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Lettera senza francobollo, né destinatario: un viaggio in bici tra gli estremi d’Italia

Tra l’agosto e il settembre del 2021, Stefano Piatti e Matteo Pavana hanno attraversato l’Italia dall’estremo più a nord (Testa Gemella Occidentale – Val Aurina) a quello più a sud (Punta Pesce Spada – Isola di Lampedusa) in bicicletta.

Il motivo? Collegare due punti.

Il motivo del motivo? Scollegarsi momentaneamente da tutto. Una volta approdati a Lampedusa, Stefano e Matteo hanno scritto e imbucato delle cartoline destinate alle persone che i due avevano incontrato durante il loro viaggio, per dire loro “ciao”. E poi c’è questa lettera di Matteo. Una lettera che è stata scritta ma che non è mai stata spedita.

Una lettera senza francobollo appunto, né destinatario.

Ciao.


“Ciao” è proprio una bella parola, non credi?
Non importa se stiamo partendo o se siamo appena arrivati. Possiamo dire “ciao” indipendentemente dalla direzione che prendiamo. 
Esistono diversi tipi di “ciao”: quelli calorosi, quelli di sfuggita, quelli svogliati, quelli per educazione, quelli gridati, quelli detti sotto voce. Ci sono “ciao” dolci, sinonimo di un “ci vediamo dopo” o “ciao” secchi, che lasciano intendere un “lasciatemi stare”. Ci sono addirittura “ciao” che equivalgono a un ultimo “ciao”, a un addio. A ben pensarci, un ““ciao” raramente equivale solamente a salutare una persona. Un “ciao” è sempre molto più di dire un semplice “ciao”.

Il “ciao” che preferisco io è quello che onora l’inizio di un viaggio.

Non penso di avertelo mai detto, ma per me viaggiare nasce da una necessità prima ancora che da un desiderio, la differenza sta nel tempo verbale. Se il desiderio è puro condizionale, la necessità è imperativo presente: non può essere rimandata. È una cosa viscerale: s’innesta nella bocca dello stomaco e cresce fino ad esplodere. È una bomba con la miccia innescata o, più poeticamente, un piacevole obbligo dalle tonalità variopinte. Viaggiare ha il profumo e il suono del vento. È tendere all’arte del nomadismo, è tendere a me stesso.

A differenza degli innumerevoli “ciao” esistono due soli tipi di esseri nomadi: i viaggiatori e i fuggitivi. Se i primi vanno e vengono a loro piacimento, i secondi non hanno un biglietto di ritorno, essi partono per non tornare mai più. Sarà anche vero che chi viaggia è un fuggitivo e viceversa, ovvero che c’è chi scappa viaggiando e chi viaggia scappando, ma il succo della questione è un altro: l’uomo agisce senza mai veramente sapere il perché e questo perché vive secondo puro, imprevedibile e mutevole istinto.

Il punto d’incontro tra chi viaggia e chi fugge è proprio l’istinto, la passione, l’indole naturale. Chiamala come ti pare. Visivamente è quell’elettricità che si propaga in tutte le direzioni, a diverse intensità, è quella scossa che fa rizzare i capelli e arcuare le dita dei piedi.

Tutto questo preambolo è solo per dirti che sono scappato in un viaggio in bicicletta. Si, ho preso la bicicletta e sono partito, senza sapere se e quando sarei tornato. Ovviamente per fare ciò ho dovuto comprare un bicicletta. Dal momento che quella del Marco me l’avevano rubata mesi fa, non ho potuto fare altro che acquistarne una nuova di zecca. Scommetto ti piacerebbe. Era l’unica che avevano in negozio, causa Covid. Vederla tutta sola in vetrina mi ha fatto sognare. È stato proprio il fatto che fosse l’ultima che mi ha fatto sentire il suo salvatore: avrei portato quella bicicletta dove altri non sarebbero mai riusciti. E se era l’ultima, la più sfigata, voleva dire che era la bicicletta giusta al momento giusto, la bicicletta perfetta per me.
 L’ho chiamata Lola.

Ho pedalato dalla Val Aurina fino a Lampedusa, dal punto più a nord a quello più a sud d’Italia. Non ci sono andato da solo. Ci sono andato con Stefano, per gli amici Ste (o King). Ste ti starebbe simpatico. Non te l’ho mai presentato, perché non c’è mai stata l’occasione. È un buon amico: onesto, umile, vero. L’amico giusto con cui cavalcare l’Italia in sella, a ruota libera. A dire il vero è stata un’idea sua. Volevamo fare un viaggio insieme e lui aveva questo sogno nel cassetto da bambino: pedalare l’Italia in Graziella. La Graziella non ce l’aveva nessuno dei due. Però io avevo Lola, mentre lui Fratello Genio Trova Bionicle. Ha chiamato la sua bicicletta così.
Lo so, meglio Lola.

