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Selvaggia ed indomata: La Directissime

By: Lisa Misconel
Photos: Mathis Dumas

Una parete, un viaggio, una linea da riscoprire: lo scorso febbraio il team di alpinisti francesi composto da Charles Dubouloz, Symon Welfringer e Clovis Paulin ha conquistato la Directissime sulla Nord delle Grandes Jorasses. Abbiamo provato ad assaporarne qualche momento grazie alle parole di Symon Welfringer.

13 febbraio 2023, ore 13.30, sono in 3. Sembra che tutto, anche i numeri, quel giorno sia allineato. Finalmente, a distanza di quasi 40 anni qualcuno è riuscito a domare la Directissime, un via di 1200m fra le più difficili delle Jorasses (ABO-), nel cuore del massiccio del Monte Bianco: si tratta degli alpinisti francesi Charles Dubouloz, Clovis Paulin e Symon Welfringer tutti e tre membri della Fédération Française des Clubs Alpins et de Montagne. La via è stata aperta nel giugno del 1986 da Patrick Gabarrou ed Hervé Bouvard, e dopo cinque giorni e quattro rigide notti in parete sfidando temperature fino a -24°C il team è riuscito a completare la prima salita in libera in invernale in assoluto e scrivendo un pezzetto di storia. Un viaggio fatto di silenzi, natura selvaggia, arrampicata vera lungo una linea sognata ed immaginata ma quantomai difficile da riconoscere e salire. 

Abbiamo avuto il piacere e la possibilità di sapere di più su quest’importante conquista con un’intervista a Symon Welfringer, atleta e guida alpina di Millet. 

Come si è passati dall’idea al progetto concreto e quando?

Quest’inverno, insieme a Charles, ci è venuta l’idea di fare una scalata di più giorni nelle Jorasses. Avevamo in mente due punti centrali: combinare la natura selvaggia ed un’arrampicata difficile. Alla fine la nostra scelta è caduta su questa linea pura che non era mai stata ripetuta e Clovis, un buon amico di entrambi, aveva il sogno di ripeterla, così gli abbiamo proposto di unirsi a noi. Essere in 3 in questo tipo di progetto è davvero il massimo secondo me.

Sei stato coinvolto durante l’intera fase di preparazione?

All’inizio sapevo poco di questa linea e non ne avevo mai sentito parlare prima che Charles e Clovis la menzionassero. In ogni caso, prima di scegliere la via, con Charles ci siamo presi tutto il mese di febbraio per goderci il bel tempo e sfruttare poi la prima finestra di bel tempo per fare una via lunga. Lo abbiamo deciso quando eravamo a Manaslu lo scorso autunno, pensando ai prossimi progetti…

Come ti sei preparato per questa scalata?

Non mi preparo in modo specifico per una scalata. Quest’anno cercherò di programmare meglio l’allenamento sia per l’arrampicata che per l’alpinismo. Trovo davvero difficile trovare il tempo per tutto: allenamento, arrampicata, alpinismo…Ma allo stesso tempo è la chiave per migliroare, dare più tempo alla preparazione per riuscire ad avere successo nelle cose anche al primo colpo! 

Qual è stata la parte più difficile dell’intero progetto?

La parte più difficile è stata quella di trovare una buona linea lungo tutta la parete. Non essendo mai stata ripetuta, non era nemmeno attrezzata e non c’era modo di controllare se eravamo sull’itinerario giusto, le relazioni erano davvero basiche e non ben descritte, era una ripetizione ma con il gusto di aprire una via. È stata la prima volta che ho provato una sensazione del genere su una via nelle Alpi.

Qual è la sensazione più bella che ha provato in quei giorni?

Direi che il momento più bello è stato alla fine della parte difficile: un muro strapiombante di 200 m al centro della parete, le fessure sono sottili e discontinue, a quel punto non sapevamo dove andasse la via, io ero in testa e sono riuscito a salire dei tiri incredibili fino al 7A  trad con -15 gradi sotto zero. Ad un certo punto ero disperato… non riuscivo ad andare avanti e trovare i punti giusti dove poter fissare la corda; finalmente dopo qualche tentativo spostandomi a destra ed a sinistra sono riuscito a trovare alcuni tiri fattibili e fissare la corda su un terreno più facile da arrampicare. Questo è successo il 3° giorno. Inutile dire che l’arrivo in vetta dopo 5 giorni a -20 gradi con il sole ad aspettarci e 30 gradi in più è stato un vero sollievo. Condividere momenti così con due buoni amici è stata pure gioia.

Avevi già scalato con Charles e Clovis?

Certo, avevo già scalato spesso con Charles, la mia prima volta nelle Jorasses è stata proprio con lui nel 2020, quando abbiamo effettuato la prima salita in libera di Manitua (7C). Abbiamo anche partecipato a due spedizioni insieme in Nepal. Con Clovis invece ci conosciamo da molti anni e abbiamo scalato insieme la parete nord dell’Eiger. Andiamo in falesia insieme molto spesso, in poche parole ero con due amici lassù.

E le notti? Come le avete passate? 

A dire la verità non è andata così male, anzi. All’inizio eravamo abbastanza in ansia perché avevamo poche informazioni, ma col passare dei giorni siamo riusciti a trovare banchi di neve abbastanza grandi da potervisi sdraiare sopra. Quindi alla fine è stato abbastanza confortevole, abbiamo solo sofferto il freddo naturalmente, ma è una cosa abbastanza normale.

Perché avete scelto di compiere questa salita in inverno?

Direi che ci sono due motivi: uno è la sfida, in inverno le giornate sono più corte, le temperature più basse e l’impegno deve per forza essere maggiore, quindi la sfida assume tutta un’altra dimensione. L’altro motivo è il rischio: al giorno d’oggi è diventato davvero difficile arrampicare su queste pareti in estate, la roccia non è per niente stabile e le linee di ghiaccio si stanno sciogliendo, il rischio di frane e caduta di massi è troppo alto. 

Come sono stati coinvolti Patrick Gabarrou ed Hervé Bouvard nel progetto?

Patrick si è unito a noi durante l’avvicinamento alla base della parete, abbiamo controllato insieme la linea, è stato un bel momento. Abbiamo anche incontrato lui ed Hervé quando siamo tornati a Chamonix, e ci siamo sentiti gratificati di poter condividere la nostra salita con loro quasi 40 anni dopo l’apertura.

C’è un momento particolare che ti rimarrà impresso nella mente?

Questa salita mi ha fatto capire quanto amo l’alpinismo e in particolare di questo genere: selvaggio, lungo e difficile. Trascorrere cinque giorni isolati dal mondo reale con due buoni amici è un’emozione unica e mi fa venire voglia di farne ancora…