Alberto Ferretto

“Vulnerabile”: la possibilità di essere scalfito. Intervista ad Alberto Ferretto

Vulnerabile è il titolo del “progetto non voluto” di Alberto Ferretto, un libro non convenzionale e fuori dagli schemi che racconta l’esperienza traumatica del suo autore (ed editore), superata grazie alla corsa. Alberto non si è fermato a questo. Ha cercato, incontrato e conosciuto altri 12 personaggi che, come lui, hanno vissuto un trauma e ne sono usciti proprio grazie alla corsa. Vulnerabile è un viaggio tra sentieri di montagna e percorsi interiori, fatto di coraggio, voglia di rinascita e potere della condivisione.

Abbiamo fatto qualche domanda ad Alberto per scavare ancora più a fondo in questo progetto e ripercorrerne insieme alcuni step, dall’idea iniziale alla realizzazione finale.

Vulnerabile Alberto Ferretto

Il titolo, Vulnerabile, è una parola forte, spesso usata con un’accezione negativa, come sinonimo di fragilità o debolezza. Raccontaci il perché di questa scelta e il significato che invece assume per te.

Per quanto mi riguarda, vulnerabile significa avere la possibilità di essere scalfito, in qualche modo. Non bisogna fraintenderla come una debolezza o addirittura pensare che essere vulnerabili significhi essere deboli o fragili. Mi sembrava il termine più corretto per identificare un po’ tutti, come una delle caratteristiche che può unire tutti noi. Questa visione l’ho stretta in ospedale, ma anche cercando una parola che ci unisse tutti quando, tra il 2015 e il 2019, ho fatto dei viaggi molto lunghi in quei luoghi del mondo meno sviluppati e con una densità di popolazione incredibile. Quando passi dal mio paesino di campagna a città dove la densità è così alta hai uno sbalzo pazzesco, e una delle cose che mi sono venute in mente era proprio se ci fosse qualcosa che invece ci unisce tutti. E questa cosa poi è ritornata quando ho avuto l’incidente. Vulnerabile perché secondo me è proprio la vulnerabilità quella che alla fine ci abbraccia tutti e che la vita prima o poi ci dà modo di provare.

Vulnerabile Alberto Ferretto

Quindi hai trovato la risposta alla domanda che ti poni anche nel libro. Se c’è qualcosa che ci unisce tutti è dunque questo.

Sì, una delle cose. Poi ce ne sono altre, ma una delle cose è sicuramente questa.

Invece il sottotitolo, “Il progetto non voluto di Alberto Ferretto”: non voluto perché nasce da un evento traumatico o perché è stato inevitabile e non hai potuto fare a meno di realizzarlo?

“Non voluto” perché ne avrei fatto a meno, molto volentieri. Alla fine è stato un percorso incredibile, bellissimo e neanche pesante da un certo punto di vista, perché lo facevo con una volontà precisa e un’auto-consapevolezza molto piacevole. Non avevo nessun tipo di vincolo e nessun datore di lavoro che mi dava questo input. Io andavo e facevo. Potevo, per assurdo e come ho anche rischiato di fare, cancellare tutto. E ci sono stati momenti in cui non volevo più pubblicare queste cose. È stato un progetto che, se non fosse successo il mio incidente, al 99% non avrei mai fatto perché è stato un percorso irripetibile. Spesso mi chiedono: ci sarà un sequel? È un po’ una cavolata perché è un percorso troppo unico per ripeterlo.

Vulnerabile Alberto Ferretto

Vulnerabile è un libro materico, che impegna anche il senso del tatto oltre a quello della vista e impone una lettura interattiva. Sembra quasi che tu abbia voluto mettere il lettore in una situazione di scomodità, a volte. In alcuni passaggi bisogna ruotare il libro per poterne leggere il contenuto. Come mai?

È una scelta voluta, condizionata da due motivazioni principali. La prima è un’intersezione di un mio percorso lavorativo e passionale legato alle arti visive, per cui secondo me quando si comunica non si comunica con un solo elemento, ma con tanti elementi. Che sia quello visivo, che sia un fattore esperienziale, che sia il sonoro. In questo caso purtroppo non c’è l’audio ma ne abbiamo usati comunque due o tre: l’esperienziale, il visivo e il tattile. La seconda motivazione arriva dalla mia decisione di auto pubblicare il libro, una scelta dovuta anche al suo carattere ibrido. Non vedo molti libri con questa impostazione. Credo sia anche un motivo commerciale: gli editori tendono a rischiare di meno rispetto alle gabbie standard della letteratura. Quindi il confezionamento è stato scelto. Mi è stato anche permesso di farlo perché avevo un budget legato a uno sponsor, l’azienda Meccanica Gasparotto, che grazie a Sabrina, molto sensibile a questi temi, mi ha sponsorizzato la prima stampa. Ho deciso di fare qualcosa che fosse non unico, ma comunque un po’ fuori dagli schemi, anche in relazione al prezzo di copertina che è molto vantaggioso rispetto alle caratteristiche del libro.

