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Kristin Harila, un’utopista realista

“Ogni attivista deve essere un sognatore, un utopista, un massimalista… Di fronte a violenze, attacchi, malintesi e stigmatizzazione, dobbiamo avere la forza di rialzarci ancora e ancora. Dobbiamo sognare di poter migliorare il mondo se vogliamo essere in grado di continuare a lottare.” – Inna Shevchenko, Femen leader 

Perché parlando delle avventure di Kristin Harila, molti sentono l’esigenza di specificare che ha gli occhi azzurri, i dread biondi e un sorriso meraviglioso, mentre di Denis Urubko non gliene frega niente a nessuno di come è fatto ma solo di quello che fa? Perché si precisa che è un’alpinista donna? Perché il mondo della montagna è ancora estremamente machista e misogino. Eppure di donne che vanno in montagna e ottengono dei risultati incredibili ce ne sono sempre di più. Courtney Dauwalter, Laura Rogora, Silvia Vidal, tanto per dirne tre. Tuttavia, nella maggior parte delle divisioni di Ricerca e Sviluppo dei brand outdoor ci sono solo uomini, convinti che tutte le donne impazziscano per il fucsia. Così finisce che se ti metti in testa di battere il record del mondo di ascesa in velocità di tutti i quattordici ottomila della Terra, ma sei una donna, trovare una tuta d’alta quota della tua misura diventa un casino, perché esistono solo taglie da uomo. E quindi te la devi fare realizzare su misura, e poi sbatterti parecchio per trovare uno sponsor. Esattamente quello che è successo a Kristin Harila, da poco entrata nel team SCARPA. 

Raccontaci chi sei. Parole tabù: montagna e alpinismo.

Sono Kristin, ho trentasei anni, vengo dal nord della Norvegia. Quest’anno ho scalato dodici ottomila. Quando ero piccola giocavo a calcio e a pallavolo e ho sempre fatto molta attività fisica. Ho gareggiato come professionista nello sci di fondo fino al 2009, quando ho scoperto il mondo della corsa in montagna e dell’ultrarunning, di cui mi sono innamorata. Nel 2015 ho vinto, attraverso il mio lavoro, un viaggio in Kilimangiaro, e ho deciso di scalare la montagna più alta dell’Africa. Nel 2019 mi sono licenziata (la scelta migliore che ho fatto nella mia vita) e ho deciso di prendere un anno sabbatico per fare alpinismo. Sono volata in Nepal, dove ho scalato il Putha Chuli (7246m). Poi sono salita sull’Aconcagua (6962m), in Argentina, e ho fatto alcune spedizioni di scialpinismo. Poi è arrivata la pandemia. Ne ho approfittato per allenarmi, e nel 2021, appena è stato possibile, ho scalato l’Everest e poi il Lhotse in sole 12 ore, stabilendo un nuovo record femminile. Ho anche iniziato a programmare il mio progetto, cioè essere la prima persona al mondo a scalare le quattordici vette del mondo sopra gli ottomila metri in meno di sei mesi, e per riuscirci ho venduto tutto quello che avevo. Inoltre, a causa delle difficoltà che ho incontrato, ho avuto modo di toccare con mano quanto l’industry dell’outdoor sia ancora molto lontana dalla parità di genere.

Non hai una casa e non hai un fidanzato. Cosa stai imparando dal tuo stile di vita alternativo e dagli sport estremi a contatto con la natura? 

In realtà quando ho iniziato questo progetto avevo un ragazzo ma è finita perché ero sempre in montagna. Non è facile avere una relazione quando viaggi sempre per fare spedizioni. Amo il mio stile di vita ed essere a contatto con le montagne, ma di sicuro è tosta, ci sono dei giorni molto duri. Trovo però più difficile la vita quando scendo dalle montagne, sono a casa e devo trovare degli sponsor per i miei progetti. 

L’alpinismo è roba solo per egoisti?

