EDITO
«Ma, insomma, se sapessero solo cos’han fatto le donne!» questa frase è stata raccolta dalle storiche Anna Maria Bruzzone e Rachele Farina nel loro saggio La Resistenza taciuta, in cui hanno raccolto le testimonianze di 12 partigiane piemontesi, protagoniste di un tassello fondamentale della nostra storia a cui è sempre toccato un ruolo di subalternità e mai di protagonismo. Staffette, combattenti, madri e mogli di partigiani: le donne che combatterono attivamente nelle montagne italiane durante il periodo della Resistenza si stima siano state oltre 35 mila, eppure solo a trenta di loro toccò una medaglia al valore. Anno dopo anno, il 25 aprile si alza il numero delle commemorazioni in cui si fa diretto riferimento al ruolo delle donne alla lotta partigiana, ma la narrazione che riguarda il genere femminile, quando si tratta di riconoscere imprese che l’immaginario collettivo vuole come appannaggio del maschio-esploratore, o del maschio-guerriero, è tuttora problematica. Se le donne che attivamente combatterono, le “madri della montagna” che preparavano viveri e indumenti e le staffette furono escluse dalle sfilate dei partigiani all’indomani della Liberazione, non c’è da stupirsi che ancora oggi l’argomento delle imprese femminili sia, quando non divisivo, maneggiato in modo maldestro.
Quando si tratta di riconoscere a una donna qualcosa che storicamente siamo abituati a percepire come maschile c’è spesso una fastidiosa nota di stupore, un sottotesto che lascia intendere che il fatto che ci sia riuscita è già di per sé qualcosa di sbalorditivo perché insomma, è una donna. Molti studi hanno ormai dimostrato come nell’alpinismo e nell’arrampicata la differenza fisica tra uomini e donne sia minima, ma nonostante questo le donne nell’ambiente outdoor fanno ancora fatica ad essere prese seriamente. In questo numero, che per altro è scritto, fotografato, tradotto e pensato in larga parte da donne, troverete molte storie di ragazze che vi racconteranno attraverso la loro esperienza quanto a volte possa essere, o essere stato, frustrante essere considerata non all’altezza a prescindere, o raccontata solo in quanto “madre alpinista”. Ancora: donne che si sono spese in prima persona per combattere regimi strettamente patriarcali attraverso lo sport e l’attività outdoor. La parità di genere è ancora lontana dall’essere raggiunta: per farlo servono azioni concrete da parte soprattutto delle istituzioni, ma è importante non sottovalutare il tema della rappresentazione, che nel caso delle ragazze che frequentano la montagna, stenta ancora ad essere egualitaria.
Ilaria Chiavacci