Image Alt

Un nuovo mattino: in memoria di Adriano Trombetta

By Matteo Pavana, Federica Mingolla & Marzio Nardi

Photo Matteo Pavana

Federica Mingolla è arrampicatrice italiana di livello nazionale e internazionale.
 Marzio Nardi è considerato uno dei pionieri del boulder in Italia.
 Assieme raccontano, nel nuovo video promosso da La Sportiva, gli ultimi anni condivisi assieme ad un’altra persona, Adriano Trombetta, guida alpina e amico, scomparso in una valanga. Questa è la loro storia, una storia che merita di essere raccontata.

Per raccontare una storia è necessario che quella ci appartenga.

E perché ci appartenga una storia, affinché quella storia sia vera, dobbiamo averla vissuta. Dobbiamo essere stati lì, in quel momento, non ci sono scuse. Non basta aver letto libri, visto fotografie né tantomeno video su Youtube.
Quando mi viene chiesto di raccontare una storia obbligo me stesso a non pensare a tutto questo, a costruire una macchina del tempo e ad immergermi in un passato non mio. Voglio essere trasportato lì dove non ero, per ricostruire.

Questa è la storia di Federica, ma anche la storia di Marzio e di Adriano. È una storia che nasce, cresce e si consuma in Valle dell’Orco, tra i massi e le pareti di Ceresole Reale.

“La Valle dell’Orco è dove tutto è iniziato. Fin dalla mia prima visita ho subito provato un’energia inspiegabile, una forza che ancora oggi mi stimola a esplorare i miei limiti e a sognare l’altrove, lo sconosciuto. La Valle dell’Orco, a dispetto del nome, è un vero e proprio paradiso di granito per l’arrampicata, una corona di splendide montagne, una colata di massicci selvaggi che di stagione in stagione si trasformano con colori e profumi inediti. È il luogo dove sono stata accolta e forgiata come “alpinista”, dopo un passato contraddistinto da gare su muri artificiali e giornate spese alla ricerca del grado in falesia. La mia personalità ha iniziato a farsi strada ed a crescere in un ambiente ignoto, accumulando esperienze che mi hanno resa la persona che sono oggi. In questo posto, ora posso dirlo, è come se ci fosse cresciuta la mia parte più importante. Infatti la Valle dell’Orco è tuttora per me un giro di persone senza le quali tutto sarebbe diverso, un qualcosa di diverso privo di significati profondi. 

Ero ancora liceale quando ho messo per la prima volta il piede al Bside di Torino. Allora infatti mi allenavo in Sasp, esattamente nel lato opposto della città.

Quel giorno ho conosciuto Marzio Nardi. Mi ha fatto subito una bella impressione: simpaticissimo, disponibile e modesto. Ho scoperto solo in seguito che era anche un fortissimo climber. A me piaceva guardarlo danzare appeso, elegante e leggerissimo, come se i piedi non toccassero gli appigli. Non ci volle poi molto perché diventasse un mio punto di riferimento ed un ottimo stimolo per andare ad allenarmi nella sua palestra.

Adriano Trombetta, detto il Tromba, invece ha fatto la sua prima comparsa subito dopo che iniziai a conoscere meglio Marzio. In quel periodo proprio Marzio stava lanciando un nuovo brand di abbigliamento e mi chiese di entrarne a far parte in qualità di ambassador. È stato così che sono diventata atleta Rock Slave, avendo l’opportunità di scalare spesso assieme a loro. Marzio e Adriano furono le menti dei primi cosiddetti XP (experience = avventura) targati Rock Slave, dei veri e propri viaggi esplorativi d’arrampicata nei luoghi meno conosciuti e con più potenziale del Bel Paese. Il primo di questi è stato nel Vallone di Unghiasse, in Val di Lanzo, luogo in cui ho finalmente potuto approfondire la mia amicizia con Adriano.

Mi ricordo bene quel nostro primo incontro: lui si è avvicinato gioioso, abbracciandomi e invitandomi a seguirlo per provare una linea che era ancora da scalare in libera, dicendomi che non vedeva l’ora di vedermi in azione perché i racconti di Marzio su di me lo avevano incuriosito. Era tutto contento di farmi sicura mentre provavo e riprovavo con la corda dall’alto quello che divenne per me il progetto dell’XP. Fu il battesimo del fuoco: un highball di 15 metri con una sola protezione nel mezzo. La linea era una legnata nei denti. Per ovvi motivi l’ho battezzata “Una volta e forse mai più”. Ovviamente non avevo la minima idea del rischio che avevo corso nello scalare una linea del genere, ma con la motivazione che fin da subito Adriano mi aveva trasmesso sono riuscita, forse per la prima volta nella mia vita, a staccare la testa ed a scalare leggera, senza pensieri.