No, non credo. Per quanto mi riguarda, sono un’alpinista perché amo scalare le montagne ma anche perché voglio cambiare qualcosa in questo mondo. Durante quest’ultimo anno ho lavorato con molti brand outdoor e ho realizzato quanto siamo lontani dall’avere una parità di genere. Pensiamo di avere raggiunto un buon livello di uguaglianza e di rispettare i diritti delle donne, mentre ne siamo lontanissimi, persino qui in Norvegia. Quando devo cercare uno sponsor è molto difficile, la maggior parte dei marchi di outdoor supportano solo atleti uomini e producono abbigliamento per alpinismo solo per gli uomini. Per questa ragione utilizzo il mio progetto degli ottomila per avere l’opportunità di sedermi al tavolo con i brand e chiedere come mai questo mondo sia ancora così sessista. Ci sono sempre più donne che scalano e la community sta andando nella giusta direzione, ma credo ci sia ancora molta strada da fare, in particolare con le aziende. Perché, con un progetto di pari portata, un uomo conta più di una donna? L’alpinismo non riguarda solo me, ma qualcosa di più importante.

L’alpinismo è evitare il dolore o ricercare il dolore? È ricerca della sofferenza o del bello?

Per me significa vivere la vita a stretto contatto con la natura ma anche riuscire a raggiungere la vetta. Per questa ragione è fondamentale essere fortemente motivati sotto  diversi punti di vista. Se decidi di intraprendere determinati progetti devi essere consapevole che comportano una notevole dose di sofferenza. Devi sapere che ti sentirai a disagio per un lungo periodo di tempo. 

Stavi per diventare la prima persona al mondo a scalare le quattordici vette della terra sopra gli ottomila metri in meno di sei mesi, battendo il record di Nirmal Purja che, nel 2019, con il suo Project Possible 14×7 (14 cime in 7 mesi) era stato l’alpinista più veloce. Avevi tre giorni d’anticipo sul precedente primato, cos’è andato storto?

Dal Manaslu, l’ultimo dei dodici ottomila che ho scalato, avevamo a disposizione altre cinque settimane per battere il record e abbiamo iniziato le pratiche per ottenere i permessi per scalare le ultime due montagne, che però ci sono stati negati dallo stato cinese, costringendomi a rinunciare al mio obiettivo, nonostante gli sforzi che ho fatto anche con il governo norvegese e la comunità di arrampicatori. Non ho però intenzione di rinunciare! Riproverò il prossimo anno, partendo dai due ottomila che mi mancano, il Cho Oyu e il Shisha Pangma, e salendo poi di nuovo sugli altri dodici, cercando di farcela in cinque mesi. Credo sia fattibile, di sicuro ci servono i permessi e dobbiamo essere fortunati con il meteo. 

A livello logistico come hai affrontato le ascese?

Tutta la parte di pianificazione, dalla ricerca dello sponsor fino alla richiesta per i permessi, è stata davvero complessa. Credo però che il prossimo anno andrà meglio, conosco le procedure e le montagne e credo riuscirò a muovermi con più facilità. 

Con che stile hai affrontato gli ottomila?

Durante questo progetto ho scalato con l’aiuto di Sherpa e di ossigeno, ma è stato diverso per ogni montagna, in alcune c’erano corde fisse, in altre no. Il prossimo anno comunque ho intenzione di non utilizzare l’ossigeno. In generale credo che ognuno possa fare alpinismo come crede, l’importante è essere onesti sui mezzi che si utilizzano. 

Oltre l’interesse per le montagne, in proporzione quanto hanno contato raggiungere un record e il riconoscimento successivo?

Amo scalare le montagne, ma è fondamentale che ci siano diverse ragioni che ti spingano a intraprendere un progetto come quello degli ottomila, il solo riconoscimento non basta. Il record è importante, perché ti aiuta a trovare degli sponsor che ti sostengano. 

