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La storia di Mira Rai, la stoica

Capitolo 1 – La rivoluzione dell’inutile

Sentirsi inutili è una forma di violenza. Non meno dura di altre. È un’azione distruttiva contro sé stessi e un atto irrispettoso verso gli altri. Una sottile forma di offesa alla vita: condizione malsana che rende cieco chi ne cade vittima.

L’inutilità come percezione di sé è un inno spaventoso a presunzione ed egocentrismo: malattie dell’uomo fin dai tempi più antichi. 

Sospettare che il mio lavoro sia inutile significa considerare tale, per diretta conseguenza, ogni singola storia che passa per la mia penna. Tuttavia, il vero peccato non è sentire vano il proprio fare, la vera imputata è l’insicurezza: altro pericoloso male. Vizio che si traveste da giustificazione perenne: “Poverina, si comporta così perché è insicura.” Un’infermità che viene curata, erroneamente, con compassione e condiscendenza. Quando invece servirebbe un calcio nel culo. Imbattersi quotidianamente e ripetutamente in un titolo di giornale, un post, un’intervista o uno scatto che sussurrano con malizia l’assordante cantilena: “Hai visto che fighi loro, cosa sai fare tu? Che ci stai a fare qui?” rischia di nuocere ai caratteri meno forti.

E comunque in fondo, senza un fotografo, senza un giornalista, un documentarista o uno scrittore là dove le cose della vita accadono, molte storie si smarrirebbero nel saturo marasma di aneddoti più o meno rilevanti che intasano ogni giorno i canali della comunicazione.

In ogni caso, aspettando che i giudici dell’inutilità emettano sentenza, fin tanto che questo lavoro mi aprirà le porte verso realtà come quella di Mira Rai, non potrò che sentirmi grata. E prestarmi con umiltà al ruolo di “moderno cantastorie”, incassando tutti i calci nel culo che merito.

Capitolo 2 – La disponibilità a perdere

Sicuramente vi è già capitato di perdere il senso dell’orientamento in montagna, di avanzare storditi alla spasmodica ricerca di una direzione. Trascinarsi sgomenti in una nebbia torbida, senza forza fisica né morale a sostegno, inebetiti dal silenzio sordo che assopisce la ragione e minaccia la naturale propensione alla vita. Non è divertente smarrirsi, seppure per poco. In montagna mi è capitato di spaventarmi, ma la vera angoscia l’ho sentita quando una nebbia fitta, in un pomeriggio qualsiasi, ha invaso il mio studio lasciandomi inerme. Braccia rigide come giacconi di alpinisti congelati e un tumulto nel petto. Gli attacchi di panico sono molto più diffusi di quanto si possa pensare.

Incapaci di organizzare una forma di difesa da noi stessi, fantastichiamo su un possibile piano d’attacco per affrontare le grandi cose della vita. Anestetizzati dall’agiatezza occidentale procediamo narcotizzati verso il pericoloso letargo del non detto, del non fatto. Rifugiati in una comoda accidia, ma condannati a un’inerzia permanente. Nella vita è importante avere uno schema di attacco. Uno schema basato sulla disponibilità a perdere. Sulla capacità di sopravvivere alla possibile sconfitta.

E mentre noi abbiamo smesso di correre per paura di cadere, Mira Rai ha vinto competizioni di cui nemmeno conosceva il percorso. L’umile ragazza nepalese ha mostrato, con la sua smisurata disponibilità a perdere, le mancanze di un sistema, il nostro, del tutto incapace di affrontare uno dei più urgenti problemi moderni: l’incapacità di gestire la sofferenza o, anche solo, l’ipotesi della stessa. 

Capitolo 3 – Mira sognatrice

Mira è, più di ogni altra cosa, una giovane donna nepalese. Classe 1988 e un bagaglio di esperienze che normalmente non si collezionano in una sola vita. Da bambina nepalese raccoglitrice di riso, a soldato maoista, da campionessa di trail running, a simbolo dell’ottimismo internazionale.

Nata in un paradiso terrestre, non poteva che attenderla un futuro radioso. Fin dalla nascita, alti picchi innevati hanno incorniciato le verdi vallate dell’infanzia di Mira. Distese smisurate interrotte solo da capanne di qualche sparuto villaggio e da specchi d’acqua scintillanti al vento. Mi chiedo come, immersa in uno spazio tanto vasto, le possa essere venuto in mente di attraversarlo di corsa.

Un luogo unico, ma anche un ambiente ostile per vivere. Si combatte ancora contro credenze e superstizioni che limitano la libertà e, soprattutto, ci si confronta ogni giorno con la ruralità di un territorio ancora molto povero. Diciamo che in una simile realtà, farsi la corsetta quotidiana per mantenere la forma, non è consuetudine. Come detto sopra, Mira, oltre a essere una runner, è prima di tutto una donna e probabilmente questa, in Nepal, è stata la sua sfida più dura. In molti villaggi le possibilità di emancipazione sono ancora scarse per non dire nulle. Trovare una via di fuga, per quanto lontano e veloce tu possa correre, è tuttora molto complesso.

È cresciuta in Nepal, da nepalese. Unica donna tra cinque fratelli, una famiglia modesta come nido e donne decise come esempio di forza. Educata fin da bambina a contribuire al sostentamento della famiglia, ha conosciuto presto fatica e sacrificio, spostando grandi carichi di riso da un villaggio all’altro. L’istruzione era un lusso e la scuola era accessibile solo dopo aver adempiuto a questi obblighi. Avere un sogno, in una realtà simile, è seguire una chimera. Solo un degno visionario riuscirebbe a sognare in una simile realtà. La tempra di Mira è toccante.

