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Stile, deserto e solitudine Solis James Poole

Non credo che la corsa abbia significati particolari, ma credo che il modo in cui si corre porti con sé un senso, faccia senso, consapevolmente o no. Nellultrarunning non conta soltanto correre forte e lontano, ma conta anche lo stile e lattitudine con cui lo si fa. Più o meno sappiamo tutti di cosa si parla se si parla di stile. Lo stile è ciò che rende riconoscibile un modo di agire rispetto a un altro. Uno stile di canto, uno stile di pittura, uno stile alpinistico.

Lo stile non è qualcosa di esteriore o di superficiale, non si limita allapparenza, non è il look. Lo stile è qualcosa di estremamente personale, e quasi sempre è mosso da una ragione. Non decidi a caso se partecipare a una gara con 3000 partecipanti o se correre 100 miglia da solo dietro casa, o nel deserto del Sahara, c’è sempre una ragione. Poi può essere più o meno profonda, più o meno ragionata, più o meno consapevole, ma c’è. È per questo che vale la pena parlare di The Speed Project. Non perché sia una corsa nel deserto, non perché parte da Los Angeles, ma perché nasce da unidea, e alla fine sono le idee che ci interessano.

The Speed Project è una corsa di circa 500 chilometri nata nellambiente dellultrarunning di Los Angeles. Dove, come in altre grandi città, negli ultimi anni sono nate community alternative di corridori. Sono spesso ambienti chiaramente legati a un orizzonte estetico, un pò hipster e talvolta stucchevole, ma che stanno diventando a tutti gli effetti un volto di questo sport.

Il percorso parte da Santa Monica e arriva al cartellone di Las Vegas e tradizionalmente si corre a staffetta, in squadre da sei corridori, a parte questo non ci sono regole: non c’è assistenza da parte dellorganizzazione, ammesso che ce ne sia una, non c’è un percorso definito al di fuori della partenza e dellarrivo, e non c’è pubblico (almeno nelle intenzioni), ovviamente non c’è un sito internet, ma c’è una pagina Instagram – perché niente è fondamentale, ma qualcosa è più fondamentale di altro.

Perché sempre più persone sentono la spinta a organizzare eventi autogestiti che escono dal format e dalla standardizzazione delle gare tradizionali? Ci sono tante ragioni quante persone che lo fanno, certe volte sono profonde, altre sono più superficiali e spinte da approcci usa e getta: «sembra figo, voglio farlo anchio».

Poco o molto tempo fa, a seconda di quando leggerete questo articolo, James Poole, ultrarunner londinese per The North Face e Alba Optics, ha percorso TSP in solitaria; sul suo tentativo The North Face ha prodotto un corto di 11 minuti intitolato Solis. Qualche giorno prima di incontrarlo a Chamonix gli abbiamo chiesto di parlarci della sua traversata, e da dove nascesse il bisogno di farlo.

Quando hai deciso di correre TSP, e perché?

Ho deciso di tentare questo progetto nel 2019, quando Nils, il cofondatore, mi contattò per parlarmene. Poi il è arrivato il Covid e non ho potuto farlo fino a questanno. Volevo provarci perché sembrava davvero unavventura epica, un modo unico per vedere luoghi che non avevo mai visto prima. E la semplice idea di essere abbastanza bravo su cose lunghissime, e che potessi fare questa cosa dopo due anni in cui non ne avevo avuto lopportunità. È una ragione abbastanza semplice, ma davvero non era per vincerla. Mi interessava soltanto andare là fuori e correre nel deserto, e avere unavventura.

Il TSP non ha un percorso ufficiale, come lo hai tracciato?

Sì, non c’è un percorso designato. C’è qualcosa chiamato OG route, che consiste nel percorso utilizzato dal primo team nel 2012. Nel mio caso, cercavo di avere la più grande avventura che potevo, e amo correre in montagna. Quindi ho aggiunto la salita a Mount Baldy, prima di lanciarmi nel deserto del Mojave seguendo la linea più lineare possibile fino a Vegas, ho utilizzato Komoot per tracciare tutto il percorso, è stato fondamentale l’utilizzo di questa app.

