Kayland e Space Vertigo

Kayland e Space Vertigo

L’idea di questa via nasce nel 2015 dopo una ripetizione di Alpenliebe di Christoph Hainz da parte di Alessandro che ha poi proposto il progetto a Nicola e a me: si è cosi costituita una cordata perfetta per determinazione e condivisione. Siamo però andati solo l’anno successivo a mettere il naso in parete.

Il primo giorno dai ghiaioni abbiamo studiato per più di 2 ore la linea più debole che poi, incredibilmente, siamo riusciti a seguire fedelmente senza alcuna forzatura, cercando il “facile nel difficile”. Nonostante questo “facile”, la via sale una porzione di parete decisamente strapiombante e costellata di tetti a scala rovescia su difficoltà continue.

Quel primo giorno abbiamo aperto il facile diedro del primo tiro e l’ostica partenza del secondo; siamo scesi da quei pochi metri percorsi con mille dubbi sulla reale possibilità di applicare fino in fondo il nostro stile. I vari impegni personali non ci hanno poi permesso di tornare in parete nel 2017.

Abbiamo adottato lo stile seguito anche durante altre nostre aperture: apertura rigorosamente dal basso, in libera senza passi in artificiale, con protezioni veloci e chiodi sui tiri e spit alle soste. Ci fermavamo sui cliff solo per chiodare o tentare di farlo, altrimenti si continuava o si volava. Tale scelta lasciava molti dubbi sulla riuscita del progetto, ma era proprio questa l’avventura che cercavamo, senza alcun compromesso! Rimanere fedeli a questo stile era proprio quello che ci dava lo stimolo per affrontare anche quelle sezioni che sembravano ad un primo approccio insuperabili. La “cordata” è stato l’elemento chiave per la riuscita di questo progetto: in qualsiasi momento, quando le energie venivano a mancare, si poteva contare sul supporto e il cambio in testa dei compagni. Fin dall’inizio abbiamo deciso di usare gli spit alle soste (non lungo i tiri di corda), principalmente per un discorso di sicurezza ma anche perché, non essendoci molte cenge, gli spit permettono di posizionare l’ancoraggio al meglio. Col senno di poi è stata una buona scelta visto che molti tiri hanno partenze dure con potenziale volo in sosta.

Su questa parete si sono scritte pagine di storia dell’alpinismo e si sono provati nel corso degli anni diversi stili di apertura. Non c’è stato un modo giusto o uno sbagliato, semplicemente ognuno ha fatto quello che credeva più adeguato in quel momento. Le vie presenti sulla Cima Ovest, ma anche la maggior parte di quelle della Grande, erano state aperte con largo uso di artificiale, a chiodi o a chiodi a pressione; poi sono arrivati gli itinerari moderni con protezioni intermedie a spit, ma aperti in libera. Queste sembravano essere le due alternative possibili su questa parete. La nostra idea di aprire una via dal basso senza fare uso di artificiale, ovvero superando ogni singolo passaggio in libera come se si fosse su una via moderna a spit, ma usando solo chiodi e protezioni veloci per la protezione, era sicuramente in controtendenza a quanto era stato fatto in precedenza qui in Tre Cime di Lavaredo: l’idea era portare il nostro stile, già sperimentato su altre pareti Dolomitiche, cercando di essere più coerenti possibili alle regole che ci eravamo imposti: siamo felici di esserci riusciti!

Una parete così strapiombante ha 2 grossi vantaggi: si può scalare anche se piove e, anche se spesso si vola lunghi, si può osare un po’ di più. Entrambe la caratteristiche sono state sfruttate appieno!

Dopo quel primo giorno siamo tornati nel 2018. Piano piano, metro dopo metro, tiro dopo tiro e incastrando i vari impegni personali avanzavamo verso l’alto e a fine stagione eravamo arrivati al sesto tiro. Eravamo ancora piuttosto bassi ma estremamente motivati e fiduciosi: avevamo appena passato il caratteristico tetto triangolare che dava la direttiva alla nostra salita. 

