicata slip-on, nonché il primo design slip-on di La Sportiva. In contrasto con le tradizionali costruzioni in cui la tomaia di una scarpa veniva tesa sull’ultima forma 3D simile a un piede e poi fissata a un materiale più rigido e in seguito attaccata all’intersuola e alla suola, le calzature slip-on utilizzavano un calzino simile alla tomaia. Questo si estendeva intorno alla forma, con l’intersuola e la suola che si attaccavano direttamente alla tomaia. Sebbene entrambe le tecniche siano ancora utilizzate oggi, l’introduzione della lavorazione slip-on ha consentito di ottenere scarpette più morbide e sensibili e in grado di dare un migliore gioco di piedi.

Nel 1991, Mariacher trascorse otto mesi a sviluppare Mythos, una scarpa che ancora dopo 30 anni rimane un punto di riferimento gli appoggio di piede in laterale su pareti tecniche. Alex Huber, pioniere del free climbing tedesco, ne è un fan sfegatato. “Ho scalato quasi sempre con le Mythos. Se mi vedete in molte occasioni con altre scarpe è perché quelli erano allora i nuovi modelli che avrebbero dovuto essere sponsorizzati” dice Huber.

Nel 1993, a 38 anni, Mariacher da atleta e designer diventa vicepresidente del reparto ricerca e sviluppo nonché azionista di La Sportiva. Si sentiva “troppo vecchio per stare al passo con l’evoluzione atletica dell’arrampicata sportiva, e non ero interessato a interpretare l’eroe della montagna per estendere il mio status di atleta per un altro decennio”.

Nel 2005, Mariacher si separa da La Sportiva con l’idea di dedicare più tempo all’arrampicata e all’escursionismo nelle Dolomiti. Ben presto però gli viene offerto un posto da SCARPA, un’azienda di calzature con alle spalle 67 anni di storia e nota per i suoi scarponi da montagna, telemark e scialpinismo. Attirato dal calzaturificio di Asolo e dalla possibilità di rinnovare le scarpette da arrampicata del marchio, Mariacher si unisce al brand come Rock Shoe Category Manager. Racconta:  “Progettare e testare scarpe è divertente, avevo ancora molte idee e sapevo che i modelli da arrampicata non avevano ancora raggiunto il loro pieno potenziale.” In quel che descrive “la progressione naturale delle conoscenze e dei desideri futuri nella costruzione di scarpe” SCARPA nel 2006 lanciò Mago, una scarpetta asimmetrica e semirigida. Mariacher iniziò a sbizzarrirsi, sviluppando un’intera famiglia di scarpe (con forme abbinate) che offrissero vari gradi di fluidità e tipologie di aggancio, ad esempio la linea Instinct. Nina Williams, un’atleta SCARPA che ha utilizzato la Instinct LV per conquistare la parete a strapiombo di Simply Read (8b) in Rifle, Colorado, racconta “C’è qualcosa di speciale nella punta della scarpa. Riesco a vedere un piccolo appiglio, e tutto quello che devo fare è mirare in quella direzione, l’alluce guida la punta della scarpa proprio sulla presa”.

 

 

 

Mariacher lavora ancora come faceva originariamente nel 1981: sviluppa un concetto basato su materiali, forme e durata, fa assemblare un prototipo, quindi va ad arrampicare per testarlo. Il test avviene in genere nella sua falesia segreta, dove può utilizzare vie e prese specifiche come indicatori della qualità del prototipo. Mariacher è noto per il suo stile di arrampicata fluido e naturale, quando testa un nuovo modello sostiene che “la mia mente non è spenta come sarebbe normalmente. Sto invece arrampicando con più consapevolezza di quale sia la sensazione che mi da ogni presa, e sono pienamente consapevole di quello che sto facendo in modo da ottenere il miglior feedback possibile.” Con questo feedback annotato mentalmente, Mariacher torna in SCARPA per lavorare con i modellisti, mettendo a punto la scarpa nei minimi dettagli. Come dice lui stesso “Si tratta di un processo che potrei continuare all’infinito perché c’è sempre qualcosa da migliorare in una scarpa” anche se a un certo punto queste devono andare sul mercato.“Finché potrò continuare a testare i miei progetti e, attraverso le mie competenze, capire cosa deve essere cambiato e adattato in futuro continuerò a lavorare su nuovi modelli di scarpe da arrampicata” dice Mariacher. Intanto ci mettiamo d’accordo per andare ad arrampicare nella sua falesia segreta nonché terreno di prova preferito non appena la roccia si sarà asciugata. Lì, indosserà un paio di prototipi nuovi in modo da testarli su di un 7c scarsamente chiodato, prendendo silenziosamente delle note mentali per qualche cambiamento futuro.

La Checklist di Heinz Mariacher

Mariacher ha ridefinito gli standard sia dell’arrampicata sportiva che di quella alpina sin dagli anni ’70.“In montagna mi sono sempre rifiutato di usare gli spit e ho portato avanti una filosofia basata sul concetto di less is more, con attrezzatura ridotta al minimo in modo che il rischio diventasse parte del grado” racconta. “Un V+ (con pessima attrezzatura o nessuna) sulle Dolomiti può essere impegnativo, tradotto in gradi francesi è un 5a, che suona ridicolmente facile e non presuppone nessuna sfida! In passato ci muovevamo molto su roccia estremamente friabile, su avvicinamenti, vie e discese difficili.” La vie di 800m+ sulla parete sud della Marmolada evidenziano la sfida unica delle vie di Mariacher, dove le prime ascensioni sono state fatte in solo, senza spit, e in una sola giornata.