Dopo quell’esperienza ho capito che il Tromba sarebbe diventato un punto di riferimento nella mia vita, era una di quelle persone che la vita riusciva a stravolgertela. Il rapporto con Adriano fin da quel primo momento mi è sembrato consolidato, per me era stato come rincontrare un amico di vecchia data.

Un aneddoto divertente e che ricordo con piacere è quando proprio Adriano si inventò : “I cinque modi per uccidere la Ming”, ovvero una serie di salite caratterizzate dal fatto di essere tutte molto difficili e pericolose e su cui lui avrebbe voluto vedermi in azione. Dopo aver fallito miseramente sulla prima di queste cinque salite in lista (uscendone fortunatamente solo con un insaccamento alla schiena che mi portai avanti per più di un mes) decisi di lasciar perdere e pensai che stavolta Adri l’aveva sparata grossa. In conclusione, non proprio tutte le sue idee erano lungimiranti. Con un maestro come Adriano sarebbe impossibile raccontare una storia normale, perché di fatto lui non lo era, e a me lui piaceva proprio per questo: la sua libertà d’animo. È proprio su Adriano che si concentra questa storia, è il viaggio di un’amicizia nata per caso tra le rocce, fatta di sogni e di battaglie che si sono consumati nel giro di pochi ed intensi anni che conservo nella mia memoria. Infatti per me l’arrampicata va al di là di estenuanti allenamenti e di prestazioni della madonna, una cosa che prima di conoscere Adriano non avevo per niente compreso, ma è prima di tutto avventura e un modo di vivere la montagna.

“A me piaceva guardarlo danzare sugli appigli, elegante e leggerissimo, come se i piedi non li toccassero nemmeno. Non ci volle poi molto perché diventasse un mio punto di riferimento.”

Nei tre anni successivi sono diventata la sua compagna di giochi, la sua “pedina” preferita. Io dal canto mio ne ero lusingata, perché Adriano era unico in tutti i sensi, un vero maestro e compagno di avventure. Mi portava a provare i suoi progetti incompiuti o mi incitava a provare vie che a parer mio erano al di sopra delle mie possibilità, insegnandomi l’arte e la passione dell’andare in montagna. In poche parole lui credeva in me come nessun altro aveva mai fatto prima. Ripensandoci mi rendo conto di aver compiuto certe salite più per lui che per me, perché sapevo che ci credeva veramente. Contemporaneamente volevo vedere i suoi occhi riempirsi di soddisfazione e di orgoglio, perché di fatto io da sola non ero in grado di credere nelle mie potenzialità.

Adriano è stato un mentore, una fonte d’ispirazione, un amico insostituibile, un folle che mi ha spinta a dare il tutto per tutto. Ma era anche un uomo di cultura, un ottimo cuoco e tanto altro ancora. Non esistono abbastanza parole per descrivere un’amicizia sana e genuina come quella che ci ha unito. 

Adriano è morto il 17 febbraio 2017 in una valanga. Quando se n’è andato ha lasciato un vuoto incolmabile ed un dolore straziante. Nessuno merita di morire giovane. Ho provato incredulità, rifiuto, rabbia. La realtà ha iniziato ad essere distorta e scalare per un periodo non ha più avuto lo stesso sapore, era diventata una cosa priva di significato. Era come se tutto il divertimento ed il senso di benessere che mi trasmetteva prima l’arrampicata all’improvviso si fosse trasformato in inutilità e rabbia, non c’era più motivo di allenarsi se non c’era più il mio amico, semplicemente non credevo più in niente. Ma nonostante questo non ho smesso di scalare, Adriano non me lo avrebbe perdonato.

