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Intervista con Matteo Della Bordella, scalando le montagne ad armi pari

Interview by Camilla Pizzini

 

Powered by SCARPA  & Vibram

Abbiamo intervistato Matteo Della Bordella, alpinista professionista, ambassador di Vibram e Karpos ed inoltre presidente dei Ragni di Lecco. È un amante di un alpinismo essenziale e leggero proprio perchè ama affrontare la montagna ad armi pari.

Come stai? Cosa stai facendo in queste giornate di quarantena? Hai trovato nuove passioni?
Sono tornato dalla Patagonia pochi giorni prima della quarantena. Avevo già deciso prima che tutto ciò accadesse di dedicare questo periodo all’allenamento, senza concentrarmi troppo su altri progetti, quindi per ora non mi è saltato nulla di particolare. Adesso che è tutto in divenire sto cercando di capire cosa potremmo fare e sopratutto come organizzare i progetti futuri. Ad esempio a maggio volevo andare a liberare una via che io stesso avevo aperto in Canton Ticino e purtroppo nonostante sia vicino come luogo è in un altro stato, quindi il tutto si complica. Anche l’estate volevo andare in Pakistan, però vedremo, ci terremo ancora un mese circa in standby e poi decideremo.

 

Se dovessi descriverti con 4 parole quali sarebbero?
Direi che sono determinato perchè credo nei miei obiettivi e mi piace portarli a termine nel bene e nel male, possiamo dire che sono curioso perchè mi piace vedere cose nuove e diverse. Direi che sono anche creativo perchè penso che sia alla base di tante cose perchè mi piace viaggiare e creare nuove idee. Come ultima direi, anche se non è una sola parola, mi piace stare con gli amici e condividere la mia passione con gli altri.

 

Sappiamo che hai una laurea in ingegneria gestionale, come sei riuscito a portare avanti gli studi e contemporaneamente anche la carriera da alpinista?

Per tanti anni non è stato facile combinare le due cose, diciamo che devi comunque sacrificare qualcosa, però sono sempre riuscito ad andare in montagna. Piano piano la passione per la montagna ha iniziato a prendere il sopravvento, perchè più vai, più ti vengono idee e motivazione, quindi quando ho avuto l’occasione ho preso al volo questa possibilità, però penso sia possibile per tutti.

 

In un futuro ti vedi a continuare questa carriera o magari ti vedi a tornare a lavorare in ufficio come ingegnere?
Ingegnere la vedo difficile, perché ormai sono 8 anni che non sono più in quell’ambito quindi ho perso abbastanza, quindi direi di no. Diciamo che adesso mi piace fare l’alpinista, ma magari tra 10 anni potrei anche valutare di lavoro in ufficio, ma di certo nel settore outdoor.

 

Attualmente sei presidente dei Ragni di Lecco, ti va di raccontarci la loro storia e i loro valori?
I ragni di Lecco sono stati fondati nel 1946 da 4 ragazzi che per andare a scalare, quando non c’erano molte risorse, si sono messi in un gruppo per acquistare l’attrezzatura. L’unirsi per riuscire a fare qualcosa che altrimenti non si sarebbe potuto fare, quindi lo spirito dei Ragni sin dall’inizio è stato quello: raggiungere insieme risultati che il singolo non riuscirebbe a raggiungere. Anche noi più giovani ora continuiamo a fare squadra e apprezzarla come modalità, quindi direi che è un po’ questa, insieme chiaramente alla passione per l’alpinismo, l’eredità che ci hanno lasciato.

Quanto pesa la responsabilità di portare avanti il nome dei Ragni, considerando i mostri sacri che siete voi adesso, ma anche considerando i vostri predecessori?
Se uno guardasse i nostri predecessori non se la sentirebbe nemmeno di uscire di casa. Il trucco è non pensarci e andare per la propria strada, dando il massimo. Non ci si può di certo paragonare alle salite che Cassin o Mauri e anche Bonatti hanno fatto, perchè erano alpinisti incredibili e di altri tempi. Il trucco è veramente non pensare al paragone, ma andare avanti a modo proprio.

