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Homeland: un comprensorio skialp only

By: Ilaria Chiavacci 

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Dormire in un base camp come in Pakistan e partire con le pelli al mattino, a Montespluga in Valchiavenna il turismo è wild

Non ci sono impianti di risalita e chiassosi aprés-ski, non ci sono piste battute, né cannoni per l’innevamento artificiale o cartelli con le indicazioni, se non quelli dei sentieri che si percorrono in estate. Non ci sono neanche alberi a ben guardare, nonostante l’altitudine non sia così estrema, visto che il passo dello Spluga non arriva a 2000 metri. C’è anche una strada sola, che in pieno inverno non viene più pulita con la solerzia estiva lasciando spesso il passo isolato: insomma, siamo al confine tra Italia e Svizzera, a poco più di due ore da Milano, ma la sensazione è quella di trovarsi in luogo remoto e fuori dal mondo. Montespluga in inverno è totalmente disabitata: gli alberghi e i ristoranti che ci sono sono tutti chiusi e, dopo una nevicata abbondante, il panorama che si apre sulla diga che la separa da Madesimo richiama scenari alla Fargo, il film dei fratelli Coen. Le valli italiane solitamente sono strette, con vette aguzze e boschi a non finire: qui la diga che ghiaccia lascia uno spazio aperto totalmente bianco, che è insolito per i nostri paesaggi, forse è per questo che con un po’ di immaginazione ci si sente in Minnesota, o in Alaska. Non c’è niente se non neve per un pezzo, o almeno così sembra: in realtà la vita ricomincia subito dopo la diga e l’altopiano degli Anfossi, ma da qui non si vede. Ecco perché Tomaso Luzzana, il fondatore della società di comunicazione ed eventi outdoor SpiaGames, ha pensato di costruire qui il quartier generale di Homeland che si propone, a tutti gli effetti, come il primo comprensorio senza impianti in Italia.

Tomaso è sì un uomo di montagna, ma anche di business, e quindi capace di captare i movimenti del mercato in anticipo, prima che siano conclamati. Lo scialpinismo si sta ritagliando uno spazio sempre più ampio nel cuore degli appassionati di montagna che, complici anche le restrizioni durante gli anni della pandemia, hanno iniziato a frequentare sempre di più una disciplina che fino a qualche anno fa era considerata forse troppo estrema, appannaggio esclusivo di alpinisti e freerider. I numeri relativi all’inverno di due anni fa invece dicono che, se lo sci alpino è aumentato, lo scialpinismo è triplicato: certo, questo perché erano in meno prima a praticarlo, ma gli appassionati di skialp stanno iniziando a non essere più una nicchia. Il mondo della montagna e dei comprensori stesso sta cambiando: i costi sempre crescenti degli skipass e i problemi legati alla siccità e all’innevamento artificiale stanno facendo emergere un’esigenza sempre più chiara, quella di godere della montagna in maniera più libera e pura. E se le località di montagna vivono ancora prevalentemente del turismo legato allo sci e allo snowboard in pista, si sta sempre più facendo strada l’esigenza di trovare modelli di fruizione delle montagne alternativi alla sola frequentazione dei comprensori. Mancanza di neve e difficoltà economiche sono due fattori cruciali per spiegare il crescente successo dello scialpinismo, ma in molti le prove generali le hanno fatte nei passati inverni, quando gli impianti erano chiusi, ma le piste battute: chi ha potuto si è dotato dell’attrezzatura per risalire e poi scendeva in pista. Oggi, a impianti riaperti, in Italia questo è permesso solo in quei comprensori che hanno delle piste apposta per la risalita: realtà che stanno aumentando, ma che non sono così capillari.

