The Show Must Go On: intervista a Kristine Harila

La verità di Kristin Harila

By Ilaria Chiavacci

Il record dei record di Kristin Harila, alpinista norvegese che ha scalato tutti e 14 gli ottomila del pianeta in tre mesi e un giorno, è un’occasione che non dobbiamo sprecare per fare profonde riflessioni sul mondo dell’alpinismo, dalla parità di genere al sovrasfruttamento della montagna

Il 27 luglio 2023 Kristin Harila insieme a Tenjen “Lama” Sherpa ha toccato la vetta del K2, il mitico Karakorum, alle 10.45 polverizzando il record più divisivo del mondo dell’alpinismo, quello raggiunto da Nirmal Purja per aver scalato tutti e quattordici gli ottomila del pianeta in sei mesi e sette giorni. Harila ci è riuscita in tre mesi e un giorno, circa la metà del tempo. Se già questo tipo di missioni sollevano di per sé molte questioni legate all’impatto ambientale questa nello specifico è entrata nell’occhio del ciclone per il tragico incidente che ha portato alla morte di uno degli sherpa coinvolti nella missione, Muhammad Hassan. Secondo quello che è stato pubblicato Hassan, di 27 anni con moglie e tre figli, avrebbe accettato l’incarico pur non essendo propriamente equipaggiato e nel posto chiamato “collo di bottiglia” della montagna è caduto, o è franata la neve sotto di lui, ed è rimasto gravemente ferito. Secondo Harila e il suo team ha ricevuto la dovuta assistenza dai suoi compagni di cordata, che hanno provato in tutti i modi a salvargli la vita per quanto la situazione fosse disperata, secondo altri alpinisti che quella stessa mattina stavano raggiungendo la cima del K2, Harila e Lama Sherpa avrebbero lasciato Hassan morente al suo destino per continuare la corsa verso il record, addirittura scavalcando il suo corpo. 

Noi come testata non vogliamo entrare nel merito della questione con un giudizio di valore ma, attraverso le risposte di Harila, provare a capire dove stia andando l’alpinismo contemporaneo, forse sempre più vicino allo sport spettacolo, con i suoi pro e i suoi contro. Incidenti come quello occorso durante la missione di Harila sono all’ordine del giorno in montagna e quello che succede veramente in questi casi non lo si saprà mai e, a meno che su un ottomila non ci si sia effettivamente mai saliti, non si riuscirà neanche mai ad avere un quadro chiaro del contesto in cui queste cose succedono. Il ruolo che gioca l’istinto di sopravvivenza, ad esempio. Sono variabili che non si possono non tenere di conto quando si maneggiano questi argomenti, così come le difficoltà oggettive di una situazione di estremo pericolo. La morte durante gli avvenimenti sportivi non è una prerogativa della montagna: di atleti che fanno cose pericolose in contesti pericolosi sono pieni i media, basti pensare al Gran Premio, quello che però è differente forse è che il tipo di narrazione è più codificato e “accettato”. Nel caso delle spedizioni alpinistiche non c’è un cronista a raccontare in maniera terza una missione, ma la narrazione è interamente affidata a chi ne è protagonista che, appunto, è un atleta e non qualcuno che di mestiere fa la cronaca degli eventi. Kristin Harila aveva il suo messaggio da supportare con il record e il suo racconto si è concentrato su quello, bypassando almeno in un primo momento la questione dell’incidente. Avrebbe potuto mandare un messaggio altrettanto forte rinunciando al record a poche centinaia di metri dalla cima per provare a salvare Hassan anche a fronte dell’inutilità del tentativo? Probabilmente. E ancora: tutti questi messaggi che gli atleti si sentono in dovere di mandare e le cause che vogliono supportare hanno senso solo per renderli più spendibili dagli sponsor o serviranno davvero a cambiare le cose nel mondo dell’alpinismo? Questo è un meccanismo di cui tutti siamo parte e dal quale sarebbe ipocrita sottrarsi: da una parte ci sono gli atleti, con le loro ambizioni e i loro i sogni, ma dall’altra ci sono i brand e i media, che si nutrono delle cose spettacolari, rischiose o incredibili che riescono a fare, e poi ci sono gli appassionati, i riceventi ultimi di questi messaggi, quelli che in fin dei conti hanno il vero potere, orientando il loro interesse, di far capire a brand, media e atleti se questa sia la direzione giusta o meno che il settore sta prendendo.

Partendo dalla genesi di questa missione, da com’è nata l’idea di prendersi il record di Nirmal Purja, si può avere un’idea più chiara di quello che è il processo con cui gli atleti diano forma alle loro imprese. 

