Image Alt

Intervista con Michele Graglia: oltre i limiti, verso la libertà

By Denis Piccolo

Photo Storytellerlab

 

Powered by La Sportiva

Michele Graglia, classe 1984, nasce a Sanremo ma la sua incredibile storia lo porta prima in Stati Uniti, sulle più importanti passerelle dell’alta moda, e poi attraverso la Death Valley, il Deserto di Atacama e quello del Sahara, ma di corsa questa volta. Infatti a Michele il mondo patinato sta stretto, la natura lo chiama verso un’ideale di libertà che fino a pochi anni prima non conosceva e che prende la forma dell’ultra running.

Raccontaci un po’ del tuo percorso per arrivare ad essere un ultra runner.

Direi che il mio percorso è stato abbastanza particolare! Il tutto è iniziato nel 2007, avevo 24 anni e lavoravo nell’azienda di famiglia di esportazione fiori. Mi recavo spesso all’estero, specialmente in Stati Uniti e per questo, nel settembre 2007, decisi di trasferirmi a Miami per un breve periodo per imparare meglio la lingua ed espandere le vendite. La prima settimana a South Beach mi fermò una donna, che poi scoprì lavorare nella moda, chiedendomi se avessi mai fatto il modello. Da quel momento la mia vita prese una direzione che non mi sarei mai aspettato! In breve tempo mi ritrovai catapultato in quel mondo glamour e patinato che avevo visto solo nei film. 

Ho vissuto degli anni da re ma in realtà non era altro che una bolla di perfezione che mi ha disconnesso dal mondo esterno. Nel 2009 mi trasferii a New York per lavorare con le aziende più grandi del settore, ma dopo alcuni anni arrivò una fase di rottura: non trovavo più il significato di quello che era diventata la mia vita. Avevo tutto quello che volevo, eppure il successo materiale non equivaleva al successo nella vita. Mi sentivo in gabbia. Avevo 27 anni e stavo cercando una via di fuga.

Nel 2010, ad Union Square, vagavo in una libreria quando vidi un libro che mi attrasse subito. In copertina aveva un ultra marathon man, ne lessi poche pagine e mi catturò immediatamente. Mi si accese una lampadina. Poco dopo comprai un paio di scarpe ed iniziai a correre a Central Park. Mi affascinava il concetto di ultra, di andare oltre la corsa, ma non sapevo bene come allenarmi. Iniziai a fare molta ricerca e mi imbattei in “Ride in the Wind” scritto da Anton Krupicka. Cominciai a seguire questo tipo che correva senza maglia, con i capelli al vento e una barba incolta, che mi trascinava letteralmente fuori dal mio mondo, verso l’immagine di una libertà che non conoscevo. Pochi mesi dopo mi buttai nella mia prima esperienza, una 160km che finì in modo tragico perché al 130esimo km mi dovettero portare via in ambulanza! Ma ormai ero completamente rapito dal concetto di ultra running, non mi sono abbattuto e sono ripartito. Vinsi la mia seconda gara e poi anche la terza. In quel momento ho iniziato a pensare che ci fosse qualcosa in me. Cosi è nata questa enorme passione, spinta da una grande ricerca di libertà.

Correre ti ha aiutato a scoprire delle parti di te stesso che non sapevi esistessero?

Quello che mi ha insegnato la corsa è stato di razionalizzare determinati concetti ed affrontare le mie paure. Si tratta di un pensiero che trascende lo sport e che mi ha aiutato in qualsiasi ambito della vita, oltre a farmi crescere come persona. L’aspetto fondamentale per me è stato capire che la paura effettivamente non esiste anzi è un pensiero che ci blocca da quello che vogliamo fare. Bisogna ovviamente ascoltarla, soprattutto in montagna, in modo da comportasi razionalmente e capire da dove quella stessa paura ha avuto origine. Mettersi in discussione è fondamentale per superarla e trovare la propria forza interiore. Affrontare ciò che ci spaventa aiuta a crescere, magari fallendo nel mentre, ma sempre dandoci degli insegnamenti fondamentali.

 

Com’è una tua giornata tipo?

Sono istruttore in un centro di Malibu che si potrebbe definire “elitario”. Insegno yoga, meditazione e varie attività fisiche, ma soprattutto condivido la mia interpretazione della vita con importanti attori di Hollywood, CEO di grandi aziende e personaggi di fama internazionale che hanno grandi capitali materiali ma alla fine sono persone molto sbilanciate. È bello aiutarli a trovare un equilibro. Una mia giornata tipo inizia alle 5 di mattina, mi alleno solitamente per 20-25 km, poi insegno ed il pomeriggio corro per un’altra dozzina di km. Nei weekend sono più libero ed il mio allenamento cambia a seconda delle gare che ho in programma. Corro spesso anche in montagna, ma in quel caso sto meno attento ai km ma valuto più i tempi. L’idea è quella di abituarsi a stare fuori, vivere pienamente il momento, sentire la fatica ed andare oltre. 

Faccio quello che mi piace ed è molto gratificante però il mio sogno sarebbe quello di poter vivere pienamente della mia passione.

Quanto contano allenamento, yoga ed il tuo stile di vita in percentuale per ottenere le tue performance?

