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Preferisco ghisarmi: il podcast by Brocchi Sui Blocchi

“L’arrampicata è libertà, un posto dove ognunə possa esprimere sè stessə”.
Brocchi sui Blocchi

Brocchi Sui Blocchi è la più grande community d’arrampicata in Italia, con 25.600 follower su Instagram, 12.000 su Facebook e 11.000 su TikTok. Un progetto di comunicazione fondato da Amedeo Cavalleri che attraverso vari canali – eventi, podcast, social – racconta l’arrampicata degli ultimi, gli scarsi, elevandoli a personaggi degni di avere una storia da raccontare. Il gruppo ha creato un nuovo podcast, Preferisco Ghisarmi, disponibile su Spotify, Apple Podcast e Amazon Music. I quattro speaker – Amedeo Cavalleri, Dario Cressoni, Davide Borgogno, Roberto Mor – si confrontano sull’evoluzione dell’arrampicata e su ciò che la circonda. La prima stagione di Preferisco Ghisarmi (7 puntate, pubblicate tra gennaio e marzo 2023) affronta temi come l’attivismo, l’ambientalismo, il sessismo, l’allenamento, la comunicazione. Non manca una buona dose di intrattenimento e l’ironia che contraddistingue i Brocchi Sui Blocchi. Il format di Preferisco Ghisarmi parte dalle storie dei grandi della montagna (da Tommy Caldwell passando per Jacopo Larcher e molti altri), per poi esprimere il punto di vista di arrampicatori qualsiasi. Le grafiche del podcast sono state realizzate da Michela Cavalleri, la sigla da Lorenzo Badioli, in arte Pupetti Tutti Matti. Produzione e montaggio sono a cura di Brocchi Sui Blocchi, sotto la direzione di Roberto Mor. Il progetto Brocchi Sui Blocchi e il podcast Preferisco Ghisarmi sono supportati da La Sportiva.

Amedeo il podcast sta andando alla grande, sei soddisfatto?

Sì, molto! Le classifiche e gli ascolti dicono che il podcast sta andando davvero bene, non mi aspettavo questo successo! A oggi come ascolti siamo sui 17.000 (dato aggiornato al 19 marzo 2023) per le sette puntate e ogni giorno abbiamo circa 400 ascolti. Inoltre da quando è uscito fino a oggi il podcast è sempre rientrato nella top 200 podcast di Spotify. Niente male per un podcast di arrampicata! Volevamo fare qualcosa di nuovo, un po’ diverso dalla maggior parte dei podcast (seri) in circolazione, un format orientato anche all’intrattenimento, che permettesse di imparare qualcosa ma anche di farsi due risate.

Ogni puntata ha un tema speciale…

Siamo partiti da subito con l’idea di fare più stagioni, e volevamo quindi che la prima stagione fosse incentrata sui temi riguardo i quali ci interroghiamo di più e che consideriamo focali. La prima puntata è dedicata a quella che per noi è la base, ovvero l’attivismo. Inoltre affrontiamo la contrapposizione tra il bisogno di andare in montagna e isolarsi e dall’altra parte la voglia di restituire qualcosa alla società. I ragazzi che formano il gruppo dei Brocchi, infatti, anche nella vita lavorativa hanno una propensione ad aiutare gli altri: Davide è medico, Dario fisioterapista, io mi occupo di ambiente. Affrontiamo anche argomenti come il grado, l’allenamento, l’attrezzatura, le scarpette. C’è poi una puntata che si occupa di ambiente, un’altra sul racconto dell’arrampicata. In ogni puntata partiamo da un libro o da un film sull’arrampicata che ci ha insegnato qualcosa, per poi sviluppare un discorso più ampio.

Perché creare un podcast di arrampicata?

In questi anni, in particolare io che mi occupo di comunicazione, ho sempre avuto la voglia di sperimentare e innovare. Penso che l’arrampicata sia un terreno abbastanza fertile, è una disciplina nuova, e la cosa più bella da fare quando c’è uno spazio così propenso all’innovazione è sperimentare e buttarsi. Per questo abbiamo deciso di provare a comunicare con il podcast. I social ti permettono di arrivare sempre a meno persone e volevamo fare qualcosa di più, sentivamo il bisogno di un nuovo strumento per arrivare alla community. In molti ci hanno detto che prima dei Brocchi non riuscivano a trovare il loro modo di vivere l’arrampicata, mentre grazie a noi hanno capito che ci sono tante sfumature. In questi anni abbiamo conosciuto tante persone e abbiamo vissuto esperienze stupende, come il fatto di essere entrati nella famiglia La Sportiva. Vogliamo condividere con gli altri quello che abbiamo imparato perché pensiamo possa essere da stimolo per tutti.

Che tipo di strumento è il podcast?

Rispetto al video è uno strumento più facile. In confronto ai social, che si basano su una comunicazione breve e veloce, il podcast permette di approfondire e soprattutto rimane: chiunque lo può ascoltare quando preferisce. Ogni puntata parte da un libro o un film quindi un po’ di ricerca andava fatta e questo ci portava a creare una base dalla quale pensare un flusso di punti che avremmo voluto toccare. Tutto il resto era improvvisato, quindi molto autentico. Non abbiamo quasi mai registrato una parte due volte. Sarebbe stato un contro senso comunicare: “è ok fallire!”, “è ok fare schifo!” e poi cercare di creare un contenuto perfetto. L’approccio va mantenuto con coerenza: bisogna accettare l’errore anche nella vita. Non dev’essere tutto perfetto, l’importante è divertirsi!

