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Martina Valmassoi
: atleta o artista?

Martina Valmassoi è il personaggio più interessante che ho intervistato fino a oggi. Tamara Lunger è poderosa, forte e tenace. Hervé Barmasse intelligente, colto, sempre impeccabile che si tratti di un bivacco in solitaria sul suo Cervino o di una presentazione di fronte a centinaia di persone. Tudor Laurini (in arte Klaus) è un’artista e per questa categoria spesso non serve aggiungere altro. Wafaa Amer ha portato la sua storia in ogni appiglio e Federica Mingolla si muove sulla roccia come Roberto Bolle sul palco del Teatro alla Scala. Sono tutti nomi conosciuti perché non potrebbero non esserlo. Ma Martina è tutt’altra storia.

Un giovane Pablo Picasso una volta ha detto: “Tutti i bambini sono degli artisti nati, il difficile sta nel fatto di restarlo da grandi.” Sono convinta che Martina, a Pablo, sarebbe piaciuta (anche da grande).

Ognuno di noi fissa nella propria testa delle immagini sulle cose e sulle persone che incontra nella vita, è inevitabile. Io a Martina non ho ancora stretto la mano, ma l’ho memorizzata così: scarpe sporche di fango, un po’ fresco e un po’ incrostato. Calzini stanchi cosparsi di pinetti bianchi su fondo azzurro e una volpe rossa che corre verso il basso, lungo il malleolo. Entrambi i piedi staccati da terra a nascondere i segni dei chilometri e dei dislivelli di un trail senza fine. Pantaloncini blu, t-shirt grigia, zainetto S/Lab nero con borracce mezze piene e mezze vuote e un paio di cuffie bianche che penzolano da un lato con le batterie scariche. Sul braccio sinistro quello che immagino essere un Suunto, sul destro qualunque cosa possa essere legata a un polso. Dalla spalla destra spuntano un paio di bastoni telescopici presumibilmente utilizzati nei passaggi più tecnici mentre in testa non ha altro che un berretto eccentrico e una frontale a illuminarle la corsa. In viso c’è tutto: commozione, soddisfazione, stanchezza, gratitudine, fierezza, sudore e femminilità. Questo è il frame che voglio custodire di Martina, quello di quella volta in cui ha tagliato la linea del traguardo all’UTMB senza nessuno a precederla. Prima, dopo 145 chilometri e 9100 metri di dislivello. Con entrambi i piedi ancora sollevati da terra dopo 22 ore e 42 minuti di corsa. Prima, con le braccia spalancate come chi, più che accogliere complimenti, vuole abbracciare la folla. Perché all’UTMB quella c’è.

Sono due anni che ci scambiamo WhatsApp per organizzare un’uscita insieme, una scampagnata per lei, un allenamento fuori soglia per me. E ora che sembra finalmente voler arrivare la neve, l’idea di una scialpinistica sembra realizzabile. Su questo naturalmente vi terrò aggiornati. Come dicevo sono tante le cose da dire su Martina, probabilmente troppe per queste pagine. Lei scia, corre, scala. Lei pedala, lavora, fotografa. Lei è gentile. La contatto telefonicamente e anche la sua voce sembra sorridere. Attenzione però, quando dico che scia sto dicendo che ha fatto parte della Nazionale A di scialpinismo fino al 2016 collezionando poi due bronzi e un settimo posto al mondiale di Tambre d’Alpago. Quando dico che corre sto dicendo che vince gare di trail running e ultrarunning di altissimo livello. Che quando pedala precede in solitaria, e con la bici carica, le tappe del Giro d’Italia. Sto dicendo che quando fotografa racconta un pezzo di sé. Quando dico che lavora sto dicendo che si fa un c**o pazzesco e quando dico che è gentile intendo che lo è proprio sempre.

“Credo che le fotografie siano come le storie: con un inizio, una fine e soprattutto qualcosa da dire. Da quando fotografo con maggiore frequenza mi viene facile raccontare le cose per immagini.”

Mentre con un orecchio ascolto Martina raccontarsi al telefono, con due dita scrollo il suo feed Instagram. Una fotografia mi cattura, la parte alta dello scatto disegna lo sfondo in un gradiente bianco e blu mentre una linea netta taglia il frame in diagonale, uno stacco pulito tra cielo e montagna. Nel mezzo una figura atletica sale in controluce, gamba destra e braccio sinistro in avanti, con la naturalezza di chi fa le cose senza prendersi sul serio, che tanto non serve. Due lunghe linee d’ombra si allungano verso l’osservatore, verso il fotografo, interrompendo la texture del manto nevoso vergine appena illuminato, chiudendo la fotografia in una composizione grafica impeccabile. Martina, lungo quella linea di confine tra terra e cielo non è a metà, non è nemmeno all’inizio. È maggiore lo spazio che si lascia alle spalle rispetto a quello che ha davanti. Una metafora perfetta per raccontare chi, come lei, naviga a vista. Lei non pianifica ogni dettaglio, rifugge da quelle programmazioni di lungo periodo spesso controproducenti. Lei parte, s’informa sui primi metri e si prepara con professionalità ma poi va, senza inutili masturbazioni mentali. Conosce bene la sua meta e sa altrettanto bene che quando è molto alta o lontana, è possibile raggiungerla solo osservandola in piccole porzioni. In questa fotografia l’autore dello scatto, Fabian Johann, ha colto la stessa cosa che ho sentito io. Lui l’ha fotografata, io l’ho scritta, ma rimane Martina ad averla disegnata.

C’è un coesistere di lucidità e incoscienza nel suo parlare: raziocinio e impulsività. È in queste caratteristiche che sono a disagio nel definirla “sportiva” o “atleta” o “fotografa”. Sento più adeguato il termine “artista”. D’altronde il termine citato, ed è Treccani a dirlo, è adatto considerando come qualità la forza dell’ispirazione e del sentimento, l’altezza della fantasia, e attribuendo all’artista soprattutto virtuosismo e abilità tecnica. Siamo sinceri, perfino nello stacchetto sul suo profilo Instagram, quello in cui si esibisce in pigiama con le stampelle, c’è tutto questo. Ah sì, le stampelle. Ha anche avuto un brutto incidente di recente, una scarica di sassi l’ha travolta mentre arrampicava in Trentino. “Poteva andare molto peggio” racconta lei. E questo dimostra, ancora una volta, lo spirito di chi non sorride solo quando vince.

Tralascio la poesia solo per un attimo, per riassumere le sue imprese (le più recenti quantomeno):

• Vincitrice nella TDS dell’ultima edizione di UTMB
• Giro d’Italia in solitaria percorrendo in anteprima tutte le tappe del Percorso Rosa
• Record mondiale di dislivello percorso sugli sci: 17.645 metri in 24 ore

Voglio inserire, in questi fermo immagine che la raccontano, uno immortalato da lei stessa: la “Martina fotografa”. Quando guardo alcune sue immagini, ricordo quanto possa celarsi nel non detto di una buona fotografia. Nel cielo nero, in quelle strisce di luci e ombre che colano dalla montagna e nella forza dei contrasti io vedo Martina, una donna consapevole che nessun sorriso è possibile senza l’equilibrio tra bianco e nero. Un atleta conscia che non può esserci luce senza oscurità. Un’artista capace di creare poesia anche con il cielo nero.

A questo punto non vedo l’ora di scattarle io una fotografia, di disegnarla a modo mio.

A presto Martina,

P.S. Non chiedetele perché fa quello che fa, mi è parsa a disagio nell’esprimerlo a parole. Guardate le sue fotografie o andate a seguirla, se riuscite, su e giù per le montagne.