Non esiste cosa più vera che il dolore, se condiviso, svanisce delicatamente. Una nuova consapevolezza tampona le ferite e restituisce dignità alle nostre vite e al ricordo delle persone a noi care, in un retrogusto agrodolce. Una vecchia amicizia ha di nuovo portato il sole nelle mie giornate. Andrea Migliano è un giovane ragazzo di Como che ha scelto la Valle dell’Orco come sua casa e posto di lavoro presso il Rifugio Le Fonti Minerali, di cui è proprietario. Fin da quando ci siamo conosciuti, sempre grazie ad Adriano, ci siamo subito riconosciuti in una perfetta sintonia sia in cordata che la sera davanti a un bicchiere di rosso. Andrea è l’amico migliore che ho al momento e quello con cui partirei ad occhi chiusi senza sapere la destinazione. Un’amicizia così è stata ed è tuttora molto preziosa e, soprattutto, rappresenta una connessione con il Tromba. È stato proprio insieme ad Andrea che sono ritornata a scalare su quelle pareti che non avevo più avuto il coraggio di affrontare, non senza Adriano. Insieme abbiamo ritrovato un serenità che credevamo perduta per sempre, ricordando il nostro amico scomparso nella maniera che lui avrebbe apprezzato maggiormente: scalando. È stato in questo momento che ho deciso, dopo svariati inviti dello stesso Andrea, di andare a riprovare Itaca nel Sole, la via più estetica e dura dell’intero Caporal e uno degli ultimi problemi della valle da ripetere per me in libera. La prima volta che ho tentato di scalarla era il 2016 ed era stata, ovviamente, un’idea del Tromba. Ricordo bene l’eccitazione di Adri all’idea di vedermi realizzare il “problema” del Caporal, simbolo del Nuovo Mattino. Itaca nel Sole non è solo una via difficile, ma una pietra miliare dell’arrampicata moderna. Tutti conoscono la storia di Giampiero Motti e il movimento del Nuovo Mattino, ma non tutti sanno che Itaca nel Sole fu per lo stesso Giampiero il suo ultimo viaggio nonché capolavoro perfetto: estetica, godimento nell’arrampicata, difficoltà tecnica, raggiungimento di una cima simbolica e non di una croce di vetta, armonia dei gesti dell’arrampicata e, aggiungerei, leggerezza di spirito. Tutti questi valori, oltre che a dei bellissimi e personali ricordi della mia vita, erano racchiusi in un centinaio di metri di roccia. Come per Motti, anche per me salire Itaca nel Sole è stata la fine di un capitolo, il mio Nuovo Mattino, un modo per andare avanti, con e senza Adriano.”

– Federica –

“Scrivere di un amico che non c’è più, è cosa difficile soprattutto quando ancora quel dolore non ti ha lasciato. Ho sempre pensato che è meglio lasciarlo sedimentare fino a che non se ne uscirà da solo dal lato opposto da cui è entrato, dopo averti attraversato completamente. E poi scrivere di Adriano in toni drammatici mi pare talmente innaturale che sarebbe come seppellirlo un’altra volta. In Adriano il dramma non esisteva, in lui c’era  solo la vita, con i suoi accadimenti.

Voglio quindi parlarvi di quegli anni, sicuramente troppo pochi, in cui Adriano ha accompagnato la crescita di uno dei personaggi più veri e genuini dell’arrampicata Italiana. Se vi sta sul culo Federica Mingolla avete ragione, perché non è possibile essere belle, bionde e brave. Non dico forti, dico qualcosa di più, dico brave. Di forti ce ne sono oramai tante, di brave sempre meno. Brave a fare le scelte giuste, a credere nelle cose che contano e seguire il proprio istinto in modo incondizionato non è cosa facile quando hai poco più di 25 anni. In tutto questo, e Federica lo sa, Adriano ha giocato un ruolo determinante.  Adriano è stato la stella polare che le ha dato la direzione. Dirlo è semplice come osservare un’evidenza. Dirlo è riconoscere il merito di un maestro e la bravura di un allievo che ha saputo affidarsi alla persona giusta. 

Non è scontato appassionarsi a certi luoghi o ad un certo genere d’arrampicata oramai dimenticato, come pure ad un certo livello di rischio. Non è scontato essere torinesi figlie della plastica e andare in Dolomiti sulla Via Attraverso il Pesce, oppure essere donne, Italiane e partire per la Groenlandia ad aprire delle vie. Tutto questo lo puoi fare se l’imprinting è stato quello giusto, se hai la stoffa per annusare quale sarà il tuo destino e capire che siamo quello che alcune persone ci hanno permesso di essere.

Grazie Adriano. Brava Federica.”

– Marzio –

 

Ed io, in ultima istanza, vorrei ringraziare tutti voi per avermi reso partecipe di una storia non mia, tanto che in un momento, come per davvero, fossi stato lì con voi.

Grazie.

Share this Feature