EDITO
Fa acqua da tutte le parti*
*ma noi ci sciamo sopra lo stesso
Quando immagino di avere un figlio, proprio come mio padre fece con me, me l’immagino all’età di due anni, nello stesso prato inclinato, sotto gli stessi faggi, a muovere i primi passi sugli sci. Sono anni che non vedo una spolverata di neve su quell’erba.
Fu per primo mio nonno, che per insegnare a sciare a mio padre, costruì lì una manovia lunga appena quaranta o cinquanta metri. Pochi, ma sufficienti allo scopo. Che poi era quello di imparare divertendosi. Oggi la manovia non c’è più e quando mi capita di passeggiare tra quelle piante sento tutto il passaggio di una generazione, lo scorrere del tempo e il potere di qualcosa che non avrò la fortuna di trasmettere a Guglielmo, o a Bianca (Sì, si chiameranno così i miei figli.)
È già dall’inizio degli anni della pandemia che ho la malsana idea di andare in solaio, recuperare un paio di vecchie pelli di foca e tagliarle a misura di bambino. Nel mio caso, peraltro, non avrei poi molto materiale di scarto. L’idea è buona, comunque. Il problema rimangono gli attacchi, gli scarponi adatti ai pin, e i genitori. Insomma, dovrei trovare una cavia di un paio d’anni, massimo tre, con mamma consenziente. E io ho finito i cugini. (Nel senso che sono tutti cresciuti e hanno seguito le orme di famiglia, quelle dello sci alpino.)
Nascerà, ne sono sicura, una propedeutica rivolta a questa nuova tendenza. Che poi a me, più che una “tendenza”, sembra una vera e propria premonizione. Una visione del nostro futuro sulla neve. Ancora ieri ho letto un articolo che ha rovinato la mia doccia calda. Prima di tutto perché mi sono sentita in colpa e ho ulteriormente accorciato i miei tempi di permanenza sotto il soffione, che già non sforavano i 120/180 secondi per via della crisi idrica, in secondo luogo perché ho letto che già dal 2036, secondo le stime, a Cortina non sarà più possibile sciare. La causa? La neve troppo bagnata.
Le temperature sempre più elevate, unite alla carenza energetica, porteranno come risultato la fine delle stagioni invernali in Dolomiti, almeno così come le intendiamo oggi. E non solo lì. Mentre mi insapono al freddo, acqua chiusa e scaldabagno spento, immagino una marea di scialpinisti, con nuove super scioline, capaci di far scorrere qualsiasi soletta, su qualsiasi tipo di neve. Perché io non lo so accettare un mondo senza sci. E credo profondamente nella capacità di adattamento dell’essere umano. Vedo sciatori abbandonare le consuetudini della tecnica classica, schiaffarsi indietro per tutto l’arco di curva poggiando il peso del corpo sui polpacci, contro il gambaletto. Baricentro arretrato per migliorare il galleggiamento e solcare le acque come eroi epici o antiche divinità.
Mio nonno, comunque, ha 87 anni. Mio padre 58. L’acqua nella doccia è ancora chiusa e il freddo, a me che sono una schiappa in matematica, rende ancora più difficili i calcoli. Ma mi pare che il nonno, nel 2036, dovrebbe avere 101 anni, papà 72. Ora, per quanto io conosca bene tutta la faccenda della crescita dell’aspettativa di vita, sono anche realista e vedo in mio nonno, a cui devo più di quanto crede, tante sofferenze, già oggi. È strano, ma provo un dolce e amaro sollievo all’idea che la visione di una montagna senza neve gli venga risparmiata. Che quei suoi faggi imbiancati rimarranno il suo ricordo. E ne sono felice.
Una montagna che piange, che fa acqua da tutte le parti, è invece quello che spetta noi. Ma ripeto, “lo sciare” cambierà, e noi con lui. È la storia più antica del mondo. È, semplicemente, la storia degli uomini. Mio padre ha imparato a sciare con lunghe assi di legno senza sciancratura, buttando le anche da una parte all’altra sculettando come una modella di Victoria’s Secret in passerella. (E già così sciava forte.) Quando intorno alla seconda metà degli anni ’90 sono usciti i primi sci carving, con sciancrature decisamente più importanti, ha passato interi fine settimana allo skilift del campo scuola, da solo, con le mani sulle ginocchia per imparare a condurre, “a piegare” come dice lui. Insomma, magari farà un po’ più di fatica, ma io ce lo vedo anche a 72 anni, col peso sulle code e pronto a planare su piste fradicie e cosparse di pozzanghere. Alla peggio, dovesse riuscirgli difficile, lo aiuteranno Bianca e Guglielmo.
Riapro l’acqua e aspetto che il caldo porti via il sapone da me. Osservo le gocce colarmi sul corpo e ci vedo le piste di Cortina, di Innsbruck, di Garmisch-Partenkirchen, di St. Moritz e del Monte Rosa. Con un dito disegno ipotetiche traiettorie tra i miei nei, su e giù tra le mie forme, e riesco a vedere, tra tutta quell’acqua, una Nuova Era di sciatori. E vedo tutta la capacità di adattamento degli esseri umani. Tutta la forza di andare avanti. Sempre.
(Appena finisco la doccia, comunque, vado in solaio a tagliare le pelli.)