Nel 2019 abbiamo “riaperto le danze” ad inizio giugno appena il tempo ce lo ha concesso. La neve era ancora abbondante alla base della parete e il sole rimaneva sulla nord per diverse ore.  Svegliarsi scaldati dal sole in portaledge è un piacere che non capita spesso. Così in 3 giorni ci siamo alzati fino all’undicesimo tiro. Quando siamo tornati a luglio, per altri 3 giorni di apertura, vedevamo il tetto che divide la gialla parete strapiombante dalle placche sommitali ormai vicino. Uscire dai gialli più strapiombanti e toccare con mano la roccia grigia e lavorata delle placche sommitali è stata un’emozione unica, sapevamo che il più era fatto. Avevamo solo bisogno di una finestra di tempo buono per tornare a finirla. Il giorno prima del fatidico giorno da noi fissato aveva nevicato ma il freddo non ci ha demoralizzati. Dopo aver risalito nuovamente le corde fisse, abbiamo aperto gli ultimi 7 tiri con un altro bivacco. Questa volta niente sole in parete, perché a settembre inoltrato la Nord della Cima Ovest è già in letargo. Tornati al caldo della macchina eravamo esausti ma felici di aver completato il nostro progetto di apertura.

Per quanto mi riguarda, in questa ma come in altre aperture, è importante anche l’esperienza personale che ne esce. E’ sempre un modo per conoscere meglio se stessi e i compagni. La via direi che rispecchia appieno quella che è la visione, ossia uno stile di apertura senza compromessi che mi metta alla prova non solo dal punto di vista atletico ma anche mentale. Realizzare tutto questo insieme a due compagni come Nicola e Alessandro è stato eccezionale! Ricordo quando, timidamente, venni qui per percorrere la Cassin alla Ovest lungo la linea originale: mai avrei immaginato di aprire un giorno una via su questa importante parete. Ora mi è difficile “stilare” una classifica ma sicuramente si pone là in alto per quanto riguarda l’impegno tecnico e mentale richiesto per percorrerla: rispetto ad altre qua serve qualcosa in più. Se ripenso a quello che abbiamo fatto non mi capacito ancora di esserci riusciti. Le incognite iniziali che lo stile auto impostoci ci lasciava erano erano molte!

Ora non ci rimaneva che percorrere tutta la via “rotpunkt” e in un’unica soluzione. Risultato per nulla scontato, vista continuità delle difficoltà, l’obbligatorio di alcuni tratti, il numero di tiri e la necessità di avere molte protezioni veloci da dover posizionare lungo i tiri. Anche organizzare tutta la logistica (cibo, bevande, ecc) ha richiesto un’attenta programmazione.

Siamo partiti la mattina del 9 Settembre 2020 con a disposizione 4 giorni per venire a capo della libera. Il primo giorno, a causa dell’umidità che ristagnava sotto i tetti dei primi tiri: è stato un calvario. Non abbiamo salito più di tre tiri dei 6 che ci eravamo prefissati, disperdendo un sacco di energie. Abbiamo deciso comunque di continuare e il giorno successivo, siamo riusciti ad arrivare alla fine dell’8° tiro, dove avevamo predisposto la zona per i due portaledge. All’imbrunire abbiamo chiuso i conti anche con il tiro 9.

Il giorno successivo, al tramonto, la sagoma di Alessandro scompare fuori dall’ultimo tetto della zona gialla. Siamo finalmente fuori dalle difficoltà. Con le pile frontali, ridiscendiamo lungo le corde fisse ai portaledge. Il mattino dopo consueta sveglia alle 4,00. Risaliamo ancora al buoi le corde fisse che ci permettono di raggiungere il punto più alto toccato il giorno prima. Alle 7,00 stiamo già arrampicando sulla roccia grigia della lunga pala finale. Le difficoltà qui sono più “classiche”, ad eccezione del tiro 19.

Alle 14,00 ci abbracciamo tutti e tre in cima, consapevoli di aver scritto qualcosa di nuovo nelle pieghe di questa magnifica parete.

Durante i 4 giorni della rotpunkt siamo stati seguiti dagli occhi attenti di Giovanni Danieli, Matteo Pavana e Gabriele Donati che hanno documentato la nostra salita attraverso foto e video. Giovanni e Matteo, rispettivamente per 2 giorni ognuno, ci hanno seguito in parete muovendosi autonomamente lungo le statiche mentre Gabriele, stando sui ghiaioni basali e con il gentile supporto dei gestori della Malga Langalm, ci ha seguito utilizzando il drone. 

Per i futuri ripetitori, alla sosta del primo tiro, abbiamo lasciato la nostra pedana in legno, elemento fondamentale visto l’assenza di cenge. Magari un domani la riutilizzeremo cercando ognuno la libera integrale della via.

 

Photo credit: Matteo Pavana & Giovanni Danieli

Keep Reading