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Una prima discesa con gli sci nel distretto di Swat, Pakistan

Words & photography: Aaron Rolph


With: Tom Grant, Bine Žalohar

Avendo già dovuto mettere in pausa un paio di spedizioni all’estero quest’anno, devo dire che l’idea di un grande progetto sciistico in Pakistan si è subito rivelato piuttosto eccitante. Nonostante il Pakistan sia forse più conosciuto per il cricket che per lo sci, lo stato musulmano ospita tre grandi catene montuose e molte delle vette più alte del mondo. Da qui arriva la mia estrema sorpresa quando veniamo colpiti da un muro di caldo e una temperatura di quasi 40 gradi quando atterriamo nella capitale del paese, Islamabad. Il nostro team è composto da Bine Žalohar, il cervello dietro la spedizione ed ex sciatore freestyle professionista diventato scialpinista, Tom Grant, sciatore con grande esperienza e guida alpina IMFGA e io, un atleta che ama le avventure e che ha anche un discreto talento con una macchina fotografica . Ad unirsi anche la freerider professionista Juliette Willman e il medico Beth Healey che avrebbero cercato di conquistare con gli sci ai piedi altri obiettivi nella stessa area. Una squadra, con base a Chamonix, che non manca certo di talento e che nonostante tutto non si voleva prendere troppo sul serio.

Abbiamo trascorso i primi due giorni esplorando la bellissima metropoli verde di Islamabad, una città che già conoscevo a causa della sua costante presenza nei telegiornali. Vivace, intensa in alcuni punti, la capitale è nota per il suo alto tenore di vita, la sua pulizia e sicurezza. Tuttavia, ci si rende presto conto che qui le cose funzionavano diversamente dal numero di militari con kalashnikov che pattugliano casualmente le strade e l’ingresso di molti edifici. Ma tutto questo diventa ben presto la nostra nuova normalità, e finiamo per rilassarci mentre chiacchieriamo con i tanti local chiaramente desiderosi di salutarci e darci il benvenuto nella loro nazione.

Ma non vediamo l’ora di avventurarci sulle montagne, quindi facciamo i bagagli e iniziamo il nostro viaggio di 7 ore verso la catena dell’Hindu Kush, e in particolare verso il distretto di Swat. Arriviamo nella piccola ma vibrante città di Kalam, che sorge a 2000m alla confluenza di due fiumi glaciali. Qui ci riposiamo dopo il lungo viaggio godendoci il comfort del clima montano più temperato. Non ci facciamo scappare la cucina locale tra un incontro e l’altro con i nostri compagni di spedizione, che ci stanno aiutando con la logistica del campo base e stanno organizzando i portatori che ci aiuteranno a trasportare l’attrezzatura.

Zaini e attrezzatura pronti, ci muoviamo sulla nostra 4×4 sulle aspre piste di ghiaia che attraversano i villaggi remoti ma affollati mentre saliamo sempre più in alto. L’enormità del nostro obiettivo appare in vista e l’imponenza della montagna diventa man mano sempre più chiara. Alto poco meno di 6000m, il Falak Sar è la vetta più alta della valle di Ushu e del distretto di Swat. La vetta è una piramide meravigliosamente simmetrica, luccicante di neve bianca che brilla e contrasta nettamente con la ricca foresta nella sua parte anteriore. È incredibile pensare che una montagna così magnifica sia stata scalata con successo solo da pochissime persone, ed è ancora più emozionante che nessuno l’abbia ancora sciata. Con informazioni molto limitate sul percorso e nessun dettaglio sulle condizioni della montagna, abbiamo davanti a noi una grande avventura! Potremmo essere le prime persone in assoluto a mettere i nostri sci sulle linee del Falak Sar?

