Image Alt

Una storia da ricordare: the Nose speed record

By Federico Mura

Powered By Reel Rock

Se non soffrite di vertigini e non avete problemi di cuore, in questi mesi è possibile vedere sul grande schermo The Nose Speed Record con Alex Honnold e Tommy Caldwell, film selezionato da Reel Rock assieme a The High Road con Nina Williams e United States of Joe’s.

Certo, accettare di scalare una parete con l’uomo che il gear quel giorno l’aveva lasciato a casa non è da tutti. Tommy Caldwell è il co-protagonista del film “tratto da una storia vera”, The Nose Speed Record. Dall’altro capo della corda niente meno che Alex Honnold. 

Gli stessi 31 tiri e 870 metri di dislivello che un regolare climber salirebbe in 4 giorni, questa volta vengono mangiati in due ore. Vale tutto. Qualsiasi tecnica, munte, risalite, dita negli split e pendoli. Quello che importa è abbattere il record precedente, in questo caso detenuto da Jim Reynolds e Brad Godbright. 

The Nose Speed Record è il racconto di un confronto tra follia e tecnica, perché lo speed climbing di un multi pitch non è altro che il giusto bilanciamento di questi due elementi così importanti quando c’è una sfida tanto ardua di mezzo. Forse avete presente che sensazioni si provano nel  trovarsi anche solo un paio di metri sopra ad un rinvio, con un passaggio difficile ancora da fare. Bene, per la coppia Honnold-Caldwell i metri in questione spesso e volentieri sono dieci, con rispettiva potenziale caduta di venti. Non è obbligatorio non mettere il gear, è solamente lento. 

Le complicazioni ovviamente non sono da meno, il fatto che The Nose sia la via più famosa non può che aumentarne il traffico, andando ad aggiungere un ulteriore componente di imprevedibilità. 

“Dire che sia totalmente sicuro, sarebbe un’immensa bugia”.

Preparare uno speed record non ha nulla a che vedere con la preparazione di una via di grado alto; qui il gesto tecnico passa in secondo piano, dando spazio alla priorità di non cadere mai. Non è solo una questione di grandi spaventi; una caduta lontano da una protezione è indubbiamente un enorme elemento di rischio che ha portato diversi climber ad essere vittime di gravi incidenti.

E quando ci si trova tanti, troppi metri sopra una protezione, entra in gioco una componente di freddezza e concentrazione che solo le leggende possono avere. Honnold, in un certo senso, lo si può definire allenato dopo la sua famosissima scalata in free solo della via Freerider, ma non aveva comunque fatto ancora i conti con la velocità. Tommy Caldwell, dalla sua, ha da confrontarsi  con un’impresa totalmente nuova messa a paragone con quello che sono le responsabilità da marito e soprattutto da padre. Una serie di presupposti che hanno reso degno ogni loro singolo tentativo, rendendolo una storia da raccontare. 

Reel Rock racconta delle storie. Storie diverse, tutte accomunate dall’amore per la roccia. In particolare nella quattordicesima edizione si possono apprezzare stili e mondi totalmente diversi gli uni dagli altri. Il vedere tre pellicole così simili ma così diverse una dopo l’altra ci fa riflettere su come l’arrampicata abbia infinite sfaccettature. Da Nina WIliams, macchina da boulder ed estremamente incentrata sulla performance, a United States of Joe’s, che invece ha un taglio totalmente differente. Parla di comunità. Di come un gruppo di strani personaggi, che si presentano con un materasso sulle spalle in una iper-conservatrice cittadina dispersa nello Utah, possano diventare parte della comunità locale semplicemente condividendo esperienze. Storia che si tramuta immediatamente in metafora applicabile a infiniti ambiti nella nostre personali esperienze. 

E poi The Nose Speed Record, che parla di sfida, gioco di squadra e motivazione.

Una cosa la possiamo affermare con certezza: dietro ogni climber, leggenda o meno, si nasconde sempre un essere umano.  

Share this Feature