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Il Pilastro Goretta da sogno a realtà con Francesco Ratti

Insieme ad Alessandro Baù e Claudia Mario, la ripetizione della storica via sul Fitzroy

Tra i più forti alpinisti italiani degli anni settanta e ottanta, Renato Casarotto è conosciuto per le sue imprese che spaziano dalle Dolomiti, al Monte Bianco, al Karakorum fino a Perù e Patagonia. Nel 1979 sale in solitaria i 1500m verticali di granito del pilastro nord del Fitzroy. Alla base ad aspettarlo come in tutte le sue imprese, la moglie Goretta Traverso.

 

Oggi quel pilastro che spunta proprio vicino alla cima dell’iconico Fitzroy lo chiamiamo Pilastro Goretta. Sono passati 45 anni da quella prima volta, e toccare quella stessa roccia oggi, è uno di quei momenti in cui la storia si intreccia con il presente. Fare alpinismo in un certo modo vuol dire conoscerne la storia, la cultura e, a volte, apprezzare una linea disegnata da qualcun altro, magari tanto tempo prima. Vuol dire ripercorrere fisicamente i movimenti di altri tempi, con un altro tipo di attrezzatura ma probabilmente con la stessa passione. Il 31 dicembre 2023 il trio tricolore composto da Francesco Ratti, Alessandro Baù e Claudia Mario ha conquistato una delle vette più iconiche al mondo, celebrando le gesta del connazionale Casarotto salendo per il Pilastro Goretta.

Com’è successo per Renato Casarotto, anche le famiglie degli alpinisti questa volta li aspettavano alla base. Situazione rara per gli alpinisti che nella maggior parte dei casi possono condividere le imprese con i propri cari solo una volta ritornati a casa. Ancora una volta in questa salita il passato ritorna, se non che la moglie di Baù, Claudia, questa volta era sulla cima anche lei.

Ci siamo fatti raccontare di più da Francesco Ratti, alpinista e guida alpina del team MILLET.

 

Il Pilastro Goretta ha inaugurato il un nuovo anno!

In realtà è stata più la fine dell’anno perché siamo arrivati in cima il 31 dicembre. Poi abbiamo festeggiato Capodanno bivaccando in discesa. La finestra era proprio in quei giorni e si sa che in Patagonia quando arriva il bel tempo bisogna approfittarne e andare.

Vi eravate dati un certo periodo di tempo per fare questa via?

Diciamo che a seconda dei giorni di bel tempo puoi programmarti l’obiettivo. Quindi se hai tre giorni, sai che puoi fare un certo tipo di via, se arriva solo un giorno di bello devi fare qualcosa di molto più corto. Per esempio l’anno scorso, che eravamo stati con Alessandro (Baù ndr) e altri ragazzi e ci eravamo dati tra gennaio e febbraio, ha fatto molto più brutto. Avevamo avuto solo delle finestre brevi di un giorno, un giorno e mezzo, e una via come quella sul Pilastro Goretta non era pensabile perché richiede almeno tre giorni di tempo stabile soprattutto senza vento perché quando arriva è fortissimo.

Non credo vi capiti spesso durante le spedizioni, ma questa volta siete stati accompagnati dalle rispettive famiglie…

In generale non è comune, ma in Patagonia è possibile perché dove si sta come base non è un campo base come in Himalaya. Sei in un villaggio dove hai relativamente tutte le comodità, chiunque può arrivare e poi da lì in avanti parte la vera e propria salita. Per cui la Patagonia ha la peculiarità di poter fare una cosa del genere e noi ne abbiamo approfittato. Noi alpinisti stiamo mesi lontani dalle famiglie e per una volta abbiamo potuto combinare e stare insieme. Quando fa brutto e non vai in montagna passi del tempo con la famiglia.

La via era nelle vostre menti già da un po’ di tempo…

Io non ero mai salito in cima al Fitzroy e quella via è sempre stato un po’ il mio sogno, perché è molto estetica su un pilastro molto tecnico e bellissimo con delle fessure di granito molto belle. Stessa cosa anche per Ale. In realtà aveva già salito il pilastro da un’altra via lungo la cresta nord ovest. Il Pilastro Goretta è una chicca e già l’anno scorso avremmo voluto scalarlo se ci fosse stata la possibilità. Questa volta invece siamo partiti appena si è presentata l’occasione. In realtà non era scontato perché non si trattava proprio di una finestra pulita e non c’era garanzia che il vento fosse assente, abbiamo rischiato. Se ci fosse stato più vento saremmo dovuti tornare indietro.

 

Una via portata a casa in tre giorni. Quali sono state le fasi dell’ascesa?

Il primo giorno devi arrivare al colle dove inizia la via, il Bloque Empotrado nome che deriva da un masso gigante incastrato sul colle. Si bivacca appena sopra e da lì parte la via. Solo per arrivare lì l’avvicinamento richiede almeno 7-8 ore ed un canale di 400 metri da risalire abbastanza impegnativo. Poi il pilastro è una salita di circa 800 metri quindi circa 21-22 tiri. C’è da ricordare che una volta in cima al pilastro non sei in cima al Fitzroy. Devi fare due doppie e altri 400 metri per arrivare in cima alla montagna vera e propria. Questi ultimi 400 metri anche se meno impegnativi di quelli del pilastro comunque richiedono tempo.