Dopo aver diviso attrezzature e rifornimenti in carichi trasportabili, iniziamo l’avvicinamento che in due giorni ci porterà nel luogo in cui speriamo di stabilire il nostro campo base. I portatori che ci accompagnano, in gran parte giovani provenienti dai villaggi locali, sembrano eccitati quanto noi nonostante i carichi pesanti. I giorni successivi sono una parte essenziale del nostro programma di acclimatazione, è quindi di vitale importanza non lasciare che l’entusiasmo per questo grande progetto prenda il sopravvento su di noi. Generalmente muoversi con ritmi moderati aiuta ad evitare malesseri dovuti al notevole aumento di altitudine. Il sentiero nel bosco si snoda in modo precario sopra un ruscello di montagna che trabocca di limpida acqua proveniente dallo scioglimento dei ghiacci, una piacevole distrazione dai nostri pesanti zaini. Il caldo sole viene presto sostituito dall’aria fresca della sera e finiamo la nostra giornata presso un accampamento temporaneo dove condividiamo storie mentre ci riscaldiamo attorno a un falò scoppiettante. La mattina seguente inizia con una salita ripida e impegnativa, e senza traccia di sentiero, ci muoviamo con cautela su ghiaioni e rocce ma in poco tempo troviamo anche la neve. Le condizioni sgradevoli aumentano e ci fanno aumentare il passo fino a raggiungere un altopiano roccioso che diventerà la nostra casa per le prossime due o tre settimane.

Allestiamo un campo base decisamente migliore rispetto a ciò a cui ero abituato nelle spedizioni precedenti. Abbiamo alcune tende dove dormire comodamente, una tenda che fungerà da mensa per mangiare e rilassarci e un’altra tenda ancora dove il cuoco della spedizione, Zaheer, ci avrebbe preparato degli ottimi piatti per le nostre grandi giornate sugli sci. Siamo stati raggiunti anche dalla guida locale Ahmed, dall’assistente cuoco Nazir e persino da un poliziotto locale, Sattar, che sebbene fiducioso che fossimo al sicuro, ha deciso di restare con noi per assicurarci una sicurezza in più. I giorni seguenti creiamo un forte legame, scambiandoci storie delle nostre culture e ridendo molto insieme. Dopo un passato difficile e l’insurrezione dell’occupazione talebana, sembra che il Pakistan abbia ora un’ingiusta reputazione come luogo sgradevole. Ma questo è il passato e ora la realtà che incontriamo ci fa conoscere alcune delle persone più calorose e gentili mai incontrate. Sapevo che questa spedizione avrebbe significato molto di più che raggiungere una vetta o sciare su linee vergini, è invece un modo per dimostrare che il Pakistan è aperto nei confronti del mondo ed è un luogo culturalmente ricco e affascinante. Non stavamo arrampicando solo per noi stessi, ma per la popolazione locale del distretto di Swat.

Dopo alcuni simpatici giorni di stomaci ribaltati, molto probabilmente a causa del cibo mangiato tra Islamabad e Kalam, ci siamo presi alcuni preziosi giorni di riposo e tempo per acclimatarci. Il ritmo lento della vita al campo base richiede un po’ di tempo per abituarsi, ma dopo qualche giorno abbiamo una finestra di bel tempo all’orizzonte. Sembra che ci saranno due giorni di alta pressione in cui potremmo tentare la scalata alla cima, e sebbene questo arrivi ben prima di quanto avessimo sperato, l’opportunità è troppo buona per lasciarsela sfuggire. Ci dirigiamo quindi verso il ghiacciaio per lasciare parte della nostra attrezzatura durante un grigio pomeriggio. Stiamo entrando e uscendo dai crepacci riuscendo a tenere gli sci e le pelli di foca addosso per la maggior parte della salita sul ghiacciaio. Lasciamo il gear che avevamo trasportato in una fossa scavata apposta nella neve accanto a un crepaccio facilmente riconoscibile, ci segniamo la posizione GPS e torniamo al campo.