Focus impaginazione atipica

A tal proposito, nel libro ci sono tante immagini, che spesso raccontano anche i momenti di vita quotidiana dei suoi protagonisti. È sempre una scelta legata a questa commistione tra le arti che vivi tu?

Sì. L’idea era quella di non fare un libro troppo prolisso. Io arrivo dalla fotografia, avendo fatto il fotografo per 7 anni da professionista, e penso che l’apporto fotografico sia molto più forte e riassuntivo rispetto alle pagine scritte. Capisco che chi è abituato a leggere legge più volentieri rispetto a guardare delle immagini. Con la scrittura si riescono a creare nella testa dei lettori molte più immagini rispetto a quelle evocate da un video o da una foto. Però, nel mio caso, per ogni immagine avrei dovuto spiegare tante cose e io volevo invece concentrarmi sul fulcro del discorso, lasciando il resto alle immagini. Quindi c’è questo connubio foto-testi, che dai feedback ricevuti sembra essere apprezzato. Sono 216 pagine, che comunque non sono poche, e arrivare a oltre 300 togliendo le immagini e perdendo un po’ di umanità, insomma… non mi convinceva. Ho preferito così.

Focus immagini

Il primo capitolo è autobiografico e racconta la tua storia, ma gran parte del libro è dedicata alla narrazione di altre 12 vicende. Come hai scelto questi 12 co-protagonisti?

Diciamo che non li ho scelti, perché sono andato a cercarli. Mi sono anche un po’ affidato al caso. Ho chiesto consiglio ad alcune conoscenze che secondo me erano un po’ più sensibili al tema. Loro mi hanno dato dei nominativi e io li ho contattati. Avrebbero dovuto avere due caratteristiche comuni: il trauma e la corsa come rinascita. Non ho approfondito con due persone che stavano vivendo il trauma in quel momento, perché non mi sembrava corretto, e forse non era neanche semplice da approcciare come situazione. Inoltre scrivo che il progetto è sì “non voluto”, ma anche “non concluso” perché avrei potuto continuare all’infinito, potenzialmente. Ma ad un certo punto ho chiuso.

Vulnerabili
Alberto Ferretto

E perché hai scelto di raccontare in prima persona anche la loro storia?

Io li ho intervistati e fotografati, ma poi l’ho raccontata io in prima persona, non l’hanno scritta loro. Ho deciso di scriverla in questo modo perché volevo che fosse il più diretta possibile. Infatti, c’è un primo paragrafo all’inizio di ogni storia in cui esprimo la mia sensazione rispetto a quella persona. È stato un viaggio, un percorso, e volevo che gli altri si mettessero nei miei panni, come se il percorso lo facessero anche loro.

A proposito di percorso, come mai è proprio la corsa uno dei due prerequisiti per questo viaggio?

La corsa perché mi appartiene, nel 95% delle mie attività quotidiane e sportive. Nell’altro 5% potrei metterci lo scialpinismo e la bici, ma sono comunque sport marginali rispetto alla corsa. È dal 2012 che corro, lavoro nel mondo della corsa, e per me la corsa è diventata tanto. Inoltre, è stata il La per ricominciare, perché dopo la settimana in ospedale, quando il medico mi disse che l’edema cerebrale si era risolto bene, io avevo già la testa alla Lavaredo Ultra Trail che ci sarebbe stata a giugno. 7 mesi dopo l’ho fatta e per me è stata quella la rinascita. Volevo avere un riscontro anche dagli altri, perché se lo fai su te stesso magari sei tu il matto. Invece mi sono reso conto che, effettivamente, anche per altre persone la corsa ha quella capacità di forgiare, nel tempo, una mente capace di farti sognare qualcosa, ma anche di farti superare i momenti più critici.

Alberto Ferretto

Perché il finale si apre invece ad un messaggio che esula dalla corsa?

Uno degli ultimi titoli è “Basta correre!”. Un “basta correre e tutto passa”, ma anche un “basta correre” perentorio, che è poi la visione più approfondita nel capitolo. È una provocazione. La corsa è stata ed è attualmente per me, e per questi 12 soggetti, un qualcosa in più, che fa sognare, che si costruisce gradualmente e giornalmente. Però mi rendo conto che il pianeta sia ricco e pieno di spunti per innamorarsi di qualcos’altro. Non deve essere un libro per nerd della corsa, infatti si parla pochissimo di corsa in termini di tempi e classifiche. Si parla di passione verso qualcosa, ma la passione può essere in moltissime altre forme e ognuno di noi deve trovarla, perché quando si trova una passione veramente forte si comincia a costruire qualcosa che va oltre. Qualunque passione ha punti molto alti ma anche curve molto basse. Ogni sport e ogni attività li ha. La passione, oltre a farti innamorare, ti insegna anche a rimanere in piedi.