Qual è quindi l’idea dietro a Homeland? Quella di creare una realtà, che è prima di tutto un luogo fisico, in cui trovare attrezzatura, ma anche guide con cui affrontare dei percorsi di avvicinamento allo skialp, oppure esperienze decisamente wild se si hanno già delle competenze di base, in una località dove non ci sono impianti di risalita, quindi dove non c’è già un turismo legato allo sci alpino. Avvicinandovi al passo dello Spluga noterete che da un lato c’è un grosso container di vetro: ecco, quello è il quartier generale di Homeland: se infatti sul sito è possibile consultare il programma di tutta la stagione, che prevede experience diverse ogni weekend, nella struttura fisica è possibile noleggiare l’attrezzatura, sci e scarponi da scialpinismo e splitboard, ma anche il kit di sicurezza composto da artva, pala e sonda, e richiedere l’assistenza di una guida. Il problema principale di chi si avvicina allo skialp è infatti quello di rendersi autonomo, tanto nella risalita quanto nella discesa. Quando non si ha a che fare con un comprensorio, quindi con delle piste dove è chiaramente indicato il livello di esperienza richiesto per affrontarle, ma con una montagna dove sta a noi stabilire il percorso, è cruciale imparare a muoversi in sicurezza. La missione principale di Homeland è quindi quella di dare gli strumenti per imparare a godere della montagna in assoluta libertà e sicurezza: le guide alpine, che sono il tessuto connettivo di questo posto, sono tutte espertissime e soprattutto in queste valli ci sono nate e cresciute, le conoscono palmo a palmo e possono usarle come aula per spiegare agli avventori come affrontare una gita con le pelli. “Le valanghe non esistono”, dice qualcuno in maniera scaramantica prima di partire, “Quella parola non si dice”. Non si dice, ma si conosce a fondo: un tassello fondamentale dell’offerta formativa di Homeland è il safety camp: ovvero il corso attraverso cui si impara ad analizzare la montagna e le condizioni metereologiche e della neve e ad utilizzare e a maneggiare artva, pala e sonda e si fanno dei workshop pratici di ricerca e dissotterramento travolti. Imparare a padroneggiare questi strumenti è importantissimo, ma è ancora più importante prevenire una situazione spiacevole, dotandosi di una solida conoscenza di base: la parte fondamentale del corso riguarda infatti la spiegazione di quelle che sono le condizioni in cui la neve è sicura: imparare a riconoscere dove potrebbe staccarsi una valanga è il primo passo per evitarla.

Tra i tanti cambiamenti che la pandemia e i lunghi periodi di confinamento globale hanno portato nelle persone, c’è anche una riscoperta potente del rapporto con la natura. Trascorrere del tempo all’aria aperta è oggi più che mai una priorità, soprattutto per chi l’outdoor lo ama follemente, ma è bloccato dal lavoro in città. Il contatto con la natura a tutto tondo è il concept fondamentale dell’offerta di Homeland che, accanto allo scialpinismo e allo splitboarding, propone l’uscita notturna in tenda, con tanto di costruzione del base camp. Nelle pagine di The Pill leggete spesso di avventure incredibili di alpinisti, esploratori ed atleti, e avrete più volte visto le immagini dei base camp da cui partono le spedizioni: che sia Nepal, Pakistan o Alaska le vibes sono quelle: un cerchio di tende piantate nella neve e circondate dal bianco o dal buio più totale. L’esigenza di dormire in tenda in quota di solito è dettata dal fatto che, per sfruttare la finestra di bel tempo, si debba partire dal posto più vicino alla meta. La Lombardia non è il Pakistan, siamo d’accordo, ma la Val Loga è un posto magico lo stesso e soprattutto adatto ad approcciarsi per la prima volta a una notte in tenda nella neve. Scavarti un alloggiamento confortevole, piantare la tenda nella giusta direzione e picchettare con le bacchette o con la pala sono tutte skills che potrebbero tornare utili nel caso si decidesse di fare un’uscita su più giorni che preveda un percorso di avvicinamento molto lungo. Non solo, nonostante appunto, la val Loga sia a due passi da Madesimo e non in Pakistan, la sensazione che si prova nel dormire tra neve e cielo è pazzesca. Il fatto che non ci siano impianti di risalita ha preservato la purezza di questo posto, che oggi si sta aprendo a un turismo diverso, responsabile e rispettoso della natura.