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La mia montagna, la Valmalenco

La famiglia di mia madre è originaria dell’Alta Valtellina e io sento scorrere nelle mie vene un senso profondo di appartenenza a questa terra, ma anche e soprattutto appartengo alle montagne. Respirarne l’aria, fiutare la presenza intensa degli elementi naturali, contemplare i dettagli e le linee di questi gloriosi giganti di roccia ricoperti di colori, mi fa sentire a casa e viva, viva nel senso trascendente di sentirmi interconnessa ai cicli naturali che, più che in altri luoghi, qui sono così perfettamente scanditi e riconoscibili.

Nonostante nella storia della propria esistenza, nel corso delle ere geologiche, le montagne si siano trasformate e abbiano subito profondi cambiamenti dovuti a eventi di natura geologica e climatica (i periodi glaciali, in particolare, hanno avuto un notevole influsso sulla fauna e sulla flora dei sistemi montuosi, causando ad esempio in quest’ultima un forte dinamismo, tanto che alcune specie sono state spinte, dalle avverse condizioni climatiche, verso altitudini minori), in esse, osservando, riesco a riconoscere l’immagine familiare della natura in divenire ma che si ripete, e mi sento rassicurata, perché la conosco e vi sono appartenente. Riesco a riconoscere le fasce altitudinali che tendono a seguire uno schema fisso e, alle quote più elevate, dove gli alberi non riescono a crescere, gli habitat caratterizzati da piante erbacee basse e resistenti e, a tratti, le rocce e le morene, che testimoniano l’antica espansione dei ghiacciai.

Montagne e rilievi si sono formati in seguito a complessi fenomeni orogenetici di subsidenza che hanno sollevato enormi accumuli di sedimenti marini fin sopra il livello del mare. La flora li ha ricoperti in modo vario e progressivamente in funzione dell’altitudine, dell’esposizione solare e della condizione edafica (del suolo), climatica e geografica del massiccio. Si possono allora distinguere dei piani (o fasce) altitudinali, ognuno dei quali presenta una vegetazione caratteristica e quindi uno specifico paesaggio vegetale. Il mio preferito è quello che si estende oltre la foresta alpina, quella zona intermedia che corrisponde al limite superiore della vegetazione, dove si trovano prevalentemente soggetti isolati di abete rosso, larice, salice nano, pino mugo, pino cembro e ontano e arbusti nani, come ginepro, rododendro e rosa canina, intercalati da ampie zone di pascolo.

In estate la bellezza di questo habitat è accentuata dalle abbondanti fioriture che spiccano nei suoi pascoli e dalle numerose piante erbacee che rigettano dopo il riposo invernale. Si trovano infatti in abbondanza imperatoria (Peucedanum ostruthium L.), bistorta (Polygonum bistorta), romice scudato (Rumex sculatus), mirtillo rosso (Vaccinium vitis idaea), veronica beccabunga, tarassaco (Taraxacum officinale), rabarbaro alpino (Rumex alpinus), genziana punteggiata (Gentiana punctata), cinquefoglia (Potentilla), malva (Malva sylvestris), spinacio di montagna (Chenopodium bonushenricus), farfaraccio (Petasites), tossillagine (Tussilago farfara), piantaggine (Plantago L.), epilobio (Epilobium), angelica (Angelica), carota (Daucus carota), silene rigonfia (Silene vulgaris), alchemilla (Alchemilla vulgaris) e numerose altre specie.

Elencando queste specie e immaginando questo habitat, mi tornano subito in mente gli scorci bellissimi della “mia montagna”, la Valmalenco. Ed ecco apparire nei miei ricordi, in fondo alla valle di Chiareggio, disegnata dalla forza del Mallero, la piana di Forbesina con le ultime case pioniere, e poi su, a sinistra, la Val Sissone, scrigno di minerali ricercati e pietre speciali, adagiata sotto la parete nord del Disgrazia. La piana di Forbesina per me è un luogo di sogno. Qui confluiscono tre valloni che compongono, con la propria forma, intrecciandosi, una croce quasi perfetta. Sono, in ordine, il Muretto, che scende da nord-ovest e che sovrasta dall’altro lato l’Engadina, il Ventina, che arriva ripido e minaccioso da sud-est, e il Sissone scintillante e meno esplorato, da sud-ovest. È verso questo versante che si muove sempre la mia attenzione, ed è qui che abita Nicola Magrin, mio amico vero e compagno di viaggio di una vita intera, a cui appartengono le meravigliose illustrazioni ispirate alla nostra valle a corredo di questo scritto, e che sono incluse nel suo imperdibile libro “Altri voli con le nuvole” edito da Salani.

Il mio sguardo è sempre rapito da quell’angolo stretto che gira a destra nascondendo la valle. Da piccola ci andavo con il nonno, per pietre e minerali, sicura, ogni mattina, che quello sarebbe stato il giorno perfetto per trovare un tesoro. Il sentiero era duro una volta passata la piana e, ogni volta, mi sembrava una nuova sfida. La sera tornavo a casa trionfante e appesantita dai grammi dei miei tesori. Nicola invece ci va quasi ogni giorno. Mi ha raccontato che per lui è diventato un luogo del pensiero, dove il silenzio e le suggestioni del paesaggio gli permettono di fermarsi a sentire. La Val Sissone è conosciuta in tutto il mondo per la presenza di spettacolari esemplari di minerali, anche rari e dalle forme perfette.

È facile trovarli per via della struttura geologica di quest’area in cui si sono mischiate rocce di provenienza, composizione ed età molto diverse tra loro. Percorrendo la valle ci si trova a passare attraverso almeno tre domìni geologici diversi e altrettanti conseguenti cambiamenti di paesaggio, fino ad arrivare ad un’ampia conca racchiusa dalle maestose pareti del Monte Disgrazia. Lui, signore indiscusso della valle, con il suo gigante seracco che incombe sulla vista e il suo nome che sembra evocare eventi infausti ma di cui invece l’origine etimologica deriva dal termine del dialetto locale “desglàcia” e cioè sghiacciarsi.

Forse per via dei grandi blocchi di ghiaccio che improvvisamente cadono sull’omonima Vedretta, sospesa sulla valle, sbriciolandosi centinaia di metri più sotto tra spaventosi boati. La sua forma è incisa nel batolite del Màsino-Bregaglia, corpo di rocce magmatiche intrusive risalente a circa 30 milioni di anni fa. Il magma incandescente, venne a contatto con le rocce incassanti, modificandole profondamente: il calore elevato infatti portò i loro minerali a riorganizzarsi nuovamente, generandone altri, mentre i fluidi espulsi, ricchi di elementi rari, fornirono la materia prima per specie mineralogiche nuove e uniche, diverse per ciascuna roccia interessata dai fenomeni di metamorfismo di contatto. Fascinazione pura.

Che strano questo scritto, dove ho parlato di tutto e di niente, senza un capo e una coda, senza una fine e un inizio, ma pieno di immagini sensazionali che sento nel profondo quando sono lassù. Come quelle di Nicola.