Aldilà dei dati sugli ascolti, quali feedback state ricevendo dalla community di arrampicatori?

La sensazione è che ci fosse una gran voglia di un podcast così, qualcosa che raccontasse l’arrampicata in maniera diversa. Un sacco di persone lo condividono, c’è un grande passaparola, in molti ci taggano nelle storie. Sta piacendo tanto e siamo contenti di avere azzeccato la modalità.

Il podcast, come l’attività dei Brocchi, è tutto basato sul volontariato. Chi ve lo fa fare?

È di sicuro un impegno: bisogna metterci la testa, il tempo e la voglia. Ma è una passione: ci piace e ci diverte farlo, altrimenti eviteremmo. È sempre bello mettersi in gioco e scoprire nuovi modi di comunicare. Abbiamo anche la fortuna di avere il supporto di La Sportiva che ci ha aiutati a comprare un po’ di attrezzatura per il montaggio e qualche microfono per avere una buona qualità audio.

Quali sono i valori dei Brocchi? Quali messaggi volete trasmettere?

Il nostro obiettivo è creare una community di arrampicatori inclusiva, impegnata e partecipativa, dove vivere l’arrampicata con entusiasmo. Vogliamo mettere al centro del racconto le persone e le esperienze, l’arrampicata degli ultimi. Così all’autoironia si sono uniti discorsi un po’ più seri: il rifiuto della competizione a tutti i costi e dell’idea della “conquista” della montagna, la lotta al sessismo e al machismo nell’arrampicata (secondo la quale devi sempre essere più forte), l’ambientalismo, i disturbi alimentari nell’arrampicata e molto altro. Crediamo anche che il grado non sia centrale, è l’attitudine che fa un/una climber: il rispetto dell’ambiente e nei rapporti con gli altri, come ti relazioni con la community. Per noi inclusività significa che chiunque può fare questo sport e ha pari dignità, a prescindere da quanto è forte. L’ambientalismo si declina nel fatto di dire che abbiamo una responsabilità nei confronti della natura: come molti sport outdoor, infatti, scalare prevede un utilizzo e talvolta anche un consumo, per esempio, della roccia. L’ambiente è una risorsa di tutti, finita, quindi non bisogna avere un approccio consumistico. Bisogna stare attenti a non sporcare e a portarsi a casa tutto ciò che si utilizza in falesia, stare attenti a come si usa la roccia, pulire le prese, stare attenti a non rompere la roccia. Amare i luoghi in cui pratichiamo lo sport vuol dire non lasciare traccia del proprio passaggio, lasciarli uguali o meglio di come li abbiamo trovati. Ci sono dei piccoli gesti, come infilare il mozzicone di una sigaretta in un buco in via, che per chi viene dopo di noi avranno un grande impatto. 

Quando vi ho conosciuti avevate tutti lo smalto sulle unghie…

Sì, è un segnale autoironico che rientra nel rifiuto dell’idea di maschismo: l’alpinismo in Italia è sempre stato maschilista, incentrato sull’idea di derivazione patriarcale della conquista dell’uomo su qualcosa, del predominio, competere per dimostrare agli altri la tua forza. Tutto questo l’abbiamo vissuto sulla nostra pelle: la competitività, sentirci sminuiti, semplicemente perché eravamo meno forti o vivevamo la montagna in maniera diversa. In questo discorso rientra chiaramente anche il femminismo: l’arrampicata è sempre stato un mondo maschilista e ci è capitato che alcune nostre amiche non si sentissero a proprio agio in certi contesti perché c’era molto testosterone legato alla performance e tanto mansplaining. 

Sentite un senso responsabilità nei confronti della community che vi segue?

Sì, sappiamo che ci guardano, e quando le persone si affezionano a te e ti prendono come punto di riferimento devi dare dei messaggi positivi e di inclusività per portare delle buone pratiche. Sentiamo un po’ questo, anche se sappiamo di essere gli ultimi degli ultimi. Il rispetto per gli altri per noi è fondamentale: ogni climber è tuə pari, la classificazione in base al grado a volte porta a degli scompensi, chi è più forte si sente più importante in questo mondo e noi vogliamo scardinare questo concetto. Gli arrampicatori sono prima di tutto delle persone. 

What’s next?

Quando abbiamo registrato l’ultima puntata del podcast ci è dispiaciuto molto che fosse finita questa esperienza. Pensavamo che la nuova stagione sarebbe stata tra un po’ di mesi invece credo che a breve ci metteremo già a pensarci. Il podcast è stato il nostro progetto di comunicazione più importante da quando siamo nati e penso che continuerà a esserlo anche in futuro. Ora che inizia la stagione poi saremo spesso a eventi in giro per l’Italia, insieme a La Sportiva ma non solo. È il nostro modo di “scendere in mezzo agli uomini e lottare con loro”, per usare le parole dell’alpinista Guido Rossa, perché il progetto di comunicazione digital è bello ma poi ci piace davvero stare tra la gente, confrontarci, condividere un’idea di arrampicata e portare le idee delle quali parliamo dentro la vita reale. Quando siamo partiti, intorno ai temi di cui parlavamo non c’era molta discussione, ora c’è molto più hype su argomenti come l’inclusività e l’ambiente, anche nella community di climber. Inoltre vedo che mentre all’inizio eravamo da soli, ora nascono sempre più iniziative, profili e pagine che si raccontano in un modo simile al nostro e ci dicono che si sono ispirati a noi. Sembra che nel nostro piccolo abbiamo contribuito a creare un movimento e una sottocultura che sta portando un impatto reale nel mondo dell’arrampicata.