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Il Lago di Garda in quattro giorni

By Luca Albrisi

Non saprei dire esattamente quando mi sia venuto in mente di pianificare questo viaggio.
Credo più altro che nel corso degli anni sia cresciuta in me sempre più intensamente la voglia di “vedere cosa c’è nel mezzo”. Esplorare quei luoghi – se pur relativamente vicini – che vengono speso ignorati perché “terre di mezzo” o di attraversamento. Dove pochi si recano e che quindi, anche se vicini, riescono a mantenersi intatti e a preservare la propria essenza.
È ormai da molti anni che cerco di vivere le mie avventure, grandi o piccole che siano, con l’intento primario di scoprire quanto di più sorprendente possa esserci vicino.
Uscire dalla porta di casa in splitboard o a piedi e cominciare la mia ricerca di luoghi sconosciuti, rappresenta una sfida che mi spinge a guardare gli spazi vicini con una prospettiva diversa, creativa.
#HomeToLake è un’idea che ha preso forma negli ultimi due anni nascendo proprio con questi presupposti. Un’idea per me molto significativa proprio perché permeata di quella semplicità che rappresenta una mia costante ricerca. Di per sé un intento semplice come quello di uscire di casa, in val di Peio per correre e camminare verso il Lago di Garda. In testa un’idea di itinerario, sulle spalle l’attrezzatura strettamente necessaria, nel cuore una grande voglia di scoprire luoghi inconsueti e poter condividere momenti e pensieri con chi ho di più caro.

CHAPTER 0
Km. 0
“Nulla inizia senza paura”.

I giorni sono contati, purtroppo. E quando una cosa che aspetti di fare da così tanto tempo rischia di svanire non è facile mantenere la calma.
Ma il meteo, si sa, è qualcosa su cui non possiamo avere il minimo controllo, per questo rimane una delle espressioni naturali di libertà più assolute che ci siano.
Sentire la pioggia che cade in modo deciso e ininterrotto sul tetto della nostra mansarda ci lascia poche speranze e pone molti dubbi.
Il poco tempo a disposizione per portare a termine questo viaggio mi fa dubitare della partenza stessa. Alessandra è preoccupata sapendo che se decidessimo di partire, significherebbe unire le prime due tappe del nostro percorso. Lo spirito di questo viaggio è anche quello di percepire le paure e capire le insicurezze altrui. Non dare nulla per scontato se non la volontà di viaggiare tutti insieme, esplorando anche gli aspetti più interiori di questa avventura.
La paura del “non essere in grado” è uno dei tranelli più infimi della nostra vita.
Da quando nasciamo provano a inculcarci la perfezione come obiettivo, per paura di accettare l’imperfezione come realtà. Ma è quello, che siamo.
Dovremmo piuttosto imparare a fallire alla grande e accettare la nostra imperfezione con leggerezza. Quindi – nel dubbio – partire anche senza la certezza di arrivare.
Che molto spesso, la paura, svanisce proprio dopo il primo passo.

CHAPTER I
“Nell’anima e nelle gambe”.

