Image Alt

Valeria Margherita Mosca “The Forager”

By Valeria Margherita Mosca 

Mi chiamo Valeria Margherita Mosca e sono una forager.

Ricordo perfettamente la prima volta che pensai di mettere delle foglie e alcuni rametti di pino in padella. Avrò avuto 9 o 10 anni ed ero accovacciata nello spazio sotto al balcone sul prato della casa di montagna dove ero solita passare l’estate. Ero appena tornata da un lungo vagabondare nella foresta vicina dove avevo guardato gli altissimi tronchi degli abeti e dei larici svettare verso il cielo. Me ne ero innamorata ed era stato naturale chiedermi se quella vibrante materia vegetale potesse avere lo stesso inebriante, intenso e aromatico sapore che le mie narici catturavano nell’aria sotto forma di odore e di cui i miei percettori chimici erano inesorabilmente attratti. Perciò iniziai a immaginare e fantasticare, cucinando per gioco, e a riempire i miei pentolini di aghi, cortecce, foglie e persino sassi. 

Poche stagioni dopo, osservando la nonna, cresciuta in una valle molto isolata che si chiama val zebrù, mi accorsi che non solo raccoglieva alcune parti delle stesse piante ma che, con più cognizione di causa rispetto a quella che avevo usato io nelle mie insolite ricette, preparava sciroppi, rimedi e, a volte, intere cene con il suo raccolto. Da quel giorno raccogliere vegetali è entrato a far parte della mia quotidianità. 

Crescendo ho sempre cercato in ogni modo di far collimare le mie esperienze di giovane raccoglitrice negli studi, prima di antropologia e poi di cucina, e poi nella mia attività di guida in montagna, dedicandomi ad un continuo approfondimento delle scienze alimurgiche e della materia selvatica ad uso alimentare.

Ho esplorato moltissimi ambienti naturali incontaminati e raccolto e catalogato piante, alberi, muschi, licheni, molluschi, alghe e fiori commestibili analizzandone le caratteristiche organolettiche e nutrizionali, la tossicità e le connessioni chimiche con l’ambiente fino a che, nel 2010, ho deciso di fondare il primo food lab italiano dove dar seguito e concretezza a queste ricerche

Tutt’ora però quei sapori, per nulla esotici, scovati nel bosco da bambina, rimangono tra i miei preferiti e guardo sempre con gratitudine al giorno in cui l’amore per la foresta e il suo sapore mi hanno aperto la porta a un mondo dove esplorazione, sport ( per fare foragng si utilizzano diverse discipline sportive che vanno dal trekking all’immersione), antropologia, identità culturale, geografia, botanica, tutela ambientale, gastronomia e scienza collimano in un insieme ragionevole, necessario, entusiasmante ed estremamente attuale.

Il foraging in realtà è un’attitudine che appartiene al genere umano e animale da sempre. L’uomo è nato raccoglitore ed è rimasto tale fino a poco più di un secolo fa.  Il termine al giorno d’oggi identifica l’azione di andare a raccogliere vegetali o parte di essi, molluschi di acqua o terra e insetti adatti al nutrimento umano in territori naturali il più incontaminati possibile. Quando il foraging era un’attività comune la conoscenza riguardo la raccolta era seriamente contemplata grazie a una vera e propria scienza, l’alimurgia, che studiava la possibilità di cibarsi di alimenti selvatici in periodi di carestia o povertà o per scelta o per necessità. Fino alla fine del 1800 la dieta del ceto medio o basso era composta per gran parte proprio da cibo selvatico in quanto ciò che veniva coltivato (non esisteva l’agricoltura intensiva) era poco ed era destinato di solito ai ceti più ricchi.  Gli ingredienti selvatici sono stati quindi parte importantissima della nostra identità culturale. Recuperare queste tecniche e questi ingredienti  e continuare la catalogazione degli ingredienti di origine selvatica, andando oltre a quelli già utilizzati nella nostra tradizione, e catalogandone di nuovi e nuovi sotto il punto di vista nutrizionale, proprio come stiamo facendo a wooding, può essere una scelta molto contemporanea di recupero della nostra identità e tradizione e di veicolo di concetti molto attuali e direi quasi “ fondamentali” come la sostenibilità alimentare e la cooperazione e tutela dell’ambiente. Il cibo selvatico se raccolto attraverso regole oramai codificate è infatti cibo a zero impatto sull’ambiente ed è una risorsa enorme e immediatamente disponibile. Essere forager significa saper considerare l’ambiente una risorsa da usare ma nel rispetto più totale. Un concetto davvero contemporaneo. E la formazione in questo senso non è solo utile. E’ fondamentale. A fronte di migliaia di specie vegetali, catalogate come commestibili, ne esistono moltissime, spesso simili tra loro, che sono tossiche e pericolose se ingerite. Fare foraging senza una guida o senza una preparazione adeguata è sconsigliato e dannoso sia per l’ambiente che per noi stessi. Avvicinarsi al foraging significa prima di tutto conoscere l’ambiente, studiare gli ecosistemi, le dinamiche che li muovono, l’etnobotanica, la botanica, il territorio e la geografia. Questa conoscenza ci rende rispettosi e cooperativi con l’ambiente. fare questo lavoro mi regala davvero ogni giorno la possibilità di essere davvero “connessa”. Sentirmi parte dell’ambiente naturale mi aiuta anche a capire meglio alcune dinamiche che ritengo fondamentali per la crescita personale di ognuno di noi. 