Ero seduta in questo caffè, a Oslo, dopo essere ritornata da una spedizione sull’Everest e sono stata sopraffatta da questo senso di profonda ingiustizia. L’industria dell’outdoor è proiettata sugli uomini, soprattutto nell’alpinismo: la maggior parte dei grandi brand produttori di attrezzatura di un certo tipo, come le tute per altitudini elevate, ha taglie solo per gli uomini, non per le donne. Per me questo sottende un messaggio chiaro: l’alpinismo è per gli uomini, le ragazze se vogliono possono darsi all’hiking. Questo pensiero ha iniziato a prendere forma proprio prima di partire: era stato per me impossibile trovare abbigliamento tecnico adatto all’Everest che fosse della mia taglia, era tutto molto più grande rispetto a quello che mi sarebbe servito. Una volta tornata ho avvertito l’urgenza di fare qualcosa, e in queste situazioni non basta dire “Ehi, guarda che noi siamo forti tanto quanto gli uomini”, bisogna dimostrarlo: battere Nirmal lo avrebbe urlato chiaro e forte.

E hai pensato a questo nel momento in cui hai raggiunto la vetta e hai realizzato che il record era tuo?

Ho pensato che sì, ce l’avevo fatta e avevo segnato un passo importante per le donne in questo mondo. Il mio secondo pensiero è andato poi subito a “Lama”, ovvero Tenjen, lo sherpa senza il quale tutto questo non sarebbe stato possibile. È un riconoscimento importante non solo per me, ma anche per Lama e per tutta la comunità degli sherpa, che fa un lavoro prezioso che consente a tutti gli alpinisti di poter compiere imprese di questo genere, sono gli sherpa che mettono le corde fisse e allestiscono i campi base. A me personalmente non importa così tanto del record, ma condividerlo con loro ha un significato enorme, in più ora possiamo usare questo risultato per provare a cambiare qualcosa per tutte le ragazze e le donne in questo settore, per cercare di renderlo il più equo possibile. Credo sia importante che ci siano dei modelli femminili che dimostrino che certe cose siano possibili: nel momento in cui noi ragazze cresciamo, è importante avere qualcuno che è simile e noi a cui ispirarsi.

Quindi il tuo obiettivo è condividere un messaggio di uguaglianza?

Ci sono molte cose che bisogna fare per rendere questo mondo più equo e io credo che quando se ne parla le persone capiscano quale sia il punto e si dicano tutte d’accordo, ma la realtà dei fatti poi è che per gli uomini ci sono più soldi, più prodotto, più ricerca, più tutto. Nella avanzatissima Norvegia, che è il mio paese, le football academy maschili ricevono più soldi rispetto a quelle femminili. Il mio obiettivo è che alle ragazze vengano date le stesse opportunità che vengono date ai ragazzi. Anche i brand sono più inclini a sponsorizzare atleti maschi piuttosto che ragazze 

Sì ma perché proprio il record di Nirmal e non un altro? 

Avevo appena concluso la spedizione sul Lhotse e sull’Everest e mi è sembrata la naturale prosecuzione di quel percorso. Già con quella avevo stabilito un record femminile scalandoli in 12 ore (con l’ultima spedizione il tempo è sceso a poco più di 8 ore), quindi mi sono convinta che ce l’avrei fatta. Ci sono probabilmente altre cose che avrei potuto fare per portare avanti lo stesso messaggio, ma me per è stato naturale prendere questa direzione. 

Fai spesso riferimento ai brand e ai grandi player dellindustria, hai mai sentito la pressione, diretta o indiretta, dei tuoi sponsor nel realizzare unimpresa imponente?

A dire la verità no. Non ho mai avvertito la pressione da parte dei miei sponsor per realizzare questo specifico progetto, o altri progetti in generale, sicuramente mi hanno dato tutti il massimo supporto di cui avevo bisogno, capendo che non si trattava esattamente di una passeggiata. Qualche brand è arrivato prima, qualcuno si è aggiunto in corsa, ma per me la cosa importante sono i valori che condivido con i miei sponsor: nel caso di Osprey ad esempio è l’impegno che la società ha da tempo nel realizzare zaini studiati specificatamente per adattarsi al corpo femminile. 

Quanto è costata lintera spedizione?

Un milione e mezzo di dollari spalmato su due anni: ci avevo già provato nel 2022, quando ero riuscita a scalare dodici ottomila su quattordici, avevo davanti a me ancora cinque settimane per battere il record, ma non avevo ottenuto il permesso per scalare le ultime due montagne, in Tibet. Quindi ho deciso di rifare tutto da capo quest’anno.

Sai quantificare quante bombole dossigeno e quanti metri di corda sono serviti?

Per ogni montagna abbiamo portato solo una bottiglia di ossigeno a testa, una per me e una per Lama: solitamente iniziamo ad utilizzare l’ossigeno tra i 7000 e i 7500 metri d’altitudine, fatta eccezione per l’Everest, che è più alto e quindi abbiamo avuto bisogno di due bottiglie ciascuno. Di solito in questo genere di spedizioni si fa una procedura che si chiama rotazione, per acclimatarsi: si va prima al campo base uno e si torna giù, poi si va al campo base due, si torna al campo base uno e si dorme lì e così via, portando le cose su un po’ alla volta. Noi invece di solito andiamo al campo uno, magari saltiamo il campo due e andiamo direttamente al campo tre, e da lì diretti alla cima: questo significa che quando lasciamo il campo base dobbiamo portare con noi tutto quello che serve, e nella maggior parte di queste montagne, eravamo solamente io e Lama e dovevamo portare tutto. Se conti che ogni bombola pesa quattro chili è chiaro che non ne potevamo portare più di una a testa. 