Il giorno seguente le condizioni sembrano buone ed è ora di salire ed allestire il secondo campo base. L’aria è rarefatta a 5000 metri e a causa dei carichi pesanti che trasportiamo, avanziamo ansimando ad ogni boccata di ossigeno. Con nostro grande sollievo, raggiungiamo una superficie più pianeggiante e troviamo il punto in cui passeremo la notte. Togliere gli zaini e allestire il campo base porta un sollievo palpabile, anche se le ispezioni della parete ci lasciano preoccupati delle condizioni in cui si troverà la via di domani. Vediamo grandi lastre di ghiaccio sui pendii più in alto dove un vento impetuoso ha spazzato via la neve. Ne facciamo mente locale e cerchiamo di assumere cibo a sufficienza, riposandoci un po’ prima del grande giorno.

Le partenze in stile alpino sono sempre difficili per me ma qui la situazione diventa ancora più complessa a causa  dei forti venti del nord. Non ancora toccata dal calore del sole alpino, qualsiasi parte di pelle scoperta assume il suo calore quasi immediatamente. Nonostante le condizioni difficili, progrediamo bene, risalendo un terzo della parete e raggiungendo presto i tiri sul ghiaccio che ci preoccupavano. Assicurandoci di avere la corda tesa, risaliamo la parete con gli sci in spalla, usando le piccozze ed i nostri scarponi. Fin qui tutto bene, e anche se richiede tutto il nostro impegno fisico e mentale, ci stiamo muovendo bene. Tom sta posizionando i chiodi da ghiaccio ed io li rimuovo mentre saliamo insieme in cordata. Dopo una decina di ore di arrampicata, la vetta è finalmente in vista e, nonostante i nostri polmoni in fiamme, ci sentiamo in cima al mondo. Dopo pochi passi, ci godiamo finalmente una vista a 360 gradi sulla vetta che ci mostra cime a perdita d’occhio in ogni direzione.

Ovviamente raggiungere la cima della montagna è solo metà del nostro obiettivo, ma non sono mai stato così entusiasta di indossare i miei sci. Foto di rito in vetta e siamo pronti a saltar giù lungo il pendio di neve soffice che scivola sui nostri sci. L’intera area è una zona in cui non è concesso tacere, stiamo infatti sciando sopra una cresta sospesa dove un errore potrebbe essere fatale. Tuttavia, la nostra fiducia inizia a crescere e, spostandoci sulla cresta occidentale, ci sentiamo bene finché non raggiungiamo la parete ghiacciata. Sapevamo di dover mettere alcune doppie qui, quindi abbiamo deciso di costruire un ancoraggio con un filettatura a V nel ghiaccio e legare insieme le nostre due corde per calarci di 50 metri. Dopo quattro lunghe calate in corda doppia, eravamo di nuovo sugli sci mentre la luce del pomeriggio cominciava a scemare dolcemente. Sapevamo che era facile proseguire da qui, quindi potevamo davvero goderci la discesa sciando forte, esultando mentre procedevamo. Abbiamo rapidamente messo via il nostro kit da ghiacciaio e abbiamo continuato a scendere. Ormai il cielo si sta riempiendo di sfumature arancioni e rosa e riusciamo ad arrivare al campo base giusto in tempo. Il team al completo ci viene immediatamente incontro per celebrare la conquista della vetta e la successiva discesa con gli sci, tutti sollevati di riaverci sani e salvi al campo dopo una missione completata con successo.

Abbiamo trascorso i giorni seguenti esplorando la regione, ricca sia di natura che di persone fantastiche. La gente del posto di Kalam ha gentilmente organizzato una festa per noi, celebrando la prima discesa con gli sci del Falak Sar con cibo, musica e balli locali. Ho avuto la fortuna di visitare diversi luoghi in tutto il mondo grazie a spedizioni di ogni tipo e non ho mai incontrato un paese con persone così calorose e gentili. Se mai avrete la possibilità di visitare questa incredibile regione del Pakistan, non ve ne pentirete.