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Lise Billon, the adventurous

Lise Billon si trova a Valence, nel sud della Francia. È appena rientrata dall’ultimo viaggio in Patagonia, il quinto. Capelli scompigliati e occhi assetati di avventura. Adventurous è proprio l’aggettivo a cui vorrebbe essere associata Lise. Adventurous e dreamy. Malgrado l’animo dreamy, le cose che vuole, Lise se le prende. Non sta lì a sognare e basta. 

La montagna è sempre stata un ‘affare di famiglia’: il padre è guida alpina e malgrado non fosse nata in montagna l’ha sempre frequentata in famiglia. Infatti, quando in adolescenza volle ribellarsi ai genitori, rifiutò l’arrampicata mettendosi a giocare a pallamano. Una storia simpatica. Chissà, non fosse per l’attrazione verso l’alpinismo, magari al posto del Piolet D’Or in mano avrebbe qualche titolo ai mondiali Handball. Fin da piccola vicina all’ambiente montano, ha sempre sognato spedizioni, tempeste e portaledge sui muri della Patagonia.

Oggi sali quelle stesse pareti che da piccola sognavi. Com’è andata questa spedizione?

È la quinta volta che torno da una spedizione in Patagonia. Le prime volte si è sempre trattato di esplorare zone molto remote, mentre El Chaltén ha tutti i servizi a valle… magari 20anni fa si sarebbe potuto parlare di spedizione ma ora vai lì e arrampichi. Negli ultimi anni ho iniziato a volermi godere i posti dove non c’è straordinario o inesplorato. Abbiamo avuto sfortuna con il meteo, ma l’incertezza è stata in un certo senso motivo di divertimento. Abbiamo scalato vie conosciute e non estreme, niente di pazzo ma estremamente bello.

È forse per questo che sui vostri social tu e Federica Mingolla avete recentemente usato #notherefortheglory?

C’è molta tragedia in El Chaltén. Persone che vanno e non fanno ritorno. A volte per incidenti imprevedibili, molte altre per errori e mancanza di esperienza. Il fatto che sia diventata una meta gettonata ha fatto dimenticare che si tratta pur sempre di alta montagna. In più c’è il tema, come sempre, del perché. Ognuno di noi pratica l’alpinismo per ragioni diverse. C’è chi lo fa per il riconoscimento, chi per il senso di libertà, chi per piacere e chi per divertimento. È facile perdere il proprio focus per la gloria e il successo,  oggi travolgente come non mai, soprattutto per noi donne. È utile ricordare a sé stessi il perché siamo qui. Siamo qui, almeno io sono qui… per giocare. Voglio divertirmi.

C’è stato un momento mentre scalavamo una via in cui ci siamo rese conto che non ci stavamo divertendo, il rischio era considerevole e mi sono detta:“Cmon! Non siamo qui per la gloria e non ci stiamo divertendo…scendiamo.” Raggiungere una vetta e glorificarsi senza divertirsi a me non interessa al momento. Ho grandi ambizioni e progetti ma non per forza questi sono mirati al successo ed alla gloria.

È bello vedere sui tuoi canali social la naturalezza con cui parli del ‘fallimento’ di un progetto o di una via.

Voglio che passi il messaggio che non c’è bisogno di giustificarsi o rimproverarsi. A volte le condizioni non ci permettono di portare a termine una salita. A volte siamo stanchi, altre non ci divertiamo. È totalmente normale scendere e dire:“Questa volta non è andata, sarà per la prossima.”

Hai spesso affrontato anche la tematica della difficoltà nel trovare partner.

Sì! E parlo sia per uomini che donne. Hai bisogno di qualcuno con cui (specialmente inEl Chaltén) tu riesca ad andare d’accordo nella vita a valle. Un buon amico a cui vuoi bene e con cui condividi motivazioni ed ambizioni. Trovare qualcuno che soddisfi tutti i punti è difficile. Per le poche donne del mondo alpinistico (escludendo la realtà degli 8000, che è un’altra cosa) la sfida è ancora più difficile. Negli anni ho capito che per una questione sociale, con le donne è tutto più semplice. Con un uomo devi essere sicura che il rapporto sia chiaro, che la fidanzata non sia gelosa. Preferisco scalare con altre donne. È facile, si parla di personalità e di feeling. Con Fede (Federica Mingolla, ndr), ambizioni e motivazione sono le stesse. Ci capiamo alla grande, anche sei lei è ancora più iperattiva di me!

Parlando della tua carriera, quali eventi ti hanno resa ciò che sei adesso?