Mi ha reso responsabile nei confronti delle vere necessità. Insomma, con i piedi per terra. Inoltre raccogliere e riportare la fatica nella nostra esistenza comprendendo i limiti che esistono sul nostro pianeta credo sia qualcosa di molto sano al giorno d’oggi dove siamo abituati a ritenere casa le mura del nostro appartamento. dovrebbe essere la fuori la nostra casa.
Dovremmo trovare il senso di stabilità, di equilibrio e di benessere in mezzo a una foresta, su un passo di alta montagna, dispersi in qualche angolo incontaminato. Il mio nuovo libro, recentemente uscito per Giunti, Imparare l’arte del foraging, prima di essere un manuale di raccolta, è proprio una guida di esplorazione ambientale. È pazzesco vedere come cambia l’atteggiamento delle persone che scoprono i misteri della raccolta spontanea.
Suddiviso in capitoli che rappresentano habitat diversi presenta il cibo selvatico disponibile nei nostri ecosistemi come un’importante risorsa alimentare e culturale e chiarifica il mio intento di invitare il lettore ad avvicinarsi agli ecosistemi per imparare a conoscerli e, di conseguenza a rispettarli e proteggerli. In questo senso il foraging diventa un mezzo, un veicolo o un pretesto per insegnare un’educazione ambientale cosciente e molto utile. È una delle soddisfazioni del fare i corsi, vedere con quanta partecipazione le persone si cimentano in qualcosa di nuovo e, nella maggior parte dei casi, vengo a sapere, poi, che non è stato un caso isolato, ma che hanno continuato, chi sporadicamente, chi con più convinzione, con una consapevolezza maggiore. Le persone che partecipano ai corsi mi dicono quasi sempre che cambia il loro modo di osservare. Divengono più presenti e più attente. Vivono con maggior consapevolezza l’attimo presente e il rapporto con l’ambiente.

A me tutto ciò rende più felice. La natura mi insegna ogni giorno e mi ha insegnato a vivere e a comprendere l’esistenza.

Imparare l’arte del foraging

Conoscere, raccogliere, consumare il cibo selvatico

Mosca Valeria Margherita

384 pagine

Giunti editore

Esperta di foraging con una passione per il trekking e l’esplorazione, Valeria Margherita Mosca ci apre il mondo della raccolta del cibo spontaneo. Un mondo che è futuro, sostenibilità, bellezza, avventura e che invita a riconnettersi con la natura nel modo più semplice: cibandosi di ciò che offre. Oltre 150 specie di erbe, fiori, arbusti, alberi, frutti, funghi, ma anche licheni, alghe e molluschi – comuni nel nostro habitat o incredibili e quasi misteriose – si alternano a tanti suggerimenti per conoscere ed esplorare gli ambienti più diversi.

Share this Feature