C’è un detto simpatico nell’ambiente che sostiene che il 90% dell’ultra running è mentale ed il restante 10% è nella tua testa. Chiaramente la preparazione fisica è fondamentale però la chiave per andare oltre è sempre quella di trovare la giusta motivazione per superare i momenti di crisi e le difficoltà. Lo yoga è stato qualcosa che ho scoperto grazie alla corsa, inizialmente facendo stretching e che mi ha aiutato ad avvicinarmi alla meditazione. Praticando ho capito quanto fosse propedeutica e simile come pratica all’ultra running. Quando mediti sei fermo, mentre correndo chiaramente ti muovi ma in entrambe le discipline arrivi ad un certo punto dove trascendi dal fisico e ti distacchi da quello che è il dolore e la paura e ciò ti permette di vivere pienamente nel momento.

 

Cosa rappresentano per te solitudine, distanza e fatica?

La solitudine, così come la meditazione, ti aiuta a disconnetterti da tutto il resto. Molte persone vivono la solitudine come l’essere soli ed abbandonati, quando invece è necessaria a portar via tutte le distrazioni, in modo da ascoltare i tuoi pensieri.

La distanza è la parte più bella dell’ultra running. Puoi essere la persona più allenata della terra ma arriverai sempre ad un punto in cui il tuo corpo cede, quello è in momento in cui devi andare oltre, una sorta viaggio spirituale che ti toglie tutto ciò che avevi costruito nella società e ti permette di diventare chi sei veramente.

La fatica infine, così come il dolore, è necessaria per crescere. Ogni evoluzione esiste sempre e solo dopo un momento di crisi. È ciò che aiuta a farti diventare la versione migliore di te stesso. Il dolore è inevitabile in molti aspetti della vita e specialmente nell’ultra running puoi solo accettarlo ed affrontarlo.

 

Sei sposato. Tua moglie come ha vissuto il tuo cambiamento?

Ho conosciuto mia moglie nel 2010, all’inizio del mio percorso da runner quando ero una persona completamente diversa. Posso però dire che è grazie a lei se ho trovato quel libro che mi ha cambiato la vita! Avevamo infatti appuntamento ma lei era in ritardo e quindi mi sono infilato nella famosa libreria di cui parlavo prima.  Abbiamo avuto sempre un bellissimo rapporto ed ancora oggi sono molto grato che lei sia rimasta con me durante il periodo più duro della mia vita.

“La distanza è la parte più bella dell’ultra running. Puoi essere la persona più allenata della terra ma arriverai sempre ad un punto in cui il tuo corpo cede, quello è in momento in cui devi andare oltre…”

Tornando al presente, quali sono i tuoi obiettivi prossimi futuri?

Per me la cosa più importante è sempre stata l’avventura. Quella di spingersi oltre in territori inesplorati. Sono sempre stato molto affascinato dai deserti e sin dall’inizio ho avuto il sogno di attraversare questi grandi spazi poco esplorati. Finita la Badwater, una ultra maratona di 135 miglia che parte dal Bacino di Badwater nella Death Valley, ho rincorso questo mio sogno. Ho messo insieme un team ed ho attraversato il Deserto di Atacama in 8 giorni e mezzo. Da quel momento ha preso il via un enorme progetto che in 4 anni consecutivi mi avrebbe portato ad attraversare i 4 più gradi deserti del mondo. Atacama, Gobi, in Mongolia, Sahara per poi finire con l’Antartide. Poi rimane ancora un mondo intero! 

Ma questo è il bello dell’avventura, c’è sempre qualcosa da esplorare, da vivere, da vedere che ci insegna a crescere ed accrescere la nostra esperienza in quanto persone. 

Quello che mi ha colpito più di tutto è stata la possibilità di potersi relazionare con culture diverse, vivere il mondo e vederlo per quello che è, senza maschere e preconcetti e capire che, alla fine, siamo tutti parte della stessa cosa.

 

Qual è la tua top 5 riguardo a esperienze e traguardi importanti?

Sicuramente l’Atacama che non è stata una gara ma una vera avventura condivisa con amici ed in un modo così intenso che è difficile da esprimere a parole. Poi la Badwater, un’esperienza davvero unica che ha avuto un gradissimo significato per me dato che da sempre è considerata LA ultra per eccellenza. Altre avventure altrettanto belle sono state la Milano Sanremo, che per me ha sempre avuto un valore affettivo e l’Angeles Crest 100, un’altra gara meravigliosa di cui ho un ricordo spettacolare. Poi c’e la Cro-Magnon che parte da Limone e arriva a Cap d’Ail vicino Menton, una competizione che per me ha sempre avuto un richiamo emotivo particolare in quanto Limone, in Piemonte, è dove ho passato tutti gli inverni a sciare da bambino.

 

Dove ti vedi fra 5 anni?

Credo quest’anno correrò la mia ultima gara. Sto un po’ perdendo l’emozione che mi dava competere perché ho scoperto di poter vivere queste stesse sensazioni senza dover dimostrare nulla a nessuno, senza bisogno di un cronometro, un risultato, senza aspettative e pretese e questo rende l’esperienza più rilassata ma più intensa. Correre per l’avventura e basta.

Share this Feature