Vulnerabile impaginazione

Uno dei momenti di svolta nella tua vita è stato condividere una foto dopo l’incidente sui social. Quanto pensi che sia importante la condivisione, anche dei momenti bassi?

Adesso questa cosa di condividere i momenti bassi si sta sdoganando parecchio, rispetto a qualche anno fa. Forse dal covid in poi c’è molta propensione a pubblicare contenuti legati al “picco più basso”. Per quanto mi riguarda la condivisione è tutto. Dal punto di vista personale, per condividere le cose ognuno deve trovare il suo grado. Che sia condividerlo con la propria compagna o con il proprio compagno, o condividerlo con i genitori piuttosto che con gli amici: sta alla base. Altrimenti, o abbiamo sbagliato persone o dobbiamo imparare noi a costruire la condivisione, perché è proprio fondamentale. Per quanto riguarda la condivisione sui social, bisogna sentirsela. Credo possa essere propedeutica se non diventa uno sfogo fine a se stesso. Deve essere finalizzata a qualcosa. Pubblicare un post perché voglio ricevere attenzioni non può diventare l’abitudine. L’abitudine deve essere condividere con le persone care. Poi c’è il momento in cui condividiamo anche sui social, sì, ma bisogna farlo in maniera più graduale e ponderata. Però la condivisione, come parola e come visione, è fondamentale.

Vulnerabile dettagli

Ultima domanda. Qual è l’obiettivo di questo progetto e quale invece l’augurio più grande che tu possa fargli (o farti)?

Il progetto, per quanto mi riguarda, ha già vinto. Non mi sarei mai aspettato di ricevere tanti feedback così positivi. Non tanto per la confezione del libro, per la quale avevo una percentuale abbastanza alta di certezza che andasse bene, perché le copertine in media sono patinate, lucide, con carta scarsissima. Quindi sulla confezione sapevo che c’era un buon margine. Sul contenuto no. Io non sono uno scrittore, non ho fatto determinati studi di costruzione narrativa. Lì avevo un grosso dubbio ed è proprio uno dei motivi per cui a un certo punto non volevo più farlo uscire. Non dico di aver fatto un libro che si è posizionato bene nelle classifiche, ma per quello che era il messaggio mi sembra che sia ben riuscito. E quindi per me ha già vinto. Mi sono volontariamente escluso dal discorso relativo alle case editrici, quindi non mi aspetto di fare una tiratura incredibile. Mi auguro di finire le 600 copie (seconda ristampa dopo le 900 già distribuite) che devo ancora smistare [ride]. Per quanto riguarda invece il messaggio, è legato alla rinascita delle persone. Se anche solo una manciata di persone dovesse alzarsi dal divano e togliersi dalla zona grigia che sta vivendo, che è quello che ho vissuto anche io, per me va benissimo così. Per il resto è fatta. È una cosa che è servita anche a me come diario terapeutico, all’inizio, quindi adesso qualsiasi altro traguardo è tutto di guadagnato.

Vulnerabile dettagli

Sicuramente può servire come spunto positivo anche a chi non è nella zona grigia, ma ha solo bisogno di una piccola spinta per prendere in mano la propria vita. Complimenti per il coraggio, e forse è proprio questo il potere della condivisione.

C’è qualcos’altro che vuoi aggiungere o che non abbiamo toccato come argomento?

Sì. L’ultima cosetta che vorrei aggiungere, che poi non è una “cosetta”, è sottolineare che tutti i proventi del libro vanno alla Croce Rossa Italiana – Comitato di Vicenza OdV. Il libro è uscito a dicembre 2023 e solo con quel mese ho (abbiamo) è stato comprato un ventilatore polmonare da mettere all’interno di un’ambulanza. A fine 2024 verrà donata un’ulteriore somma per acquistare altra strumentazione.

Quella di Alberto è una storia di coraggio, che ci ricorda l’enorme potere della condivisione e l’importanza di non arrendersi mai, nonostante tutto.

Oltre a lui, ecco gli altri 12 protagonisti di questo viaggio: Yulia Baykova, Andrea Prandi, Alessandra Fior, Ivan Angiolini, Andrea Lanfri, Michele Pasquazzo, Francesco Lorenzi, Petranca Stefano, Valentina Scarponi, Enrico Maggiola, Marco Menegardi, Casimiro Sciscione.

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