Picture Invisible Ground

Lo snow film di Picture “Invisible Ground”

Lo snow film di Picture “Invisible Ground”

 

“Che sensazione incredibile.
Scivolare, volare sulla neve fresca e profonda.
Chiunque l’abbia provato, sa cosa intendo.
Quando tutto va bene
Ma se va male?”

Queste sono le parole con cui inizia “Invisible Ground”, il documentario supportato da Picture e Smith e creato dallo snowboarder e filmer Elias Elhardt che, finalmente mi permetto di dire, parla profondamente delle scelte che si trova a prendere chi, come Xavier De Le Rue e lo stesso Elias, decide di fare della montagna, e del rischio a essa connessa, la propria vita. Ed è proprio di questa vita al limite, sia a livello emotivo che sul piano materiale, e piena di contraddizioni, che Elias e Xavier parlano in una conversazione onesta e spiazzante.

In un mondo dove viene spesso messo in mostra solamente il lato “giocoso” dello sciare in neve fresca, dove è normalizzato l’esporsi al rischio per portare a casa qualche ripresa cool, anzi, dove di rischio nemmeno si parla perché sennò come si fa a confezionare e vendere questa disciplina ai consumatori, sentire parlare due pro rider di tutto il retroscena è disarmante. E ad oggi era più che necessario, aggiungerei.

Elias e Xavier parlano inizialmente del loro approccio personale alla disciplina: il primo sempre più concentrato sul lato giocoso, il secondo invece affascinato dalla possibilità di mescolare lo snowboard all’alpinismo. Si parla di bellezza, della ricerca della bellezza nell’esporsi agli elementi crudi. Per Xavier, è proprio questa ricerca di insicurezza, lontano dai comfort della vita moderna, che lo porta a riconnettersi col proprio essere animale. Ed è proprio questa sensazione di precarietà, dove in un certo senso bisogna lottare per la propria vita, il motivo che lo ha spinto a fare quello che ha fatto negli anni. Per sentirsi animale e di conseguenza sentirsi libero.

Dopo aver condiviso le proprie visioni di freeriding, Elias e Xavier iniziano a portare il discorso su un altro livello: si va nel profondo e si inizia a parlare delle esperienze che si tendono a cancellare piuttosto che condividere. Si parla di morte, della morte vista in faccia, dello scavare sotto una valanga e tirare fuori un corpo di un amico, o di un ragazzino di 15 anni.

“Quando si lotta per la vita, il freeriding appare così inutile.”

Oltre al trauma, innegabile, scaturito da queste esperienze si riflette sul ruolo e sulla responsabilità che hanno i pro rider nel comunicare questo stile di vita al limite che appare così bello dall’esterno. Ed è proprio per questo motivo che sono necessarie narrazioni, come questa proposta in Invisible Ground, che mettono in luce l’altro lato della medaglia.

Nel parlare di incidenti in valanga, viene ricordato l’incidente di Xavier dove non ha perso la vita per miracolo. Ai tempi, aveva già una figlia di tre anni eppure dalla finestra dell’ospedale si ritrovava, dopo pochissimo tempo, a contemplare le montagne innevate sentendo di voler essere là, nonostante tutto. Una cosa folle, se si pensa che proprio dopo quell’incidente Xavier ha spinto al massimo in montagna.

Diversa però è stato la risposta all’incidente in cui ha perso la vita il suo amico, che ha avuto un impatto differente su di lui perché, come viene detto nel documentario, anche l’esito è stato diverso.

È però evidente che nonostante gli eventi più dolorosi, chi ama la montagna, chi si nutre di questo (in tutti i sensi) la domanda che si pone, a volte anche mentendo a sé stesso, è come poter continuare a fare quello che lo appassiona senza far soffrire le persone vicine. Perché alla fine della giornata non sono importanti le grandi imprese ma i rapporti con gli altri, che anch’essi sono un nutrimento fondamentale per una vita degna di essere vissuta.

Qual è quindi il modo, la ricetta se esiste, per vivere questa disciplina inutile a allo stesso tempo necessaria, nel modo più sano possibile?

Andare in montagna con umiltà, vivere delle esperienze che ci fanno capire quanto siamo fragili piuttosto che quanto siamo fichi e capaci di grandi imprese.
Riconnetterci al nostro lato più animale, come dice Xavier, perché in questo modo diventiamo dei predatori, del nostro ego, e diventiamo così al tempo stesso prede.
Perché in fondo, non siamo che esseri vulnerabili, capaci di grandi cose, ma al tempo stesso piccoli, fragili, limitati. E forse è proprio grazie all’abbracciare questa nostra fragilità che possiamo fare qualcosa di buono. In questa vita o nella prossima.