Hai scalato l’Everest e il Lhotse in 8 ore e mezzo, entrambi nella stessa giornata. L’evoluzione dell’alpinismo è sempre più̀ all’insegna di leggerezza e velocità, ma che gusto c’è nello scalare una montagna in velocità? Non esiste una contraddizione rispetto al nuovo sentimento di ricerca di maggiore armonia con i ritmi della natura? C’è il rischio che si moltiplichino i fattori di rischio? 

Per la sicurezza è positivo essere veloci, più a lungo stai sulla montagna più sei esposto a fattori di rischio. Di certo un progetto come quello degli ottomila è speciale, perché si focalizza sul tempo, c’è molta pressione e devi essere veloce. Sento il bisogno di vivere qualche avventura dove la performance non abbia tutta questa importanza, credo che dopo il progetto degli ottomila mi prenderò il tempo per farlo. 

Durante le tue spedizioni alpinistiche come hai visto cambiare le montagne a causa del cambiamento climatico? 

Quest’estate in Pakistan faceva davvero molto caldo, e abbiamo notato dei cambiamenti, soprattutto nei ghiacciai, dove c’erano molti crepacci e valanghe. Anche i monsoni in Nepal sono arrivati prima del solito, un fatto assolutamente anormale. 

Pensi che la montagna sia per tutti o solo per pochi?

Ritengo che le persone debbano essere adeguatamente preparate, da tutti i punti di vista. Devono essere allenate, avere esperienza e fare un passo alla volta. In generale però credo sia positivo che si ricerchi una vita all’aria aperta, si vada in montagna e si approfondisca la passione per l’outdoor. 

Qual è il ruolo degli alpinisti nel sensibilizzare l’opinione pubblica in merito al disastro ecologico che incombe? 

Credo che ognuno possa fare qualcosa di positivo per cambiare il sistema e avere un ruolo attivo nel proteggere l’ambiente. Per ora cerco di fare quello che posso per ridurre i miei consumi e le mie emissioni ma dopo il progetto degli ottomila vorrei essere più attiva su questo tema e stimolare le persone a riflettere attraverso i fenomeni che vedo durante la mia attività di alpinista. 

Credi sia possibile scalare un ottomila in modo sostenibile? Hai preso molti aerei per il tuo progetto?

Sì credo sia fattibile, mi sembra ci sia maggiore sensibilità, per esempio è obbligatorio riportare a valle le bombole di ossigeno e ci sono multe salate per chi non lo fa, di sicuro però si può fare di meglio, essere più attenti, creare meno spazzatura e portare sempre a valle quella che troviamo. Il mondo della comunicazione ha una notevole responsabilità, è importante che ci sia un’adeguata informazione. Cerco di prendere il minor numero di voli possibile ma alcuni sono inevitabili se vuoi fare determinati progetti. 

Definiresti l’alpinismo un privilegio? 

Sì, penso di essere molto fortunata a poter vivere questa vita. Molte persone non hanno la possibilità di stare in giro per tutto questo tempo. 

Hai paura di morire in montagna?

No. Ci sono state delle situazioni nelle quali ho pensato di esserci andata molto vicina, ma credo che la cosa più importante nella vita sia fare quello che ci piace. Non penso alla morte. 

Salire un ottomila se sei donna o uomo è uguale?

Credo che le donne siano altrettanto forti degli uomini e quindi non si ci sia differenza. 

Pensi di ispirare le persone?

Spero di sì, mi piace l’idea di motivare le donne a scalare le montagne e fare ciò che vogliono davvero. Ricevo molti feedback positivi dalle donne, ma anche dagli uomini, e devo dire che è una bella soddisfazione.

Come immagini l’alpinismo del futuro?

Spero che ci saranno dei passi in avanti per quanto riguarda la parità di genere, mi sembra che ci stiamo muovendo nella giusta direzione.

Se guardi fuori dalla finestra cosa vedi?

Qui a Oslo è già buio! Ieri però ha nevicato ed è stato molto bello.

Chi sarai in una prossima ipotetica vita?

Non credo ci sia un’altra vita, la vita è adesso.