Image Alt

Il Manaslu di Alex Txikon

With: Ferrino By: Silvia Galliani 

È una piacevole serata di fine inverno. L’aria inizia a scaldarsi e le giornate si fanno mano a mano più lunghe. È il 17 marzo e ci troviamo a Brescia, precisamente da DF Sport Specialist al Centro Commerciale Nuovo Flaminia, per incontrare niente meno che Alex Txikon.

La serata, promossa da Ferrino, fa parte della serie denominata A tu per tu con i grandi dello sport”, un ciclo di appuntamenti ideato da DF Sport Specialist nel 2005, che ha come scopo quello di raccontare laffascinante mondo della montagna, e non solo, attraverso i suoi protagonisti. Sergio Longoni, Presidente DF Sport Specialist, ha infatti dato vita a diverse serate che hanno visto sul palco anche campioni di ciclismo, running, nuoto, esploratori dei territori più impervi e lontani. Atleti di casa ma anche ospiti internazionali: le testimonianze di vita e i racconti delle loro esperienze sportive hanno creato momenti di grande emozione e coinvolgimento per il pubblico, suscitando attesa e curiosità per levento successivo.

Stasera, invece, sotto i riflettori sarà la volta dell’atleta basco e ambassador Ferrino che, davanti a un nutrito pubblico, racconterà la spedizione invernale che lo scorso 6 gennaio lo ha portato in cima al Manaslu.

È stato il terzo tentativo per Txikon che ha raggiunto la vetta a 8163 metri in invernale e senza luso di bombole dossigeno. Con lui sul punto più alto Pasang Nurbu Sherpa, Gelu Sherpa, Maila Sherpa, Mantere Lama Sherpa, Gamje Babu Sherpa e Chepal Sherpa. Si tratta della prima salita invernale integrale del Manaslu, realizzata secondo i canoni moderni delle spedizioni invernali: arrivo al campo base dopo il solstizio dinverno (21 dicembre). Con Txikon anche Simone Moro che per problemi di salute ha dovuto rinunciare. Insieme avevano scalato il Nanga Parbat nel 2016, la prima volta in invernale. La conquista del Manaslu per Alex Txikon e i suoi compagni nepalesi rappresenta la prima ascensione realizzata completamente in inverno e la seconda nella stagione più fredda, dopo quella compiuta nel 1984 dai polacchi Maciej Berbeka e Ryszard Gajewski, che iniziarono però la spedizione in autunno. Txikon e compagni hanno completato ascensione e discesa in meno di 60 ore, un tempo record per la scalata su un 8000 in invernale.

Abbiamo avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con Alex prima della serata che lo ha visto protagonista, ecco cosa ci ha raccontato!

Ciao Alex, ci racconti come è andata l’ascesa al Manaslu?

Sono partito alla volta del Nepal insieme a Simone Moro, al suo quinto tentativo sul Manaslu invernale e terzo per me. Insieme a lui e a tutto il team abbiamo lavorato per preparare la via di salita sulla montagna allestendo i campi, fissando le corde fisse e scegliendo il miglior itinerario verso lalto. Alla prima finestra di tempo utile e dopo aver allestito il campo base, a circa 5000 metri, abbiamo iniziato a salire. Il 4 gennaio, siamo arrivati al campo 2, superando 1500 metri di dislivello. Durante questa salita Simone Moro ha purtroppo avuto un problema di salute e ha giustamente scelto di rientrare sui suoi passi da solo. Intanto noi, il 5 gennaio, abbiamo proseguito verso campo 3, posizionato questanno poco sotto i 7000 metri, dove abbiamo deciso di provarci per sfruttare al meglio la finestra meteo. E dopo tre anni di tentativi e sacrifici abbiamo finalmente raggiunto la vetta, esattamente alle 9.30 locali del 6 gennaio. È stata una delle esperienze più dure e pericolose della mia carriera professionale e ci ha richiesto una forza fisica e mentale incredibile. Soprattutto nella prima parte la montagna era in condizioni peggiori di quanto pensassi. Le temperature sono scese fino a -45º e le raffiche di vento hanno raggiunto i 50km orari. È difficile per le persone farsi un’idea di cosa siano queste condizioni: anche l’acqua delle borracce che portavamo tra il petto e la tuta di piumino gelava, una cosa che non mi era mai accaduta prima!

Da chi era composto il team con cui hai raggiunto la vetta?