 

Quale è il tuo rapporto con natura e montagna?
Per me è importantissimo quando si va in montagna lo stile con cui ci vai, infatti bisogna stare attenti a non lasciare il proprio segno e non modificare il luogo in cui vai. Bisogna guardare un po’ più in là e preservare ciò che abbiamo per le generazioni future. Io sposo questa filosofia di rispetto per l’ambiente cercando di fare spedizioni il più possibile leggere, dove devi cavartela con le tue forze evitando al massimo i mezzi. I motivi sono due: quello ambientalista e quello del contatto con la natura stessa.

Quindi ti stai riferendo con questo pensiero anche a progetti come quello in Groenlandia?

Per chi non lo sapesse Matteo e i suoi compagni hanno scalato la parete Nord-Est dello Skark Tooth compiendo l’intero viaggio (225km) in totale autonomia, di cui 200km in kayak. Inoltre non avete lasciato alcun tipo di materiale sulla parete.
Si esatto, quella è stata una delle mie spedizioni più belle perché è stata particolarmente completa, una avventura in tutti i sensi. È stata di certo quella che segue di più il pensiero di cui parlavo in precedenza. Ce la siamo cavata con le nostre forze, anche per la parte dei kayak che allora era una cosa nuova per tutti e tre. Non è sempre facile fare questo tipo di spedizioni, però quando si può a me piace proprio cercare posti nuovi, viaggiare sperimentare anche cose diverse.

“Per me è importantissimo quando si va in montagna lo stile con cui ci vai, infatti bisogna stare attenti a non lasciare il proprio segno e non modificare il luogo in cui vai. Bisogna guardare un po’ più in là e preservare ciò che abbiamo per le generazioni future.”

Hai viaggiato tantissimo nella tua carriera: c’è un posto che ti è rimasto veramente nel cuore? Ed uno nel quale invece non vorresti più tornare?
Il posto che più mi è rimasto nel cuore è di certo la Patagonia, che mi permette anche di fare il tipo di alpinismo che a me piace di più: tecnico e su pareti difficili, dove hai tantissimi fattori da tenere in considerazione e dove magari le chance di salita sono veramente ridotte al minimo. Un posto dove non torno più…è veramente difficile devo dirti. Mi è capitata una brutta esperienza alcuni anni fa allo Yosemite Park dove volevo provare a salire libera la Salathé, ma ci siamo trovati davanti 18 persone e ne sono successe di tutti i colori. Addirittura una delle ultime sere, abbiamo bivaccato sotto un altro gruppo di persone che essendo sopra di noi non potevano fare pipì, altrimenti ci sarebbe arrivata addosso. Allora l’hanno fatta tutti in una bottiglia da tre litri e mezzo, quelle bottiglione americane. Il giorno dopo noi ripartiamo, li raggiungiamo, fanno per ripartire anche loro e una ragazza getta questo gallone lungo una fessura, mentre un mio amico stava ancora scalando per salire, finendo per fargli una bellissima doccia. Non voglio proprio più trovarmi in una parete così per fare la coda dietro a così tante persone.

 

Sappiamo che sei molto legato alla scalata alla Torre Egger che hai scalata salendo dall’inviolata parete Ovest, ti va di raccontarcela e spiegarci come mai ti senti ancora così legato?
Mi sento legato perchè alla fine è stata la prima grande esperienza di spedizione e come tutte le volte quando ti ritrovi a fare qualcosa per la prima volta impari moltissimo e impari dai tuoi errori. Nello specifico, sulla Torre Egger, ero con Matteo Bernasconi ed eravamo entrambi senza grande esperienza e siamo andati veramente allo sbaraglio: io non avevo molto bene in mente dell’avvicinamento e anche il materiale era veramente calcolato male, avevamo attrezzatura in più e cibo neanche quello necessario. Siamo dovuti tornare per tre anni per riuscire a scalare questa via e per me è stata veramente una scuola dove ho imparato quello che è l’alpinismo in Patagonia.

