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The Pill Outdoor Journal 59

Siamo motivatissimi di presentarvi The Pill Outdoor Journal 59, numero ricco di storie sotto zero ad alta quota. Un volume che racconta del rapporto tra famiglia e natura, tra agonismo e vulnerabilità, tra mare e montagna, tra IA e realtà. In copertina una foto di Maurizio Marassi scattata in un viaggio in Groenlandia, storia che Maurizio ha deciso di raccontare in esclusiva su The Pill.

Per averl0? 1332 Outdoor Store, 510 Hotels e sul nostro shop online. 🌲❤️

Disponibile in versione italiana ed inglese. Spedizione inclusa.

Siamo motivatissimi di presentarvi The Pill Outdoor Journal 59, numero ricco di storie sotto zero ad alta quota. Un volume che racconta del rapporto tra famiglia e natura, tra agonismo e vulnerabilità, tra mare e montagna, tra IA e realtà. In copertina una foto di Maurizio Marassi scattata in un viaggio in Groenlandia, storia che Maurizio ha deciso di raccontare in esclusiva su The Pill.

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Disponibile in versione italiana ed inglese. Spedizione inclusa.

L’eco ansia non è un lusso per pochi

Sono sempre più numerose le storie di persone che soffrono di eco ansia, ovvero l’angoscia che nasce dal constatare che il mondo sta andando a rotoli. Tra i tanti aneddoti sul tema, parto da una singolare testimonianza riportata in un articolo del New York Times. Alina Black, 37enne di Portland, racconta di venir assalita da angoscia e senso di colpa a ogni cambio pannolino del suo bebè, consapevole che quel gesto quotidiano contribuisce all’inquinamento del pianeta e alla crisi climatica. Al mattino, dopo aver allattato, Alina cade in un buco nero, affondata dalle notizie su siccità, incendi ed estinzioni di massa.

Lo spunto di riflessione l’ho avuto qualche settimana dopo, imbattendomi in un reportage sul ciclone Idai, la tempesta tropicale che nel marzo 2019 ha colpito l’Africa centro-orientale causando gravi inondazioni in Malawi, Zimbabwe e Mozambico. Le donne di quel documentario, non solo non avevano mai avuto pannolini da buttare (e per i quali chiedere perdono al mondo), ma vivevano in uno stato di perenne allerta e devastazione. È qui che mi sono chiesto: ma quelle donne, provano la stessa preoccupazione per il futuro del pianeta provata da Alina Black? Chi è già pesantemente colpito dalla crisi climatica ha tempo e modo di soffermarsi sulle proprie sensazioni? O sopravvivere è già di per sé talmente impegnativo da non lasciare spazio alle inquietudini interiori?

Le risposte le ho trovate su diversi articoli di approfondimento, tutti concordi nell’affermare che l’eco ansia non è un lusso occidentale. Che la salute mentale non è appannaggio esclusivo di coloro che vivono nei paesi sviluppati del Nord globale. Chiunque, indipendentemente dal suo status, riesce chiaramente a comprendere come l’ambiente impatti sulla salute. Tuttavia, come inevitabile che sia, nei paesi che dispongono di risorse inferiori, la cura delle malattie fisiche finisce per essere la priorità più urgente.

A volte, per combattere l’ansia climatica, viene suggerito alle persone di fare meditazione, costruire resilienza, creare spazi in cui condividere i propri sentimenti. O perché no, passare all’azione. Ristabilire un contatto con la natura è un altro dei suggerimenti che viene dato a chi soffre di ansia climatica. Ma questa strategia, per quelle popolazioni che da sempre vivono un rapporto ancestrale e di simbiosi con la Terra, non ha molto senso. “La soluzione all’eco ansia in questi paesi è un maggiore sostegno per aiutare le popolazioni a superare e gestire le crisi climatiche che devono affrontare. Le popolazioni ricche devono agire per ridurre la loro impronta di carbonio e fornire sostegno ai paesi a basso reddito, in modo che possano superare i disastri climatici, compensando in parte questa enorme ingiustizia” afferma la professoressa Mala Rao.