 

Capitolo 4 – Mira soldato

Mira ha 14 anni quando sceglie di abbracciare le armi. L’esercito maoista le garantisce due pasti al giorno e un assegno mensile. Oltre ai soldi, che spedisce puntualmente a casa, una bocca in meno da sfamare permetteva alla famiglia di tirare il fiato. E Mira lo sapeva bene, si sentiva un fardello per i propri cari.

Addestrata per due anni come soldato, il conflitto s’interrompe prima che combattere si rendesse necessario. Nel tempo trascorso nella severa disciplina militare scopre il suo talento: poteva correre più veloce e più a lungo di chiunque altro. Nel disordinato insieme di contraddizioni che non comprendo e che non mi spetta giudicare, una cosa mi colpisce positivamente: nell’esercito nepalese, a ragazzi e ragazze è destinato lo stesso trattamento. Sono considerati uguali o, come svela più poeticamente Mira in un’intervista: “uomini e donne come cielo e terra: inscindibili.” Non so se leggervi romanticismo o esasperato comunismo ma la frase mi piace.
Dopo aver vinto una gara organizzata all’interno del campo, Mira inizia a correre per due ore al giorno, ogni giorno.

Capitolo 5 – La svolta

“Wow! This is for me.” – “I could run forever.” – “Just running, running, running.”
Frasi testimonianza della svolta, parole di Mira.

Nel 2006 viene firmato un accordo di pace tra i combattenti delle fazioni opposte e un numero impressionante di bambini, oltre 4000, vengono espulsi poiché minorenni. Mira, non ancora diciottenne, si traferisce a Katmandu in cerca di lavoro. Si trova presto ad attraversare uno dei momenti più bui della sua vita: sola, senza lavoro e senza soldi. Ancora non lo sapeva, ma correndo ogni giorno por ore ed ore, stava ponendo le basi per la sua rivalsa come persona. Come nepalese. Come donna. 

Non passa molto tempo prima di rendersi conto che i pochi spiccioli guadagnati a Katmandu non sono sufficienti. Decide così di richiedere un visto per spostarsi in Malesia e lavorare in una grande fabbrica di abbigliamento, ma qualche settimana prima del suo trasferimento, la sua vita cambia radicalmente. L’Himalayan Outdoor Festival, una dura competizione che percorreva pendii ripidi su terreni sconnessi per 50km, la stava aspettando.

Ai piedi scarpe sciupate, squarciate qua e là, pantaloni strappati e in viso l’espressione ingenua e innocente di chi non ha pienamente compreso il suo essere nel tempo e nello spazio. Porca miseria però, Mira vince. Non solo finisce la gara nonostante il completo digiuno durante il percorso, ma taglia il traguardo per prima, sotto la grandine. 

Cinquanta chilometri le cambiano definitivamente la vita. Mentre lei continua a ignorare la reale dimensione del proprio gesto. Da quel momento la piccola grande donna nepalese colleziona una serie di successi che la rendono, in poco tempo, un fenomeno globale.

Capitolo 6 – Il curriculum e gli anni dell’esordio

2014 Himalayan Outdoor Festival – Nepal – Ultra trail 50km – Oro
2014 Mustang Trail Race – Nepal – Ultra trail – Oro
2014 Sellaronda Trail Race – Italia – Ultra trail 57km – Oro – 06:36:30
2014 Trail Degli Eroi – Italia – Ultra trail 83km – Oro – 09:16:00
2014 MSIG HK – Hong Kong – Ultra trail 50km – Oro – 5:30:32


Capitolo 7 – Il risultato di una vita

Nel 2015, tornata da Hong Kong, il brand Salomon, che aveva seguito da vicino la sua carriera, decide di sponsorizzarla inserendola ufficialmente nella propria squadra. Poi d’un tratto, nel 2016, ogni cosa su quella striscia di terra nepalese trema. Il terremoto tocca da vicino anche Mira che in pochi minuti perde amici e familiari, ma anche in questa situazione mostra tutto il suo stoicismo. La propensione a resistere. Sempre.

A tre mesi dal terremoto torna in Italia per correre gli 80km della Mont-Blanc Marathon. Vince di nuovo. Ancora in lutto per le vittime del sisma non ha il suo consueto sorriso a spronarla, ma il bisogno di tornare in patria con notizie positive la spinge, ancora una volta, a trionfare.

2015 Mont-Blanc – Skyrunning World Series – Mont-Blanc – Ultra trail 80km – Oro – Record

Capitolo 8 – Il super potere delle donne d’Oriente

L’immagine di Mira che taglia il traguardo, sventolando la bandiera rossa del suo popolo al ritmo di applausi e congratulazioni, ha letteralmente fatto il giro del mondo, diventando l’immagine di copertina di tutti i quotidiani. Dalle scorrazzate in logore infradito tra i suoi villaggi, a fonte d’ispirazione a livello planetario. Mi domando, a questo punto, quanto possibile potenziale celino le donne d’Oriente. Svantaggiate sotto troppi punti di vista, ma con il super potere di quella disponibilità a perdere a noi sconosciuta.

E comunque, tornando all’origine del discorso, cosa ha fatto in fin dei conti Mira? Ha soltanto messo un piede davanti all’altro, no? Crediamo sia inutile?


Capitolo finale – Mira la stoica

Ho sempre trovato, nell’idea di resistere, qualcosa di eroico. Esiste una sottile differenza tra “resistere” e “combattere”. C’è del romanticismo nel concetto di resistenza. Gli stoici sono coloro che vivono secondo virtù. Quelli che credono sia possibile vivere una buona vita non cercando ricchezza o potere, ma facendo le cose giuste. Auguro a Mira di percorrere questa via, anche se sembra sulla strada giusta già da parecchi anni.