Insieme a me c’era un gruppo di sei alpinisti nepalesi, più altri due nepalesi al campo base a 4850 metri e ulteriori tre persone a 3700 metri. Inoltre i miei sei compagni nepalesi hanno una rete abbastanza ampia di conoscenze con cui si sono scambiati informazioni e consigli. Poi c’è tutto il gruppo che si occupa dei social e dei comunicati stampa. È una rete di persone abbastanza ampia, che hanno collaborato insieme alla realizzazione di questa impresa. Fra noi sette ognuno aveva la propria opinione che veniva ascoltata e valutata e si decideva tutti insieme il da farsi.

Ferrino è da tempo a fianco delle tue spedizioni, quali prodotti hai utilizzato per l’ascesa al Manaslu?

Abbiamo utilizzato le tende modello Colle Sud al campo base, e le tende d’alta quota Sbowbound 3 per i campi alti: due prodotti di punta della linea Ferrino HighLab che, grazie ad un lavoro di costante ricerca, test e sviluppo, garantisce un continuo miglioramento delle attrezzature, ottimizzando le altissime prestazioni anche nelle condizioni dellHimalaya in inverno, con venti fortissimi, nevicate intense e temperature di parecchi gradi sotto lo zero. Per quanto riguarda gli zaini invece avevamo quelli della linea Instinct, ultraleggeri e costruiti in Dyneema Composite Fabric, Cordura Nylon e rinforzi in SuperFabric per garantire un rapporto ottimale tra resistenza e leggerezza.

Cosa ti ha insegnato questa avventura sul Manaslu?

Innanzitutto ad ascoltare me stesso e ad ascoltare la montagna. A darmi del tempo per prendere decisioni perché in montagna serve avere pazienza ed è necessario saper imparare dai propri errori. 

C’è qualche aneddoto o dei momenti che vorresti ricordare e condividere?

Tutti pensano che i momenti migliori, quelli da ricordare, si vivano in vetta. Ma io non mi ricordo molto di quell’attimo, quello che ricordo invece sono i momenti in cui ci divertivamo, quelli vissuti con la popolazione locale, con i bambini. Oppure quando eravamo in un monastero a Samagaun bevendo un tè tibetano terribile o condividendo il pranzo con le persone del villaggio. Sono popolazioni locali ancora autentiche nonostante il turismo che comunque sta lentamente cambiando questi equilibri, quindi credo sia importante ricordare ed evidenziare questi momenti.

Si fa tanto parlare della sostenibilità in montagna. Tu come ti approcci a questo tema importante?

Per me la sostenibilità si declina in due aspetti. Uno riguarda l’educazione: sosteniamo infatti l’associazione Udana che si fa carico delle spese educative di 20 ragazze che provengono da zone remote del Nepal con l’obiettivo che poi ritornino ai loro villaggi portando le competenze che avranno acquisito come professoresse, maestre, dottoresse, infermiere. Dal punto di vista della sostenibilità energetica siamo invece parte della Fundación Eki che ha creato più di 70 installazioni fotovoltaiche in Africa subsahariana, 2 in Nepal e 1 in Pakistan. L’energia è progresso: abbiamo portato un proiettore in una scuola in Pakistan e quando i bambini vedono per la prima volta un film si rendono conto che c’è tutto un mondo oltre a quello che conoscono. Infine, se parliamo di sostenibilità durante le spedizioni, al campo base ricicliamo sempre i rifiuti, cerchiamo di portare con noi quanto meno packaging possibile e, anche per quanto riguarda i rifiuti organici, cerchiamo di riportare sempre tutto a valle. L’urina è problematica perché esiste il problema della contaminazione dei corsi d’acqua che raggiungono i villaggi e quindi bisogna fare attenzione. Inoltre cerchiamo di ripulire la montagna non solo dei nostri rifiuti ma di tutto quello che troviamo sul nostro cammino.

Progetti futuri? Hai intenzione di ripartire subito per l’Himalaya?

Cerco di vivere la vita giorno per giorno ed essere sempre presente a me stesso. La vera vita è qua, non sull’Himalaya, nonostante questo a volte Alex Txikon assorbe Alex e sento una pressione costante, ma io mi devo sempre ricordare che sono Alex, non Alex Txikon.  Credo che si debba vivere ogni giorno al massimo. L’alpinismo per me non è un lavoro ma una passione ma se pensassi solo a quello non riuscirei a godermi il presente e quello che mi succede quando non sono in Himalaya. Anche scalare sulle montagne di casa mi rende felice perché la montagna è la mia vita.