Alla fine di queste letture, quello che ho capito è che tutti soffriamo in egual modo. Ciò che cambia è l’assistenza alla quale abbiamo accesso e il margine di azione per invertire la rotta. La povertà estrema e la vulnerabilità, sono elementi che necessariamente finiscono per avere priorità nella scala delle preoccupazioni, ma sono anche quelle più facilmente visibili e sanabili. Vivere nel Nord del mondo, con tutti i privilegi annessi, non fa delle nostre ansie qualcosa di irrilevante. La soluzione, però, non sta solo nelle buone azioni quotidiane che ci fanno sentire in pace con noi stessi, ma nell’esigere dai nostri governi risposte appropriate alla gravità della situazione. Un’attenzione che sia istituzionale, collettiva e globale, così come la catastrofe che stiamo vivendo.

Davide Fioraso

L’eco ansia non è un lusso per pochi

Sono sempre più numerose le storie di persone che soffrono di eco ansia, ovvero l’angoscia che nasce dal constatare che il mondo sta andando a rotoli. Tra i tanti aneddoti sul tema, parto da una singolare testimonianza riportata in un articolo del New York Times. Alina Black, 37enne di Portland, racconta di venir assalita da angoscia e senso di colpa a ogni cambio pannolino del suo bebè, consapevole che quel gesto quotidiano contribuisce all’inquinamento del pianeta e alla crisi climatica. Al mattino, dopo aver allattato, Alina cade in un buco nero, affondata dalle notizie su siccità, incendi ed estinzioni di massa.

Lo spunto di riflessione l’ho avuto qualche settimana dopo, imbattendomi in un reportage sul ciclone Idai, la tempesta tropicale che nel marzo 2019 ha colpito l’Africa centro-orientale causando gravi inondazioni in Malawi, Zimbabwe e Mozambico. Le donne di quel documentario, non solo non avevano mai avuto pannolini da buttare (e per i quali chiedere perdono al mondo), ma vivevano in uno stato di perenne allerta e devastazione. È qui che mi sono chiesto: ma quelle donne, provano la stessa preoccupazione per il futuro del pianeta provata da Alina Black? Chi è già pesantemente colpito dalla crisi climatica ha tempo e modo di soffermarsi sulle proprie sensazioni? O sopravvivere è già di per sé talmente impegnativo da non lasciare spazio alle inquietudini interiori?

Le risposte le ho trovate su diversi articoli di approfondimento, tutti concordi nell’affermare che l’eco ansia non è un lusso occidentale. Che la salute mentale non è appannaggio esclusivo di coloro che vivono nei paesi sviluppati del Nord globale. Chiunque, indipendentemente dal suo status, riesce chiaramente a comprendere come l’ambiente impatti sulla salute. Tuttavia, come inevitabile che sia, nei paesi che dispongono di risorse inferiori, la cura delle malattie fisiche finisce per essere la priorità più urgente.

A volte, per combattere l’ansia climatica, viene suggerito alle persone di fare meditazione, costruire resilienza, creare spazi in cui condividere i propri sentimenti. O perché no, passare all’azione. Ristabilire un contatto con la natura è un altro dei suggerimenti che viene dato a chi soffre di ansia climatica. Ma questa strategia, per quelle popolazioni che da sempre vivono un rapporto ancestrale e di simbiosi con la Terra, non ha molto senso. “La soluzione all’eco ansia in questi paesi è un maggiore sostegno per aiutare le popolazioni a superare e gestire le crisi climatiche che devono affrontare. Le popolazioni ricche devono agire per ridurre la loro impronta di carbonio e fornire sostegno ai paesi a basso reddito, in modo che possano superare i disastri climatici, compensando in parte questa enorme ingiustizia” afferma la professoressa Mala Rao.