L’itinerario lo abbiamo scelto in un quarto d’ora all’Angolo dei 33, tempo di una Mariamata. Poi è stato il momento di dirlo alla mamma. Ho aspettato fino all’ultimo per parlarle del viaggio, perché volevo risparmiarle di affondare nei pensieri negativi, nelle preoccupazioni. Puoi immaginare come abbia reagito. Probabilmente nello stesso modo in cui avresti reagito tu.

“No ghelo posti pù vizini per nar en bici?!”

Non posso nasconderti che ogni tanto faccio fatica a gestire la sua ansia, ma allo stesso tempo penso a Ste, che sarebbe contento di avere ancora una mamma che si preoccupa per lui e che lo rimprovera. A lui manca tanto la sua mamma.

Riguardo alla strada che abbiamo fatto… 
Siamo scesi dalle montagne costeggiando l’Adriatico fino alla Puglia. Ci siamo immersi in Basilicata, visitato le rovine di Matera, e scavallato la Calabria fino a incontrare il Tirreno. Questo momento in particolare me lo ricorderò per sempre, perché ci siamo messi a urlare come dei pazzi alla vista di quello che credevamo essere l’Etna, quando poi, in realtà, era lo Stromboli. Immaginati che risate.

Da lì abbiamo fatto su e giù dalle colline calabresi, raggiunto Villa S. Giovanni e attraversato lo stretto di Messina con il traghetto. Abbiamo poi circumpedalato la Sicilia fino ad Agrigento, passando per Portopalo di Capo Passero, conosciuto ai più come il luogo in cui approdò Ulisse tornando da Troia. Lì ci siamo sentiti un pò Ulisse anche noi, non te lo nascondo. A porto Empedocle abbiamo preso il traghetto e abbiamo navigato tutta notte. Potrei raccontarti che il nostro è stato un arrivo epico, ma non è stato così. Non c’era nessuno ad aspettarci, ne a chiederci da dove venivamo e che cosa avevamo fatto. Ste ed io ci siamo dati il cinque e siamo andati a fare colazione nella pasticceria più rinomata dell’isola. È stato un momento perfetto. Potrei raccontarti altre mille episodi, ma mi dilungherei decisamente troppo.

Hai mai fatto qualche giro lungo in bicicletta quando eri giovane? Anzi, cosa voleva dire per te, viaggiare?

Io ho capito finalmente perché mi piace così tanto andare in bicicletta.
Hai mai notato che la bicicletta non è altro che un’orchestra a pedali? Se ci pensi bene… La tastiera del cambio, la rullata della catena, il fischio del corpo nell’aria, la schitarrata delle ruote sul terreno. Con le sole gambe si è grado di sprigionare un moto armonico e melodico.

Inoltre pedalare è disegnare linee sulle mappe, rotolare sull’asfalto da un punto all’altro, alla giusta e simmetrica distanza tra passato e futuro, tra il “da dove sei venuto” e tra il “dove andrai”. Se ci pensi è come dicevo all’inizio, è come dire “ciao”.
La consapevolezza del momento presente diventa più importante dello stesso pedalare, dello stesso viaggiare. In quel momento nulla è più importante del dar sfogo alla propria intuizione, alle proprie sensazioni, ai propri dolori.

Uno dei miei momenti preferiti è al tramonto, perché mi accorgo che pedalare spazza via la luce dalla pelle, che l’attrito dell’aria innescato dal movimento scioglie il calore.

Se ti stessi chiedendo il motivo per cui abbiamo fatto questo viaggio, non so se sarei in grado di risponderti ora. Forse ne avevamo bisogno. O forse è stato davvero l’istinto, perché né Ste né tantomeno io avevamo la più pallida idea di che cosa fosse, quel bisogno lì. O forse è proprio vero che noi esseri umani facciamo le cose senza sapere il perché. Ma va bene così.

Prima di partire ho creduto davvero che pedalare servisse a darmi delle risposte. Che stupido. Solo ora, mentre ti scrivo, ho capito che la risposta era pedalare. Era l’unico modo per riviverti.

Con un biglietto in tasca, mi accorgo che non sono fuggito, ho solo viaggiato. Perché sono pronto a tornare a casa.
Sto guardando il mare.
Sono pronto a dirti “ciao” per l’ultima volta.

Allora, ciao.