Bombole di ossigeno e corde fisse sono quello che poi rimane sulle montagne e costituisce una fonte importante di inquinamento. Questo genere di spedizioni è abbastanza divisivo nel mondo dellalpinismo, anche perché incoraggia spedizioni turistiche” sugli ottomila più famosi…

Finché le montagne saranno lì le persone ci saliranno: sicuramente dobbiamo trovare dei modi meno invasivi per farlo. Penso in primo luogo agli elicotteri, ma anche a tutta la spazzatura che rimane là sopra. Le montagne più frequentate sono l’Everest e il K2, nelle altre non vedi così troppe persone. Se vuoi arrampicare da solo ci sono moltissime montagne dove puoi farlo, ma un ottomila è difficile trovarlo vuoto. Io trovo che incontrare altre persone non rappresenti un problema, perché di solito la tendenza è quella di aiutarsi a vicenda e, se un gruppo va più veloce, viene lasciato passare senza problemi, così come se qualcuno ha problemi, o finisce l’ossigeno, viene aiutato. 

Non mi riferivo allesperienza in sé, che potrebbe essere troppo affollata, ma al fatto che la montagna venga sfruttata in maniera eccessiva…

Questo è uno dei punti di cui parlavo prima, dobbiamo trovare il modo di fare diversamente quello che abbiamo sempre fatto, per questo uno dei prossimi progetti a cui prenderò parte riguarda proprio l’aspetto legato alla spazzatura: sarà focalizzato sia sulla pulizia delle montagne in sé, che sull’educazione. Le nazioni dove sorgono gli ottomila sono poverissime e non hanno la stessa coscienza riguardo ai rifiuti, al loro corretto smaltimento e al riciclo che abbiamo noi. Credo che sia nostro dovere coinvolgere i governi e tutte le compagnie che operano qui, tutti gli sherpa e gli alpinisti che ci vanno quotidianamente. Non posso raccontare molto, ma sarà un progetto molto importante e sono sicura che in un futuro molto prossimo vedremo gli elicotteri volare in maniera diversa. Credo oggi di essere in una posizione in cui è più facile per me lavorare con i governi e intercedere per una migliore regolamentazione per quanto riguarda la gestione dei rifiuti, ma anche su chi possa essere effettivamente autorizzato a salire su questo tipo di montagne. Chi non ha l’esperienza sufficiente per farlo non dovrebbe essere autorizzato a iniziare ad arrampicare. L’incidente che è accaduto sul K2 durante la mia spedizione non sarebbe mai dovuto accadere. È stato un incidente tragico in una delle montagne più pericolose e letali del mondo: è necessario che l’accesso su queste montagne sia regolamentato, per impedire che fatti come questi accadano, non c’è più tempo.

Vuoi darci la tua versione dei fatti?

È semplice stare seduti a casa e chiedersi perché non abbiamo salvato 

Muhammad, ma la realtà dei fatti è che le condizioni là sopra erano veramente impegnative e noi abbiamo fatto tutto quello che era in nostro potere per salvarlo, non avremmo potuto fare nulla di più. Sono state diffuse informazioni false e dette un sacco di cattiverie, e questo non è per niente bello, inoltre non credo sia giusto che la responsabilità di questo incidente stia ricadendo unicamente su di me. Per me non è mai stato un problema raccontare le cose per come sono andate: lì c’eravamo noi e noi sappiamo cosa abbiamo fatto e come l’abbiamo fatto, provando a salvarlo per ore. Ma il problema è che ci sono state molte persone che hanno diffuso informazioni false e i media si sono buttati su queste e sull’odio perché è comodo e fa notizia, ma io vengo ricoperta di insulti e minacce quotidianamente. Là fuori ci sono almeno 200 persone che mi minacciano, dicendo che verranno a uccidermi. 

“Ma il problema è che ci sono state molte persone che hanno diffuso informazioni false e i media si sono buttati su queste e sull’odio perché è comodo e fa notizia, ma io vengo ricoperta di insulti e minacce quotidianamente. Là fuori ci sono almeno 200 persone che mi minacciano, dicendo che verranno a uccidermi.”

Tu sei unatleta, ma anche una figura pubblica, trovi difficile conciliare questi due ruoli? Magari trovandoti a maneggiare questioni così delicate, come quella di un incidente del genere durante una missione?

Quando provi a prendere un record sicuramente sai di avere i riflettori puntati su di te, io avevo le mie ragioni per farlo e per portare avanti la mia battaglia per l’uguaglianza. Certamente non ero preparata a rispondere a domande dettate dall’odio e da tutto quello che di falso e cattivo è stato detto su quanto è successo. 

Alla luce anche di questo come stai progettando la tua prossima impresa?

Non credo che la mia prossima missione sarà ancora su un ottomila, credo di aver dimostrato tutto quello che c’era da dimostrare in questo campo, ma ho altre cose in mente e sicuramente troverò qualcosa che sia utile a portare avanti la mia battaglia per la parità nell’outdoor.

Potrebbe interessarti anche 👉 Kristin Harila, un’utopista realista