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Indian Summer Run

Running as a way to explore.

Nel rigido inverno del 335, mentre usciva a cavallo da una delle porte di Amiens, Martino di Tours vide un mendicante sofferente, seminudo e infreddolito. Il soldato si impietosì, tagliò in due il suo mantello, la clamide bianca della guardia imperiale, e lo condivise con il povero. In quel preciso istante il cielo si schiarì, spuntò un sole caldo e la temperatura si fece più mite. Da allora, l’11 novembre, data della sua sepoltura, leggenda vuole che la morsa del freddo si interrompa per 3 giorni a commemorare il nobile gesto. Si tratta della cosiddetta Estate di San Martino, uno specifico periodo dell’anno caratterizzato dal sistematico ritorno dell’anticiclone. E sebbene questa fase di alta pressione abbia una sua spiegazione scientifica, preferiamo rincorrerne la visione mistica e spirituale che la accompagna. 

Nel corso dei secoli questa data è diventata occasione di festa in tutto l’occidente, simbolicamente associata alla terra e i suoi frutti, dove si fa onore al vino nuovo, al buon cibo e all’abbondanza della campagna. Nei paesi anglosassoni è conosciuta come Indian Summer, l’estate indiana. 

È in questo contesto figurativo e metaforico che nel 2020 abbiamo inconsapevolmente dato vita a quella che sarebbe diventata “un’emblematica cavalcata che unisce Valdobbiadene a Revine, lungo un filo di cresta che corre per 45km tra la Pianura Veneta e la Valbelluna. Un’indigestione di Prealpi, nel momento di massimo splendore, un’avventura tra luoghi che, per alcuni, rappresentano ancora l’ignoto. Qui non si vince niente, qui non si deve dimostrare niente. Qui è dove la corsa in natura ritrova la sua espressione più pura, l’autogestione, il senso di comunità. Un antico mezzo a servizio dell’esplorazione.

Per questo abbiamo deciso di darci nuovamente appuntamento in quella terra di mezzo dove nessuno verrebbe mai a cercarci, in quello spartiacque che separa le Dolomiti dalla grande pianura produttiva del nord est. Di offrire a tutti un modo per riscoprire sé stessi, combattere contro la propria quotidianità. Perché noi siamo così. Abbiamo bisogno di comportarci come un elastico, allontanarci dalla minaccia di uniformità, fuggire dal comfort e dalla consuetudine, sentire il brivido di esporci in quel gioco costante che mira a ingannare la mente per superare la fatica. E solo allora, sazi ed appagati, ricongiungerci al mondo reale. Ma per fare questo ognuno deve scendere, almeno una volta, nel proprio inferno. Calarsi dove la natura diventa travolgente, i sentieri diventano palcoscenico, dove il buio sprigiona i sogni e l’alba, come la pace, è silente e quieta. 

Facciamo tutto questo per riaccendere l’entusiasmo di qualcosa di primordiale, che nasce nel profondo delle nostre pance”. Per un egoistico bisogno, quello di sentirci umani, di andare oltre la moltitudine di ruoli e responsabilità che la società ha posto su di noi, sotto i biglietti da visita con il nome dell’azienda, o le etichette di padre, marito e figlio. Per ritrovare il vero essere nel suo livello più puro.

Come lupi ci inchiniamo alle leggi del branco, ma quando non c’è più posto abbracciamo la vita solitaria in cerca di nuovi spazi. Ecco, questo è quello che siamo, un complesso di istinti che non riusciamo a dominare completamente. Su di essi si sono concentrate le angosce di un mondo in transizione. Abbiamo condannato il lupo per quello che abbiamo deliberatamente ed erroneamente percepito che fosse: in realtà, l’immagine riflessa di noi stessi. Come l’animale, abbiamo imparato a governare le funzioni principali del nostro ciclo vitale, adattandoci ad ambienti, climi, altitudini; abbiamo imparato a ottimizzare le energie e difendere uno specifico territorio. Per cosa? Non certo per la sopravvivenza, ma per eludere uno stile di vita sempre più dipendente da supporti tecnologici che mediano il rapporto con la realtà e fanno perdere il contatto con il selvatico. Ed ecco che il lupo diventa l’incarnazione di cambiamenti sociali ed economici traumatici, come l’abbandono della campagna o delle montagne di mezzo. 

Sì, proprio quella montagna di mezzo che a noi sta cuore, le Prealpi Trevigiane. “Luoghi apparentemente perdenti che oggi sono tornati al centro di movimenti di resistenza, come il nostro”. Resistenza a modelli dominanti di standardizzazione e intensificazione, sul disegno di modernità portato a compimento durante il novecento, ma che hanno decretato la crisi della montagna contemporanea (o le sue effimere fortune). Abbandono e marginalità diffusi da una parte, divertimento turistico dall’altra, hanno scavato profondi divari territoriali che molto spesso richiedono di essere ripensati.

Oggi Indian Summer Run traccia i contorni di una nuova idea di territorio, diversa da quella tuttora dominante nei media e nell’opinione pubblica. Si propone di dare vita e valore a quei luoghi interposti tra vette celebrate e fondivalle congestionati, a due passi dalle tanto blasonate Colline del Prosecco, Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Un riconoscimento di dominio diffuso, un’etichetta promozionale di dubbia utilità, più che uno strumento di politica culturale, che nelle vicine Dolomiti non ha saputo rispondere alle esigenze di tutela dei territori interessati e nemmeno a quelle dello sviluppo realmente sostenibile. 

Le montagne di mezzo non sono solo una realtà altimetrica, bensì luoghi che tengono insieme passato e futuro, rilanciando un’idea ricreativa che concilia nuovi modi di vivere e rispettare la montagna.” Un luogo di mediazione in termini di mobilità e spostamenti. Un immaginario che vede la natura come elemento esclusivamente positivo, a maggior ragione se incontaminata; concetto chiave che presuppone che l’uomo sia sempre e soltanto agente contaminante. Indian Summer Run nasce qui dentro, da un’esperienza personale, e si apre con il desiderio di condividere la passione per la corsa e per l’esplorazione delle terre alte a margine dei flussi turistici, alla ricerca di nuovi spazi vitali. A volte anche un pretesto, per raccontare le Prealpi attraverso i suoi tratti identitari. Correre in un ambiente nuovo, scoprire luoghi e sentieri sconosciuti, assumerne i suoni, gli odori, i panorami è un piacere speciale che traccia ricordi indelebili. 

Come spin off del progetto Lost in Prealps, siamo animali sociali alla ricerca di un branco, che tuteli ogni suo membro, in una sorta di nucleo dove ognuno assume dignità proprio perché vi appartiene. Inquadrati in una strategia improntata all’autoconservazione. Indian Summer Run mette tutti sullo stesso livello, ognuno parte di una grande famiglia che usa la forma più semplice ed elementare di movimento in montagna come pretesto per evadere, stare in compagnia, divertirsi e vivere l’aria aperta. Riaccendere l’istinto all’esplorazione e alla contemplazione riscoprendo il significato del termine “paesaggio”. Questo è ciò che vogliamo, conducendo la nostra piccola rivoluzione con lentezza.