Riguardo alla sua attrazione per questo muro ormai famigerato, aggiunge “prima dell’arrampicata sportiva, ho scoperto la parete sud della Marmolada, un luogo quasi dimenticato con poche vie e tanto spazio libero per nuove salite. Per me e per alcuni amici rappresentava il parco giochi perfetto per stabilire un nuovo stile di arrampicata: scalare leggeri, veloci e in free solo seguendo una filosofia basata sul concetto di less is more. Purtroppo questo mondo ideale è durato solo pochi anni, perché non appena le nostre nuove salite hanno attirato l’attenzione degli alpinisti più tradizionalisti, la parete è stata invasa dall’alpinismo di conquista. Diversi progetti che avevo tentato in stile purista sono andati perduti a favore di arrampicatori che usavano uno stile misto e risolvevano i passaggi difficili con l’aiuto di chiodi e spit. Deluso da questa concorrenza sleale e dall’occasione persa di lanciare una nuova era sulle pareti alpine, ho rinunciato all’alpinismo e mi sono rivolto con gioia all’emergente arrampicata sportiva”.

Ecco alcuni highlight della sua carriera

Salite in Solitaria:

1973   Fleischbankpfeiler “Rebitsch” (VI+ 300m) Schmuck – Fleischbank, Wilder Kaiser (VI+ 400m)

1974   Cassin (VII-, A0, 500m) e Comici (VII 500m), Tre Cime di Lavaredo (3:30 totali per entrambe le vie)

Lacedelli, Cima Scotoni (VI+, A0, 500m)

1975   Vinatzer – Marmolada (VI+ 800m)

1979   Conforto – Marmolada (VI+ 900m free solo)

1985   Don Quixote – Marmolada (VI 800m free solo, 1:20)

Prime Vie 8b in Italia

• 1986: Prima salita rotpunkt di Kendo (8b+), San Nicolò

• 1988: Prima salita di Looping (8b), San Nicolò

Vie Chiodate ad Arco

1982: Specchio delle mie brame (6b)

1983: Super Swing (7b+)

1983: Pipistrello (7b)

1984: Tom Tom Club (7b)

1984: Tom & Jerry (7c)

1984: 007 (7c)

 

Prime Salite in Marmolada

1977: Harlekin (VI+) su Punta Rocca. Prima salita con Reinhard Schiestl

1978: Hatschi Bratschi (VI+) su Punta Ombretta. PS con Luggi Rieser “Darshano” e Reinhard Schiestl

1979: Vogelwild (VI+) su Punta Ombretta. PS con Luggi Rieser “Darshano” e Luisa Iovane

1979: Zulum Babalù (VI+) su Punta Ombretta. PS con Egon Wurm

1979: Don Quixote (VI+) su Punta Ombretta. PS con Reinhard Schiestl

1980: Abrakadabra (VII) su Punta Ombretta. PS con Luisa Iovane

1980: Sancho Pansa (VI-) su Punta Ombretta. PS con Luisa Iovane

1981: La Mancha (VI+) su Punta Ombretta. PS con Luisa Iovane

1982: Umbrella (VII-) su Punta Penia. PS con Luggi Rieser “Darshano”

1982: Tempi Moderni (VII+) su Punta Rocca. PS con Luisa Iovane1986: Tempi Modernissimi (7c+) su Sasso delle Undici. PS con Luisa Iovane

1987: Via Attraversa Il Pesce (IX-) su Punta Ombretta. PS con Bruno Pederiva, con tiri alternati

 

Design significativi

1982 – La Sportiva Mariacher: gomma liscia, tomaia foderata in cotone, migliore vestibilità rispetto alle scarpette da arrampicata dell’epoca

1983 – La Sportiva Ballerina: prima scarpa da arrampicata slip-on

1986 – La Sportiva Kendo: la prima scarpetta da arrampicata con tirante posteriore

1991 – La Sportiva Mythos: grande precisione in un modello dalla forma piatta/neutra

1997 – La Sportiva Miura: prestazioni a tutto tondo in una forma rilassata

2003 – La Sportiva Testarossa: precisione, scarpa ribassata che bilancia la morbidezza con il supporto attivo

2006 – SCARPA Mago: con tecnologia X-Tension che avvolge il piede donando precisione e aggiungendo supporto ai bordi

2010 – SCARPA Instinct: una famiglia di scarpette con diverse chiusure (slipper, velcro, lacci) e gradi di rigidità per conferire diverse caratteristiche prestazionali

2012 – SCARPA Boostic: modello di precisione pensato per lunghi tiri e multipitch tecnici, aggiornato nel 2020

2016 – SCARPA Drago: ultra morbida, bilanciata, dona una sensazione naturale e di supporto, ha introdotto il sistema SRT (surround rubber tension)

2020 – SCARPA Veloce: nuova vestibilità extra larga per l’arrampicata in palestra e le lunghe sessioni

2020 – SCARPA Furia Air: la scarpetta più leggera e morbida sul mercato, ha anche introdotto il sistema PAF Heel per una calzata che assorbe al meglio la potenza