 

Adesso dopo queste esperienze sei un tipo di persona che quando pianifica qualcosa valuta tutto molto attentamente o a volte ti approcci ad un progetto anche se non sei sicuro che sia veramente alla tua portata?
Comunque si fa tesoro di quello che si impara e certe salite ora, che anni fa mi sembravano utopistiche, ora le guardo con un’altra ottica. Di certo si cerca qualcosa di più complesso ogni volta, e guardando ora in prospettiva futura c’è la parete Est del Serro Torre, dove vogliamo salire riprovando questa linea in stile alpino.

Comunque nel 2019 con Luca Schiera e Matteo De Zaiacomo avete scalato la parete inviolata Ovest del Bhagirathi IV, ma la particolarità, è che l’avete aperta in 20 ore di arrampicata. Era prevista come tempistica o anche voi eravate sorpresi?
È una storia lunga, è una parete che in verità avevamo già provato nel 2015 e praticamente allora avevamo fatto diversi tentativi, trovando infine una linea nella quale in solo due giorni eravamo già a 200m della fine, poi però l’ultima parte della parete che è fatta di Scisto ci aveva respinto perchè era troppo marcia, quindi eravamo tornati a casa. È rimasta lì per anni, fino al 2019 dove ci sentivamo tutti molto meglio e cresciuti sia dal punto di vista fisico, che alpinistico. Il problema quale è stato? Il giorno prima di iniziare è venuta giù una scarica di roccia proprio lungo la nostra linea e lì ci ha veramente scombussolato tutta la spedizione e visto questo rischio elevato avevamo già deciso di rinunciare. Alla fine avevamo fatto i bagagli per tornare a casa, ma dopo alcune valutazioni invece abbiamo deciso di fare un tentativo il più veloce possibile. In conclusione il tentativo è andato bene, l’abbiamo fatta in giornata ed eravamo anche noi tessi sorpresi.

 

La frana vi ha cambiato alcuni passaggi della via? Ha reso le condizioni più difficili?
Siamo saliti proprio dalla stessa linea dalla quale era scesa la frana e abbiamo scoperto che in realtà era scesa da più in alto, quindi non dove abbiamo scalato, anche se lungo la linea era pieno di detriti e polvere. Quindi la scalata non è stata proprio piacevole, ma in qualche modo siamo saliti.

 

Ci è giunto un aneddoto interessante: è vero che in Groenlandia hai rischiato di essere la colazione di un orso bianco?
È vero! L’ultimo giorno di spedizione, dopo 32 giorni che non avevamo visto orsi bianchi, anche se la popolazione ci aveva avvisato nella loro presenza, quella notte invece di dormire in tenda come sempre, abbiamo trovato una bracca e ci siamo messi lì dentro lasciando il fucile ai kayak a 200m di distanza. Al mattino sento un urlo bestiale, mi sveglio di soprassalto e vedo un orso in mezzo alla stanza dove stavamo dormendo. Non capisco nulla, urlo anche io, esco dal sacco a pelo e mi lancio su un tavolo che c’era nella stanza iniziando a batterlo per fare più rumore possibile e spaventarlo. Così alla fine l’orso esce dalla baracca e noi ci barrichiamo dentro alla baracca, anche se non avevamo nulla. Per fortuna probabilmente l’orso non aveva fame, ma era solo curioso e quando si è allontanato un poco, siamo corsi ai kayak, abbiamo sparato alcuni petardi per spaventarlo e dopo ore alla fine siamo riusciti a ripartire.

 

Se dovessi dare un messaggio alla prossima generazione cosa diresti?
Direi di avere rispetto per le persone e anche per il mondo in cui viviamo, perchè è unico e non ci sono alternative. Lo direi semplicemente perchè credo che una volta che vivi nel rispetto degli altri, in modo positivo verso il mondo, si riesce a vivere meglio.

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