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Traditional alpinism, il docufilm di Simon Messner

“Traditional alpinism” è la pellicola di Simon Messner che racconta una visione alpinistica, un modo di andare in montagna. Nulla di nuovo, è la storia, quel modo di salire verso l’alto che ha caratterizzato la scoperta della montagna. “L’alpinismo tradizionale è il mio modo di vivere l’alpinismo” ci racconta alla premiere che si è tenuta presso il Salewa Cube di Bolzano in una frizzante notte di fine ottobre. 

Mentre il cielo si accende di stelle sullo schermo va in scena un viaggio a ritroso nel tempo che accompagna gli spettatori su Black Tooth e Toshe III, in Karakorum, i due seimila inviolati che Messner ha salito nell’estate 2019. Stile alpino, pochi materiali nello zaino e una via da tracciare su un terreno ignoto, sconosciuto, mai calcato da nessuno prima. Ecco cos’è l’alpinismo tradizionale per il trentenne scalatore del team Salewa. “L’alpinismo ha una componente sportiva, devi essere allenato per gestire le salite, ma porta con se anche un grande bagaglio culturale legato alla storia delle montagne e delle genti che vivono alle pendici di queste. Quando vai in spedizione vivi tutto questo in un mix che ha il sapore dell’esplorazione”, soprattutto quando scegli di salire cime inviolate, di fare qualcosa di nuovo.

 

Una questione di famiglia
L’alpinismo tradizionale per Simon è una questione di famiglia. Suo padre, Reinhold, è stato uno dei maggiori promotori di questa forma alpinistica durante la sua carriera che l’ha visto grande protagonista in Himalaya e Karakorum. La prima esperienza a quota ottomila di Reinhold, nel 1970 sul Nanga Parbat, è la tragica rappresentazione di cosa significa ignoto, esplorazione, sopravvivenza. Termini che in qualche modo danno significato pratico e immediato al concetto di alpinismo tradizionale, classico. Ed è attorno a questa vicenda che si dipana il racconto di un ascendere che unisce due generazioni, padre e figlio. Montagne diverse, obiettivi diversi, ma la stessa passione e la stessa ambizione che spinge a cercare una linea pura lassù dove nessuno è mai andato.

Cambiano i tempi, cambiano le condizioni

Esplorare oggi ha un sapore diverso. Abbiamo strumenti e attrezzature moderne, superleggere e super resistenti, che permettono, unitamente all’abilità degli alpinisti, nuovi e sorprendenti exploit. A complicare le cose ci pensa il clima, quello che si sta alterando per colpa dei cambiamenti climatici.

“In Karakorum forse bisognerebbe andare a settembre e non più a giugno o luglio” afferma Simon ricordando la sua ultima spedizione esplorativa: un tentativo al Praqpa Ri, Settemila inviolato nella zona del K2, finito con un nulla di fatto. “Io e Martin Sieberer ci abbiamo provato, ce l’abbiamo messa tutta, ma abbiamo trovato delle condizioni pessime” spiega. “Ha nevicato quasi ogni giorno e le temperature sono sempre state molto alte. Un clima umido, simile a quello nepalese”. Condizioni che poco hanno a che vedere con quella che dovrebbe essere l’estate nel Karakorum pakistano. Condizioni che hanno bloccato ogni tentativo di salita verso l’alto per i due scalatori. “Alla fine non siamo riusciti a superare i 6000 metri di quota, difficile parlare di un vero tentativo. La neve bagnata ha reso delicato ogni passo, così abbiamo preferito rientrare”.

Stanno cambiando le condizioni ed è un dato di fatto ormai assodato da ogni alpinista. “Ho avuto modo di confrontarmi con Ralf Dujmovits e con altri alpinisti tedeschi, tutti sono concordi sul fatto che sia cambiato il periodo per riuscire in queste salite. Non è un caso che tutte le spedizioni presenti in Karakorum abbiano avuto problemi con le condizioni, succede laggiù come qua”. Si, perché quello del cambiamento climatico è un problema globale, che riguarda oceani, mari, pianure e montagne. “Molte pareti nella zona di Solda non vengono ripetute da anni perché manca il ghiaccio e la roccia è troppo friabile. In Marmolada ho visto con i miei occhi un aumento delle scariche di sassi. Qualcosa è sempre venuto giù, ma non come oggi”. Per questo gli alpinisti stanno modificando il loro periodo di azione, puntando molto sulla stagione invernale. “Con il freddo e il ghiaccio le vie un tempo salite in estate e oggi non più sicure si possono scalare”. Ghiaccio e basse temperature compattano la roccia, offrendo una superficie solida e affidabile dove con il caldo troveremmo solo sfasciumi pericolosissimi. “Bisogna imparare a coniugare la nostra esperienza con le nuove condizioni dovute ai cambiamenti in atto. Si tratta di un tema molto delicato e attuale, su cui ognuno di noi dovrebbe riflettere perché tutti ne siamo parte” afferma Simon. “La domanda da porci è: come risolverlo? Servono regole. Io sono contro le regole, ma in questo caso diventano fondamentali”.

“La domanda da porci è: come risolverlo? Servono regole. Io sono contro le regole, ma in questo caso diventano fondamentali”.

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