 

Qual è stato il momento più bello di questa ripetizione?

Per me, il momento più bello è stato nella seconda parte del secondo giorno. C’era incertezza sul meteo, la mattina del secondo giorno all’attacco della via c’era vento e freddo, ma verso i tiri finali abbiamo visto che il meteo era migliorato. Lì ho iniziato a credere che avremmo potuto farcela davvero ed è stato senza dubbio il momento per me più bello.

Cos’è che rende la scalata in Patagonia così unica per gli alpinisti?

Innanzitutto la bellezza mozzafiato delle montagne e dei pilastri di granito che si slanciano nel cielo con un’estetica unica nel suo genere, vedi il Cerro Torre. A livello alpinistico invece, la Patagonia offre sfide tecniche molto elevate, a differenza di altre regioni montuose come ad esempio l’Himalaya dove puoi raggiungere cime molto alte anche solo camminando. In Patagonia anche le montagne più accessibili presentano difficoltà tecniche significative e questo restringe già il campo di affluenza. Inoltre, pur avendo come base un villaggio con ogni comfort, con un giorno di avvicinamento puoi arrivare alla base delle montagne dove entri nella dimensione veramente selvaggia: totalmente fuori dal mondo, funziona solo il telefono satellitare e non c’è alcun tipo di soccorso. Grazie anche alla mancanza di necessità di acclimatamento ad altitudini elevate, è possibile ottimizzare notevolmente i tempi. Una volta sulle montagne, si è pronti a scalare senza dover dedicare giorni al processo di acclimatamento come in altre regioni montuose come l’Himalaya.

 

Hai notato un eccesso di affollamento di alpinisti in quelle zone? Pensi che l’affluenza possa danneggiare il carattere selvaggio della regione?

Personalmente, non vedo questo problema allo stesso modo della massa. È vero che sempre più persone si avventurano in Patagonia, ma la maggior parte si concentra su poche vie più accessibili. Ad esempio la franco-argentina o la Supercanaleta sul Fitzroy oppure la Via dei Ragni sul Cerro Torre attirano molta attenzione, ma se eviti le rotte più popolari con tutta probabilità ti ritroverai lì da solo.

 

Qual è il valore delle ripetizioni rispetto alle prime ascese?

A me quello che piace nel ripetere vie estetiche o storiche è che quegli itinerari hanno segnato la storia dell’alpinismo. Ripetere le vie storiche è come apprezzare un’opera d’arte. La salita di Casarotto è un’impresa incredibile: salito nel 1979, da solo, senza friend, senza previsioni meteo di alcun tipo né la più pallida idea di cosa avrebbe fatto il vento, il tutto con difficoltà tecniche che, posso confermare, sono tutt’altro che banali. Ha fatto una cosa pazzesca e salendo su quella stessa via riesci a renderti conto della grandezza di quell’impresa.

“Ripetere le vie storiche è come apprezzare un’opera d’arte. La salita di Casarotto è un’impresa incredibile: salito nel 1979, da solo, senza friend, senza previsioni meteo di alcun tipo né la più pallida idea di cosa avrebbe fatto il vento, il tutto con difficoltà tecniche che, posso confermare, sono tutt’altro che banali. Ha fatto una cosa pazzesca e salendo quella stessa via riesci a renderti conto della grandezza di quell’impresa.”

 

A livello di attrezzatura, cosa conta veramente in una spedizione come questa?

In Patagonia, la leggerezza è fondamentale a tal punto che il peso dell’attrezzatura può effettivamente fare la differenza tra riuscire e non riuscire. Anche se non sono un fanatico dell’ultraleggero, mi piace avere il materiale adeguato alle esigenze di ogni progetto e luogo sapendo di avere l’attrezzatura giusta per affrontare la salita con successo.

 

È interessante vedere come le aziende come Millet supportino gli alpinisti non solo con l’attrezzatura, ma anche con lo sviluppo di nuovi prodotti mirati come abbiamo visto fare negli ultimi mesi.

Collaboro con Millet da ormai 7 o 8 anni, non solo come alpinista ma anche come guida alpina, infatti il brand da sempre supporta il mestiere delle guide alpine collaborando con numerose società storiche e più recenti. Ho l’opportunità di testare e contribuire allo sviluppo di nuove attrezzature, adatte a sfide specifiche come le spedizioni in alta quota. Sono molto soddisfatto della mia collaborazione con Millet, per non parlare del materiale con cui mi trovo sempre molto bene, i prodotti sono di alta qualità e mi hanno sempre supportato nelle avventure in montagna. È bello anche sapere che un brand non investa solamente su cosa è fruibile dalla massa, ma si impegni di studi e ricerca per fare la differenza anche per i pochi che fanno alpinismo estremo, è stimolante.

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