Parlami del deserto

Le mie uniche due esperienze nel deserto sono state nel Mojave e nel Gobi, che non è certamente come il Sahara, con miglia e miglia di dune di sabbia. Ciononostante, il Gobi è davvero tagliente, e il Mojave e la Death Valley per molti aspetti non sono diverse. In entrambi i casi trovi a malapena delle forme di vita, semplicemente perché le cose lì non sopravvivono. Durante tutto il tempo che ho passato nella Death Valley non ho visto nulla: non ho visto riflessi di occhi nella notte, non ho visto ragni o insetti. Era semplicemente isolato, brullo, e quasi del tutto privo di vita. Per cui vedere il mio team era una cosa così bella, perché non avevo visto letteralmente niente o nessuno per ore e ore. Ma correre nel deserto mi piace, c’è un certo senso di quiete nella solitudine, che è qualcosa di abbastanza raro oggi. Ma essere laggiù nelloscurità e nel silenzio della notte è qualcosa di catartico.

Dal tuo punto di vista cosa spinge certe persone a organizzare eventi di ultrarunning al di fuori delle gare tradizionali?

In termini di organizzazione dello Speed Project, è sicuramente Nils, uno dei cofondatori, che è indubbiamente un carattere interessante, pittoresco, ed è una sorta di ribelle alla burocrazia e alla norma. Infatti non ci sono regole al di fuori del fatto che devi partire dal Molo di Santa Monica e devi arrivare allinsegna Welcomedi Las Vegas.

Sotto un aspetto di commercializzazione dello sport. Credo che TSP ci si scontri. Certo, sono seduto qua a Chamonix ora, dove UTMB ha totalmente commercializzato la corsa sponsorizzando qualunque cosa possa essere sponsorizzata, e non sono contro a tutto questo. Ma TSP è una specie di antitesi, e credo che sia bello avere una situazione in cui coesistono diversi tipi di gare. Dallaltra faccia della medaglia, The Speed Project ha sponsor commerciali, e molti brand hanno avuto un team che partecipava nel passato. Quindi la commercializzazione c’è, ma sembra più underground. È puro senso della corsa. Sei letteralmente tu contro la strada e i brand non hanno realmente un impatto su questo.

Qual è il futuro di questi eventi nel panorama dellultrarunning?

Per il futuro degli eventi di ultrarunning vediamo una crescente popolarità, soprattutto per gare come UTMB. Ma di nuovo, dallaltro lato abbiamo visto un crescente interessamento per la fatica negli ultimi anni, e credo che continuerà a crescere, perché come dico anche nel film, a un certo punto, la tua motivazione va oltre a medaglie t-shirt e podi o traguardi, e inizi a cercare qualcosaltro. Senza dubbio io cerco qualcosa di diverso, qualcosa che ha una storia, qualcosa che mi permetta di incontrare e conoscere persone che non conoscevo. E questo non sempre accade nelle gare organizzate, quindi sì, credo che vedremo sempre più iniziative come il TSP. Almeno spero.

Come è stato correre 500k con una videocamera attorno? Non ti metteva sotto pressione?

Dunque, lidea era che loro non dovessero interferire affatto con la mia gara. Gli avevo dato istruzioni precise di non incoraggiarmi o di non supportarmi in alcun modo. Ciò che è accaduto poi è che la distanza tra i ristori era enorme e io lavevo sottostimata, e loro hanno iniziato a fornirmi acqua e assistenza, oltre ad essere ovviamente qualcuno da vedere di tanto in tanto. Quando corri qualcosa come 500 chilometri devi cambiare i tuoi piani a mano a mano che prosegui. Quindi loro hanno iniziato a darmi acqua, che era oggettivamente un salvavita. E direi di no, non era particolarmente stressante perché non era previsto che fossero coinvolti, ma semplicemente che fossero lì e documentassero la cosa. Per quanto riguarda le aspettative degli altri, non era qualcosa che facevo per qualcun altro. Era un atto egoistico, per andare fuori dai radar per quattro giorni e mezzo. Non penso che uno si lanci in queste distanze preoccupandosi di cosa pensano le altre persone. Non penso sia importante, è solo corsa, non è così importante. Non si tratta della pace nel mondo, si tratta letteralmente di mettere un passo davanti a un altro, e se le persone hanno delle aspettative su di me su questo, è un problema loro, non mio.