Alla fine di queste letture, quello che ho capito è che tutti soffriamo in egual modo. Ciò che cambia è l’assistenza alla quale abbiamo accesso e il margine di azione per invertire la rotta. La povertà estrema e la vulnerabilità, sono elementi che necessariamente finiscono per avere priorità nella scala delle preoccupazioni, ma sono anche quelle più facilmente visibili e sanabili. Vivere nel Nord del mondo, con tutti i privilegi annessi, non fa delle nostre ansie qualcosa di irrilevante. La soluzione, però, non sta solo nelle buone azioni quotidiane che ci fanno sentire in pace con noi stessi, ma nell’esigere dai nostri governi risposte appropriate alla gravità della situazione. Un’attenzione che sia istituzionale, collettiva e globale, così come la catastrofe che stiamo vivendo.

Davide Fioraso

Greenland, a wild thing!
Oltre ad essere una meta per lo skialp, il fotografo Maurizio Marassi ci dimostra che la Groenlandia è anche un set perfetto e un posto ospitale malgrado ghiaccio, orsi bianchi e temperature sotto lo zero.

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The King of Lastè
Daniele Felicetti vive a Forno di Moena, in Val di Fiemme. È un atleta, di quelli veri. Di quelli che curano ogni dettaglio della propria vita in favore della sua performance sportiva.

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Daniele Felicetti vive a Forno di Moena, in Val di Fiemme. È un atleta, di quelli veri. Di quelli che curano ogni dettaglio della propria vita in favore della sua performance sportiva.

Iceland Ice Climbing
Cinque amici accidentalmente compongono la crew perfetta: due climber, un fotografo, un videomaker e un producer hanno dato vita a un viaggio-spedizione in Islanda.

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Pain without gain, Henri Aymonod
Il chilometro verticale è il tipo di corsa meno cool del mondo, con dolore senza ricompensa. Per questo è il più affascinante, lo dimostrano le foto di Henri Aymonod in gara. Faccia distrutta, muscoli in fiamme e un unico obiettivo: macinare metri e metri di dislivello.

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Il chilometro verticale è il tipo di corsa meno cool del mondo, con dolore senza ricompensa. Per questo è il più affascinante, lo dimostrano le foto di Henri Aymonod in gara. Faccia distrutta, muscoli in fiamme e un unico obiettivo: macinare metri e metri di dislivello.

Disagio e ravanage nell’artico
In teoria non è molto saggio partire per un luogo come le Lyngen Alps con il crociato rotto. Tuttavia, un infortunio del genere non disturba Marta Manzoni che, ovviamente, parte lo stesso.

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In teoria non è molto saggio partire per un luogo come le Lyngen Alps con il crociato rotto. Tuttavia, un infortunio del genere non disturba Marta Manzoni che, ovviamente, parte lo stesso.

The equator and the ice
L’equilibrio precario dei sette ghiacciai tropicali in Ecuador si sta per incrinare in maniera irreversibile: salvarlo è diventata la missione, fotografica e di vita, di Andrés Molestina e Anna Nicole Arteaga.

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Prendersi il mondo, ovunque sia
Anders Møller Vestergård ha circa quattro ore a disposizione per scattare Eivind Wergeland Jacobsen che disegna i suoi sogni sulla neve. Un’unica, lunga, golden hour, prima che il buio si mangi di nuovo tutto.

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The high life
Sarah Cartier gestisce uno dei rifugi più impervi d’Europa e lo fa in compagnia dei suoi due figli: Armand, di tre anni, e Camille, di 10 mesi. Patagonia le ha dedicato un documentario.

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Invisible Ground: a snowboard film about vulnerability
“Che sensazione incredibile. Scivolare, volare sulla neve fresca e profonda. Chiunque l’abbia provato, sa cosa intendo. Quando tutto va bene. Ma se va male?”

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“Che sensazione incredibile. Scivolare, volare sulla neve fresca e profonda. Chiunque l’abbia provato, sa cosa intendo. Quando tutto va bene. Ma se va male?”

Paolo, il protettore dei fondali
Pescatore, figlio di pescatori e nipote di pescatori: Paolo Fanciulli ha fatto della sua professione anche una missione, quella di salvaguardare l’ecosistema marino dalla pesca a strascico industriale.

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Pescatore, figlio di pescatori e nipote di pescatori: Paolo Fanciulli ha fatto della sua professione anche una missione, quella di salvaguardare l’ecosistema marino dalla pesca a strascico industriale.

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