EDITO
Di recente un caro amico, il cui parere vale moltissimo, mi ha accusato di avere una voce triste nelle mie ultime parole. Scegliere di vedere le cose per quello che sono, caro D, senza nascondere la testa sotto la sabbia, significa essere realisti, non pessimisti. Io credo nel futuro. Credo nella forza della mia generazione e in quella speranza appena nata cantata da Guccini in “Dio è morto”. Perché come lui anche io credo che “Se Dio muore, è per tre giorni poi risorge.”
Ti lascio l’ultima lettera scritta da Dheli a un altro caro amico, M. Sperando tu voglia pubblicare questo spunto di riflessione che tanto ha a che vedere con la voglia di cambiare e migliorare e poco con la tristezza.
“Da questo mio ultimo viaggio in Oriente, il terzo nel giro di un paio d’anni, torno provata. Solo se esistesse la macchina del tempo, potremmo definirci ancora “viaggiatori”? Pare che ogni cosa sia inquinata e l’aria, forse, non è poi il peggiore dei mali. Ho visitato il Monastero di Lamayuru, costruito in alto, in pietra dipinta di bianco e legno resistente. Un parallelepipedo bianco e lucente, arroccato su terra friabile, sovrasta una conca crepata sul fondo da un fiume di fango. Se non fosse per quell’orrenda linea catrame che segue, laggiù, l’acqua torbida. O se non fossi stata accolta da un monaco svogliato, con cappellino Nike in testa, chiavi Suzuki in mano, e Apple Watch al polso. Se avessero mantenuto i sandali invece delle Crocs. O se piuttosto noi tutti, fossimo ancora capaci di camminare scalzi nel mondo, forse trovare risposta a quel “perché esistere” parrebbe più facile. Quando mi manca il fiato mi ripeto: “ricordati di respirare”. È un mio mantra e spesso mi porta a cercare posti sopraelevati. No, nessun bisogno di conquista, è che in alto mi sembra di respirare meglio, e vedere più lontano. Su questa sottile cresta di scaglie di pietra, un chörten sommerso da bandierine colorate è il mio rifugio. Quei panni sbrindellati, ammassati come ogni cosa in India, mi battono in viso. Sono schiaffi, non carezze. Ne afferro uno, non sono un’esperta ma sono certamente tenuti insieme da fibre di poliestere. Plastica. Non voglio pensarlo, mi forzo a non farlo, ma mi sembra un’altra bella scusa per inquinare, questa della fede. Il buddismo, tuttavia, è ben più anziano dei derivati del petrolio. Immagino quelle stesse preghiere dipinte su panni in cotone, l’immagine del monaco di poco fa, che scrolla il feed di Facebook mentre mi timbra il ticket d’ingresso, mi rende difficile ogni immaginazione, ma io non mi arrendo.”
E vedo luminosa, seppur difficile, la traccia da percorrere. Non è poi questo, l’andare in montagna?
Chiara Guglielmina