Sentire la porta che si chiude dietro le proprie spalle è la prima divisione netta tra quello che è stato e quello che sarà.
I preparativi, la mappatura, la dettagliata considerazione di quali materiali serviranno e come trasportarli. Tutto rimane indietro.
Davanti c’è solo la sperimentazione di tutto quello che è stato immaginato e la voglia di lasciarsi meravigliare.
Partire è soprattutto lasciare a casa i propri preconcetti e godersi tutte le avventure, e disavventure, che il nostro “muoverci nel mondo” porta con se.
Abbandonare il conosciuto, il popolato, il turistico, significa immergersi in una realtà naturale dove i sentieri a tratti spariscono quasi completamente e dove i numerosi animali fuggono spaventati dalla presenza umana cui non sono soliti.
Val Gelada non sembra rappresentare il carattere freddo di questo luogo ma piuttosto il suo essersi ibernato in un tempo lontano dal nostro. Eppure, nonostante questa sua distanza, sento di riconoscere me stesso più in questo luogo che non nel carattere frastornato di quella vita moderna che ci hanno inculcato di desiderare.
Il primo valico del nostro viaggio ci regala l’immagine del Brenta che si specchia nel lago Serodoli e mi fa rendere finalmente conto di quanto sarà affascinante e impegnativo questo viaggio.
Proprio qui, non molti anni fa, ha avuto luogo un braccio di ferro tra ambientalisti e una società impianti che voleva ampliare le proprie piste da sci fino a qui. Lo stesso progetto è stato rilanciato in questi giorni e mi chiedo se noi, nuove generazioni di attivisti, saremo in grado di fermarlo ancora una volta.
Comincio la mia discesa con la volontà di lottare per la preservazione delle aree selvagge e l’amara consapevolezza di quanto troppo spesso, nell’immaginario collettivo, la normalità sia rappresentata invece da uno “sviluppo” standardizzato che non tiene conto delle esigenze delle altre forme di vita o dell’importanza dei luoghi.
Così prometto a me stesso di fare di più, di informarmi di più, di informare di più. Di agire di più.
E di provare a non anestetizzare quel dolore nell’anima che in questo momento supera di gran lunga quello delle mie gambe.

CHAPTER II
“Piccoli e mutevoli”

Il nostro cammino verso il Brenta scorre veloce e leggero nonostante i kilometri e il dislivello non siano irrilevanti.
Attraversare il fondovalle, i paesi e il flusso turistico che in questo periodo li invade fa un effetto strano sui ricordi ancora freschi di aree così poco antropizzate e della pace che le accompagna.
Inconsapevolmente acceleriamo il passo per tornare in luoghi più solitari e lasciarci alle spalle i segni della civiltà e, forse, anche un po’ nostri.
I tanti alberi caduti come stuzzicadenti, soffiati via dal vento, mi ricordano quanto poco controllo possiamo avere sulla vita e quanto la nostra arroganza e noncuranza possa essere spazzata via in un attimo.
L’errore più grande che commettiamo è proprio quello di ritenerci fondamentali per questo mondo.
Ma la realtà è che non lo siamo.
So bene cosa rappresentano le montagne per me, ma negli ultimi anni sto cercando di capire, piuttosto, cosa rappresento io per loro.
Se sono in grado di ricambiare in qualche modo il senso che hanno generato nella mia vita. Se posso ripagarle di tutte le emozioni che mi hanno fatto vivere e dei momenti che mi porterò dentro per sempre. Guardo Ale un po’ preoccupata e guardo i miei “coni” (ndr: Coni=cani particolarmente randagi e girovaghi. Cit: Snatch) che, inconsapevoli, mi lanciano sguardi un po’ allibiti.
Ci siamo alzati molto presto, eppure siamo ancora qui, fermi, ad aspettare che la neve si ammorbidisca, almeno un po’.
Mi trovo di fronte alla bocca di Tuckett piena di neve, come non l’avevo mai vista. Lo strato superiore è duro, quanto la mia resistenza nel rendermi conto della necessità di cambiare itinerario.
Mi risulta molto difficile realizzare questa mancanza di feeling nei confronti dell’“elemento” con cui ho maggior confidenza e a cui, almeno per ora, ho dedicato la vita.
Ma in fondo, penso, siamo qui per attraversare, per viaggiare e per condividere, non per andare in snowboard.
La reattività al cambiamento è una delle qualità che preferisco e che più mi affascina. Per noi significa tornare sui nostri passi, per non pochi kilometri, e poi risalire da un altro versante.
Ma in fondo “sbagliare strada” spesso significa solo essere disposti a raggiungere il medesimo obiettivo tramite una percorso diverso e non previsto ma – chissà – magri più bello di quella che avevamo programmato.

