EDITO
REDIVIVO MONS
La Montagna Risorta
“Redivivo” non significa solo “tornato in vita”, ma “restaurato”, “rinnovato”.
Dopo una caduta sugli sci ci sono due modi, grossomodo, di affrontare la cosa: rialzarsi o stare così fino a soffocare con la faccia nella neve. Per istinto di sopravvivenza la maggior parte di noi, con più o meno esitazione, sceglie comunque la prima opzione. Sfugge spesso, tuttavia, una cosa importante: il come. Come ci ricomponiamo? Come ripartiamo?
Mi perdonerete l’azzardo di affiancare lo sci alla filosofia. Anche perché alla fine, un po’ tutto quello che si fa quando si pensa, è filosofia. E quando si scia, si pensa. Nel risalire un pendio pellando e ansimando, richiamando i propri pensieri più intimi, può accadere che un cortocircuito di sinapsi crei collegamenti inattesi. Vi parlerò, con semplicità, di tre grandi opere che toccano ciascuno di noi: “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche, “The Revenant” di Iñárritu e “Covid19” dell’umanità tutta. Sembrano complesse, ma rispecchiano noi. E non lo sono poi troppo.
“Il buon selvaggio, è buono per natura” questo sostiene il pensiero illuminista. Nietzsche ci dice invece che la crudeltà che si trova nella natura sia la stessa che si trova nell’uomo razionale. Nelle terre selvagge proposte in The Revenant, per l’appunto, non possiamo salvarci dalla crudeltà perché essa è la natura stessa: priva di ogni morale perché conosce solo la sopravvivenza. Se trasliamo il concetto in montagna, pensando a valanghe che inghiottono corpi e cose e a quelle tempeste furiose, trovo più calzante il pensiero di Nietzsche. La natura è crudele. Amabile ne convengo, ma crudele. Irresistibile, infine.
In un susseguirsi di crudeltà, come propone Iñárritu in The Revenant, mi sembra inevitabile il confronto con la situazione attuale, non solo sulle alte vette. Non solo nelle terre selvagge. Nelle realtà descritte dal filosofo e dal regista, la crudeltà pervade ogni cosa e si ripresenta in un eterno ritorno estenuante. Come le ondate della pandemia. Come i tragici eventi sui monti che rimuoviamo per autodifesa.
La stanchezza deriva dalla ripetizione della crudeltà, di una violenza, di un dolore che dalla notte dei tempi prende il proprio ruolo sul palcoscenico della vita. “Il piccolo uomo ritorna eternamente” scriveva Nietzsche. Qui deve avvenire la scelta. Il “piccolo uomo” per il filosofo è colui che si lascia sopraffare dalla crudeltà, che si arrende alla compassione piuttosto che trarne qualcosa di grande. Come sulle seggiole rosse dei cinema, sedotti dalla pellicola famosa per la statuetta d’oro a DiCaprio, anche davanti alla pandemia, così come alla furia della montagna, siamo stati ridotti a meri spettatori di una sofferenza perché, ahinoi, troppo piccoli per reggerla. Eccoli qui i “piccoli uomini”. Ecco il dilemma: ci accontentiamo della compassione? Ci basta forse il giudizio? O preferiamo, di fronte alla crudeltà tutta, essere in grado di raccoglierci, prenderci in mano frammentati, per riuscire a ricomporre qualcosa?
Chiara Guglielmina