EDITO
Cambiamenti e inquietudine
L’autunno è una stagione di attesa, di preparazione, di nostalgia. In mattine come queste la foschia densa e ovattata inizia ad invadere le vallate. Ma basta salire qualche centinaio di metri per godere di infinite sfumature; è da qui che il profilo pallido dei monti si staglia contro il giallo dei larici, che in questo periodo svelano tutta quella vanità repressa.
Ma l’autunno, ormai da anni, irrompe portando con sé una serie di innegabili quesiti. Incertezze e angosce legate alla stagione che verrà, al futuro di un’industria che ci vede inevitabilmente coinvolti. Come media e come appassionati. La pista da fondo di Livigno è l’immagine più nitida di quest’autunno mascherato d’estate. Il freddo non arriva, i fiocchi men che meno, e noi, con gli occhi chiusi, cerchiamo nel presente un passato che sembra lontanissimo. Ripercussioni inevitabili su un intero comparto, compreso quello agonistico dello sci alpino, dove la Coppa del Mondo ha dovuto annunciare l’annullamento delle gare di Sölden prima, di Zermatt poi. In tanti ora iniziano a chiedersi quale sia il futuro della disciplina, a partire dall’argento olimpico Johan Clarey che ha parlato di una “manifestazione senza senso e contro ogni logica ambientale” per il consueto tentativo di forzare le montagne e renderle sciabili a tutti i costi. Agiamo in un contesto totalmente dipendente dalle nevicate, ma l’aumento delle temperature è una realtà palese. C’è stato un tempo in cui era possibile godersi qualche curva anche in estate, tra i panorami dello Stelvio, di Cervinia, del Presena. Oggi immensi teli bianchi avvolgono questi luoghi per metterli al sicuro, come si fa con i figli la sera. L’autunno per me voleva dire Senales, Mölltaler, Stubai, ma la distanza è così lontana che faccio addirittura fatica a mettere a fuoco i ricordi.
Oggi le montagne sono a un bivio: continuare ad applicare modelli di crescita e di consumo o cogliere l’occasione per un cambiamento, una riconversione rispetto a quello che si è imposto negli ultimi cinquant’anni. Ma per questa seconda opzione ci vuole uno sforzo iniziale. Solo allora la montagna potrà essere una grande scuola e insegnare prima di tutto quel “senso del limite” connaturato nella cultura alpina: sfruttare solo gli interessi e lasciare intatto il capitale naturale, ma anche immaginare grandi idee con le risorse che si hanno. «La sfida che attende la classe dirigente attuale è immaginare un futuro che tenga in considerazione fattori per nulla marginali, come il cambiamento climatico, la crisi economica e quella energetica, senza dimenticare i cambiamenti sociali e un mercato del lavoro che deve far fronte alle crescenti aspettative di qualità della vita. Chi saprà gestire e investire nel cambiamento, probabilmente avrà buone probabilità di successo. Da dove cominciare? Instaurando un dialogo costruttivo e trasparente, con l’obbiettivo di condividere e discutere proposte e idee».
Propositi e considerazioni che riguardano anche il mercato a cui la nostra guida si rivolge, fatto di aziende che nelle scorse stagioni hanno dovuto fronteggiare una situazione così drammatica come quella del Covid. Mai come lo scorso inverno, splitboarding e backcountry sono stati al centro dell’interesse. E continueranno ad esserlo, in concomitanza con una coscienza collettiva che andrà via via incrementando, sia da parte dei singoli che delle aziende, producendo una mobilitazione generale verso una visione più responsabile, grazie alla capacità di sfruttare nuove strategie e aprendo prospettive inedite.
E non c’è da meravigliarsi che a Livigno abbiano deciso di spalmare la neve nonostante le temperature, perché se i cambiamenti inquietano, l’idea di rifugiarsi in situazioni familiari conforta. Ma prima o poi bisognerebbe vincere queste paure e affrontare la realtà, altrimenti ci troveremo a bere granite siciliane in dicembre, sperando di trovare l’acqua per farle.
Davide Fioraso