Ovviamente il Piolet D’Or, nel 2016. Ma credo che un po’ del successo sia quasi dovuto al fatto che, insomma, sono una donna e sono una guida alpina. Non credo ci siano al momento così tante guide alpine donna. Pian piano il numero sta aumentando, ma una volta non era così. Sicuramente non sono l’alpinista più forte al mondo neanche fra le donne, ma sono molto motivata e sono continuamente alla ricerca di nuove spedizioni e progetti. Ormai è da più di dieci anni che dedico la mia vita alla montagna.

Quale credi sia stata la tua più grande conquista alpinistica?

Al100% ilCerro Murallón in Patagonia. È stata la mia prima vera spedizione e anche la più importante. Ero molto naïve e non mi ero resa conto di quello che stavo effettivamente facendo. Abbiamo passato trentadue giorni in totale autonomia. In cinque, trasportando dieci borse da 20-30kg per anche 12 ore. Nessuno sherpa o supporto. Ci siamo anche ritrovati nel mezzo di una tempesta. Siamo rimasti undici giorni in parete senza informazioni sul meteo perché non avevamo disponibilità di un buon satellite o dispositivi efficienti.

E com’è iniziato il tuo percorso da alpinista? Cosa consiglieresti ad una bimba che come te sogna le grandi pareti?

Fino ai diciotto anni stentavo a chiudere un 6b. Ho iniziato poi con l’ice climbing e prendere parte a corsi organizzati dalla federazione francese per giovani climber. Non ho mai preso parte a competizioni. Non ero una climber forte. Sono passata per associazioni di settore, ho conosciuto persone e mi sono fatta degli amici che condividevano la mia passione ed i miei obbiettivi. È possibile approcciarsi al mondo dell’alpinismo anche attraverso lo sci alpinismo, e partecipare a corsi e lezioni. È importante per acquisire conoscenze e diventare indipendente.

Tu sei anche una guida alpina, lo svolgi come lavoro al momento o non più?

Un tempo lavoravo molto, mentre ora grazie agli sponsor riesco a focalizzarmi sui miei progetti, che è abbastanza recente come cosa. Ho continuato ad allenare un gruppo di giovani ragazze. Sono in sei e in un percorso della durata di tre anni insegniamo loro tutto ciò che serve per poi concludere con una spedizione. Negli anni ho visto che non è tanto insegnare loro delle competenze tecniche quanto trasmettere loro sicurezza e insegnare loro che da sole possono riuscire in ciò a cui ambiscono. Mi piacerebbe portare nel mondo dell’alpinismo, dove spesso il successo è fatto di singoli. il concetto di collettività.

Come vedi invece la figura della donna nel mondo dell’alpinismo?

Se anni fa dovevamo dimostrare di più per farci valere, ciò che accade oggi è un po’ diverso. L’industria si è resa conto che non c’erano molte donne in questo settore. Per questioni diverse ha iniziato a lavorare per spingere giovani ragazze senza competenze a mettersi in mostra come super eroine. Quando in fondo non c’è niente di speciale o di eroico. Per me quello che deve venire al primo posto è l’educazione alla montagna. Non si tratta di mettere un paio di pantaloni ed un guscio su una ragazza per renderla un’alpinista, magari mettendola anche in pericolo. Per questo lavoro per dare importanza ai valori ed alla passione prima di tutto. Non è importante che la comunità di donne sia numerosa, l’importante è che ci siano alpiniste che lo fanno per passione e all’interno delle proprie possibilità.

Come scegli i tuoi progetti?

A me piacciono molto le montagne verticali. Non mi interessa siano le più alte quanto siano inesplorate. Sono molto curiosa e cerco sempre di trovare qualcosa che non conosco solo per avere il bello dell’esplorazione. Quando siamo andati in Nepal, l’idea era in realtà quella di andare in Pakistan. Abbiamo avuto problemi con un visto e nel giro di una settimana abbiamo dovuto cercare un’altra meta. Quindi, se mai qualcuno se lo chiedesse… sì, è possibile organizzare una spedizione in meno di una settimana ed è lì che essere allineati con il proprio team diventa indispensabile.

Com’è il tuo rapporto con Ferrino?

Sono assieme a loro dall’anno scorso. Se c’è una cosa che mi piace è quando un brand mi contatta e con entusiasmo mi fa capire che ci tiene ad avermi a bordo. La comunicazione è sempre efficace e senza difficoltà. Quando ho scoperto che a tenere le redini di tutta l’azienda era Anna, una donna, mi sono proprio detta “che forza!”. Gli sponsor alla fine sono un po’ come compagni di cordata. Devi avere la stessa visione e riuscire a lavorare bene insieme, avere una connessione a livello umano.

Progetti per il 2023?

Se tutto si allinea, vorremmo ritentare il Pakistan, ma vedremo se riusciremo a mettere insieme tutti i pezzi. E ancora la Patagonia, il mio posto del cuore.