CHAPTER III.
“Legàmi”

Le prime luci del giorno stanno illuminando la Bocca di Tuckett completamente innevata alle mie spalle, mentre attraversiamo la valle dirigendoci verso il nostro prossimo punto di valico. Cerco di non pensare a come sarebbe stato e concentrarmi su come sarà, anche se non è sempre così semplice muovere i nostri pensieri nella direzione che desideriamo.
Scendere per poi risalire, in fondo è una costante metafora di vita.
Mi fermo a scattare qualche foto e mentre guardo Ale e i coni muoversi agili in lontananza, mi rendo davvero conto della maestosità di questi luoghi.
So che questo viaggio non sarebbe stato la stessa cosa senza le mie tre compagne e mi rendo conto di quanto ogni giorno rappresenti uno stimolo a migliorarsi e superare gli imprevisti, tutti insieme. E che se la neve non ci avesse fermato non saremmo qui, ora.
Forse, in fondo, non mi ha tradito nemmeno questa volta.
Sono sempre più consapevole del legame che unisce noi quattro e di come stiamo imparando ad affrontare tante sfide diverse.
E poi ghiaioni, ferrate e nuovi scivoli di neve – tutti insieme – giungendo sorridenti e scodinzolanti alla Bocca di Brenta.
Al di là del passo non c’è più neve ma solo tanta nebbia che lascia appena scorgere alcune cime di fronte a noi, avvolte dal nulla.
Lasciamo trascorrere alcuni minuti per mangiare e riposarci consapevoli che, nella vita come nei viaggi, spesso bisogna saper aspettare.
Far passare il nulla, convinti dello spettacolo che ci aspetterà.
E mi rendo conto di essere felice di trovarmi qui, di fronte a me stesso, di fronte ad Ale, di fronte a Kaya e Maka. Di fronte alla costante incertezza di questo viaggio.
Di fronte a tutta questa natura che mi piomba negli occhi e poi scende  fin giù, nel profondo.
E che, come pioggia, non si può fermare.

CHAPTER IV.
Km. 130
“Come acqua, verso l’acqua.”

Guardo fuori dalla finestra mentre lampi e tuoni si sfogano a breve distanza dal rifugio.
Immagino tutta quest’acqua riempire il torrente che scorre a pochi metri da qui, immagino il suo tragitto veloce all’interno degli stretti canyon della valle; poi giù per una cascata e poi di nuovo, rapida, verso il fondo.
Tutto sommato in questo momento l’obiettivo dell’acqua non è molto diverso dal nostro: lasciarsi andare, rapida, verso il lago più vicino.
So che questa attesa forzata ci costringerà a nuove modifiche di percorso, ma so anche che l’acqua trova sempre una strada.
Ho i piedi a mollo nel Lago di Garda e l’animo leggero. Per tutto il viaggio mi sono immaginato arrivare qui e tuffarmi.
Invece mi accontento di guardare questa immensità d’acqua e ripensare a questi ultimi kilometri di “pianura” e caldo. Di paesi e borghi attraversati ricostruendo con l’immaginazione la vita di un tempo e cercando sollievo all’ombra di qualche albero solitario o in qualche fontana, prima di rientrare nel bosco.
All’ultimo passo mi sono soffermato a guardare la vallata che dà verso il lago e a pensare a quanto i luoghi conosciuti possano cambiare aspetto se raggiunti in modo diverso.
A quanti luoghi diamo per scontati lasciandoli scorrere troppo velocemente.
Credo dovremmo riappropriarci del nostro diritto alla lentezza, della nostra vita e dei luoghi in cui la viviamo.
Penso a tutto questo viaggio, a quanto sia distante casa e a quanti passi abbiamo fatto per arrivare fino a questo lago.
Guardo Ale, Kaya e Maka, stanche e felici, e in questa felicità intravedo tutte le avventure vissute e quelle ancora da vivere, insieme.
L’ultima tappa di un bel viaggio porta sempre con se un’amara eccitazione. Quella del vedere un’idea che si concretizza pur sapendo che a breve svanirà di nuovo, per diventare ricordo.
Perché a volte parte tutto da un’idea semplice, come quella di uscire di casa e andare al lago.
E sta tutto nel coraggio di dedicarsi a questa semplice idea, proprio come semplice è perdersi nell’avventura.