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Turn of Mind

By Luca Albrisi

Photo Aaron Schwartz

Il cambio di prospettiva è la chiave per tracciare una nuova linea.

Il bello delle curve è che non arriverai mai a farne una perfetta.

Ti ci puoi avvicinare, certo, ma mai arriverai alla consapevolezza dell’assoluta perfezione.

Eppure, più continui a fare curve – più continui a cercare posti speciali dove fare curve – più ti rendi conto che la tua evoluzione tecnica, e spirituale, sta proprio in quella ricerca. Che la tua estasi coincide con quell’avvicinarsi al momento di perfezione in cui tutto il tuo corpo e tutta la tua mente, diventano curva.

Per qualche istante puoi prevaricare la tua identità di soggetto e varcare le barriere individuali, fondendoti in qualcosa che è contemporaneamente te, e al di fuori di te.

Un vero cambio di prospettiva presuppone questo diventare altro e riuscire, anche solo per pochi istanti, ad avere un punto di vista completamente estraniato da ciò che è, solitamente, la percezione di noi stessi.

Ci sono diversi modi per stimolare questo processo. Viaggiare, dedicarsi alla creatività, ma anche confrontarsi a mente aperta con chi ha convinzioni diverse dalle nostre. Gli stimoli esterni però non bastano, dobbiamo prima di tutto predisporre noi stessi ad abbracciare il cambio di prospettiva.

 

Quando Nicholas Wolken mi ha descritto il progetto video di Turn of Mind invitandomi a partecipare, ho intuito fin da subito che si sarebbe trattato di una grande occasione per poter vivere un’esperienza di “contaminazione” che spaziasse dal riding alla condivisione di idee e teorie in grado di generare nuove prospettive.

D’altronde i presupposti c’erano tutti: tre splitboarder attivi sul lato ambientalista ma con formazioni completamente diverse – Nicholas psicologo, io filosofo e James scienziato ambientale  – le nostre split, un paio di slitte cariche di cibo e una baita nel bel mezzo del nulla circondata solo da montagne magnifiche.

L’idea era quella di raggiungere il nostro rifugio e prenderci qualche giorno per parlare di teorie ambientali, visioni del mondo, possibili azioni concrete e, ovviamente, snowboard, linee e stile.

Dopotutto credo che la crisi ambientale attuale debba essere affrontata  un po’ come il nostro viaggio.

La soluzione di approccio dovrà essere infatti affrontata da persone “di azione” ma dalle diverse competenze e formazioni. Pensare di percorrere solo la strada scientifica o solo quella umanistica non credo possa portare a risultati reali.

Se vogliamo essere in grado di costruire un futuro capace di abbandonare il sentiero attuale per tracciare linee migliori, dovremo essere in grado di fondere le nostre diverse competenze e i nostri diversi approcci così da permetterci di innescare quel gigantesco e profondo cambio di prospettiva, riguardo noi stessi e il nostro rapporto con il mondo, senza il quale non avremo futuro.

 

La cosa curiosa di questo viaggio è stato accorgersi di come i nostri percorsi apparentemente così diversi portassero spesso a conclusioni simili tra loro. Come a dimostrare che le differenza di stili non possono che valorizzare la particolarissima natura umana.

In fondo alcuni preferiscono una split, altri uno snowboard solido, alcuni sci larghi mentre altri ancora amano stuzzicadenti in carbonio. Ma tutte, in fondo, sono persone che hanno nella propria natura una profonda passione per scivolare giù da delle montagne.

Quello che cambia è solo la prospettiva con cui vediamo queste differenze. Da vicino sono più evidenti ma da un punto di vista più globale, siamo tutti parte di un’unica realtà.

In modo molto simile dobbiamo renderci conto – come donne e uomini – di appartenere a un sistema molto più esteso del nostro “semplice” essere umani e provare a destituirci da quella posizione di centralità che ci siamo auto-conferiti.

Credo che questo sia il cambio di prospettiva centrale della nostra esistenza e la nostra vera sfida per il futuro.

Ho sempre avuto un approccio molto filosofico all’outdoor e, partendo dalle tesi di Arne Naess e della Deep Ecology, sono sempre stato convinto che questo potesse essere uno strumento in grado di riavvicinarci ad una visione biocentrica del mondo, secondo la quale qualunque essere vivente possiede pieno diritto alla propria realizzazione.

Questo viaggio ha però aggiunto altri punti di vista alla mia visione dimostrandomi come altre strade completamente diverse dalla mia – come per esempio quella psicologica che sta tracciando Nicholas – portino a conclusioni molto simili su come un nostro riavvicinamento alla realtà naturale (e un nostro riconoscerci come parte di essa) non solo ci possa giovare ma sia necessario alla nostra sopravvivenza rappresentando l’unico modo per perseguire una nostra esistenza sostenibile su questo pianeta.

È l’incrociarsi di tutte queste tracce che ci porta a considerare centrale l’esperienza in natura, proprio perché rappresenta una chiave per raggiungere quel riavvicinamento.

Che si tratti di andare in split, con degli sci o semplicemente a piedi, abbiamo bisogno di seguire e disegnare la nostra traccia per arrivare a quel profondo cambio di prospettiva che ci permetta di ri-pensarci come parte di quell’ambiente nel quale amiamo scivolare e disegnare le nostre linee in armonia con il tutto.

Ma se davvero riconosciamo il profondo valore di queste nostre esperienze dobbiamo essere pronti a fare qualche passo in più. Dobbiamo essere pronti a batterci in difesa di questi spazi.

E non perché siano fondamentali per la pratica delle nostre attività ma per l’importanza che hanno di per sé.

Non perché abbiano un valore economico, ma piuttosto perché tramite essi possiamo giungere a quel Turn of Mind che ci permette di riconoscere noi stessi.

Perché in fondo – cambiando prospettiva – questi luoghi non sono altro che noi e noi, non siamo altro che questi stessi luoghi.

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