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Wafaa Amer Intervista

Ventidue anni, origini egiziane, Wafaa Amer si è fatta strada sul palcoscenico dell’arrampicata femminile in tempi record. Dita d’acciaio e sorriso smagliate, Wafaa ci racconta dei suoi esordi e della difficoltà di essere una ragazza musulmana lontana da casa.

Raccontaci un po’ di te.
Sono arrivata in Italia a otto, nove anni, e ho cominciato a scalare a quindici. Nella mia scuola promuovevano corsi di attività fisica un po’ “alternativi” e tra questi c’era l’arrampicata.
La mia è una famiglia molto tradizionale, dove le donne crescono con l’idea di vivere sempre a casa, prima quella del padre, poi quella del marito. Non avevo molta libertà, e frequentare un corso di arrampicata (misto!) era del tutto fuori discussione. Per di più, non avevamo molti soldi e per mio padre mantenere cinque persone non era certo facile. Ma la mia migliore amica, che scalava già da qualche tempo, ci teneva molto che io provassi questo sport e mi regalò la tessera per il corso.

E com’è andata?
Per me era tutto nuovo, nel villaggio da cui vengo non esistono queste cose, non esiste tecnologia. Non avevo mai visto una palestra in vita mia e quando sono entrata, vedendo tutte quelle prese colorate, i pannelli, ho pensato “Wow! Anche le donne possono fare sport!”
Frequentavo il corso la mattina, poi ho scoperto che con la stessa tessera si poteva accedere alla palestra anche il pomeriggio. Non è stato facile. Mio padre non approvava, e io presi a uscire di nascosto pur di andare a scalare, aiutata da mia mamma che per fortuna si fidava di me e dalle mie sorelle e il mio fratellino. Frequentando altre persone al di fuori della mia famiglia ho cominciato a cambiare, a capire che c’erano altri modi di vivere, e questo forse mi ha resa un po’ ribelle.
Se fossi rimasta in Italia, ma vivendo secondo le nostre tradizioni, forse ora sarei rimasta anche io con una mentalità più tradizionale. Mi vedo diversa dalle mie sorelle, ma loro rispettano e approvano la mia scelta di vita, come io rispetto la loro. Mi vogliono bene, e sono felici se io sono felice.
È anche per questo che sono nata in palestra, e non su roccia, anche se mi piace molto di più. Andare in falesia era più complicato da nascondere che la palestra, non riuscivo sempre a rientrare prima che mio padre tornasse dal lavoro, e avevo sempre paura che mi scoprisse.
Era difficile, quando mi divertivo non mi accorgevo che si stava facendo tardi. Avevo già fatto qualche gara, stavo diventando brava e scalare per me era sempre più importante. Nella mia testa non stavo facendo niente di male, non è che mi drogassi o andassi in giro a ubriacarmi, e mi faceva davvero male questa sua disapprovazione.
Nella mia tradizione la donna ha un ruolo molto preciso, ovvero bisogna essere brava a cucinare, a mettere a posto casa, a badare ai figli.

Sicuramente per te dev’essere stato difficile conciliare la tua cultura con quella Italiana. In che modo l’arrampicata ti ha aiutato a uscire da questi schemi?
Io devo alla scalata quello che sono diventata oggi, ho scoperto cose che agli occhi delle altre persone possono sembrano stupide ma per me non lo sono. La prima volta che sono andata a mangiare una pizza con gli amici della palestra, non sapevo come tagliarla! Non ero mai stata a cena fuori, e in Egitto si mangia con le mani (ride). L’arrampicata mi ha regalato molte “prime volte”, me le ricordo una per una: la prima pizza, la prima volta che ho messo il costume da bagno, la prima volta che ho preso un treno.

Da qualche anno ormai vivi e arrampichi a Finale Ligure. È di sicuro uno dei posti più famosi tra gli scalatori italiani ed europei, è per questo che hai deciso di vivere proprio lì?
Sono finita a Finale quasi per caso. Avevo appena compiuto diciotto anni e come da tradizione sarei dovuta ritornare in Egitto per continuare lì la mia vita. Per me era impensabile l’idea di abbandonare la mia vita in Italia, per questo decisi di andare via di casa.
Avevo degli amici in Liguria che mi hanno appoggiato in quel difficilissimo periodo.
All’inizio ero combattuta, mi sembrava di stare tradendo la mia famiglia, la mia cultura, la mia religione. Ma è stata una mia scelta e oggi ne vado orgogliosa.

È stata una scelta importante per una ragazza così giovane, hai dimostrato una grande forza di volontà. Come hai fatto per mantenerti?
La verità è che non sono mai stata davvero sola, mi hanno aiutato tante persone. Il primo periodo sono finita in un agriturismo a Feglino, di proprietà di due miei amici. Sono stati la mia prima casa, e il mio primo lavoro. Davo loro una mano e in cambio potevo abitare lì. Ora sono diventati la mia famiglia, anche se ogni settimana torno in Piemonte per vedere mia madre.
Ci ho messo due anni per stabilirmi, ho fatto diversi lavori, sai, i soliti, cameriera, baby sitter, receptionist in un campeggio… nel frattempo ho continuato a scalare.
Vivere a Finale mi ha permesso di scalare di più su roccia, dove ho ottenuto i primi risultati importanti (Radical Chic, Hyaena).

Ti sei distinta sia per i tuoi risultati nelle gare, sia per le tue performance su roccia, finendo sotto il riflettore di brand importanti come La Sportiva e Petzl. Come pensi di proseguire il tuo percorso atletico e professionale?
Quest’anno, finita la stagione di gare, ho preso una decisione: amo la competizione, ma è la roccia di cui sono innamorata, ed è lì che voglio migliorare. Mi dà più soddisfazione fare un 7b o un 7c di strapiombo, su cui non sono molto forte, di qualsiasi gara.
Questo per me sarà un anno di prova e sono grata a chi ha creduto in me.
Grazie alle sponsorizzazioni che sono arrivate ho la possibilità di partecipare a eventi, conoscere gente nuova, con molta più esperienza di me e quindi di imparare tantissimo.
Mi piacerebbe provare qualche via lunga, magari andare a scalare in quota. Non l’ho mai fatto, e anche se credo rimarrò una falesista sarei felice di variare un po’.
Tanti mi hanno chiesto “ma vuoi fare la scalatrice professionista?” e io ho risposto di no. È davvero difficile vivere solo con l’arrampicata, ma si può fare in molti modi diversi, ad esempio accostandola ad un lavoro part-time. Magari in futuro, ottenendo tanti risultati potrei anche riuscirci.
Ma ora come ora ho bisogno di un lavoro, poi chissà!

E ora dopo tutto quello che hai passato, pensi di poterti definire felice?
Sì, senza ombra di dubbio.
Sono stata fortunata, ho avuto tante persone che mi hanno aiutata, chi mi ha regalato il materiale, chi mi ha scarrozzata in macchina, chi mi ha ospitata, poi c’è chi mi ha aiutata a trovare lavoro. Io non dimentico nessuno, e sono grata ad ognuna di queste persone anche per la cosa più insignificante. Per me significa davvero tanto.
Ci sono tante cose che cambieranno e che posso migliorare, ma è questa la mia strada.

Non avevo molta libertà, e frequentare un corso di arrampicata (misto!) era del tutto fuori discussione. Per di più, non avevamo molti soldi e per mio padre mantenere cinque persone non era certo facile. Ma la mia migliore amica, che scalava già da qualche tempo, ci teneva molto che io provassi questo sport e mi regalò la tessera per il corso.

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